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Kàlena, avvolta nel mistero magico e simbolico dei tempi andati, svela l’umano sentiero

Lungo quella piana – una delle tante a cui padre Michelangelo Manicone, inascoltato illuminista e scienziato garganico del tardo Settecento, aveva rivelato futuri disastri di acque imponenti e incontrollate – solo Kàlena diffonde ancora una maestà virtuosa, autentica Signora del cielo e della terra, sempre più adagiata nella sua integrale solitudine celeste. Così come l’hanno immaginata nel futuro i suoi ispirati e audaci costruttori, così come i secoli passati l’hanno pietosamente preservata da terremoti devastanti e da alluvioni possenti, così come artisti di pregio l’hanno rappresentata nell’antico fulgore, così come fotografi di fama l’hanno immortalata già ferita e cadente.
In quella piana – deturpata e ferita dalla stessa mano dell’uomo che oggi lamenta rovine – solo Kàlena emana ancora bagliori ricchi di cultura e di storia millenaria, avvolta nel mistero magico e simbolico dei tempi andati che, riaffioranti nel presente, svelano l’umano sentiero verso l’ unico futuro  dignitoso a chi sa leggere nelle impalpabili trame di un misticismo indelebile.
     Più in là, verso la spiaggia – laddove l’insostituibile ma annientato sistema delle dune, in perenne e precario equilibrio tra mare, vento e terra, doveva pur rappresentare un’altra delle autentiche meraviglie della natura garganica – solo caos, cementificazione confusa, speculazione edilizia, devastazione di un territorio offeso, oltraggiato, a marcare un raccapricciante comune denominatore di un Gargano non più «sperduto», semplicemente perso.
     Come salvare la sacra Abbazia di Kàlena quando non vengono rispettati i doni di un ambiente sorprendente e di un paesaggio incantevole?
Se così è,  l’Abbazia di Kàlena seguirà il triste destino incombente sui tanti luoghi della memoria.
     Un destino legato, qui come altrove,  all’inerzia di comunità umane svuotate dalle antiche ambizioni culturali che affidarono alla nostra terra la fama riconosciuta di universo di cultura e di arte. Cultura e arte che qui, più che altrove, hanno origini antiche e tradizioni robuste, che persino l’uomo protostorico seppe esprimere e rappresentare degnamente, sempre con rispetto, comunque con amore.

Nelle tenebre di una notte stellata, guidati dal  freddo vento del nord, capita di sostare davanti a questa grandiosa «agonia di pietre», di chiudere gli occhi e di ascoltare l’ode del mare e il fragore del vento sussurrare quiete e pace all’anima.
Capita, oltre la selvaggia barriera innalzata dalla febbre edilizia di un uomo sempre più proteso verso un’assurda modernità e che affoga quel che resta della propria identità, sentire nel profondo dell’anima  un antico e immortale canto gregoriano provenire dall’ Adriatico «aperto» al sole che nasce. Dove da sempre moltitudini di esuli preganti sono giunti alla «Terra promessa», accolti e protesi verso una «nuova rinascita».
E Kàlena fu edificata lì, solitaria, a testimoniare la cultura dell’accoglienza dei discendenti garganici di Noé, quasi ad affidare alla notte dei tempi le voci greche, diomedee, omeriche, quali fonti delle nostre origini.
     E niente e nessuno, neanche l’ offensiva edificazione della piana, il colonnato alla «Mancina» di Vieste, la lottizzazione della Necropoli di S. Nicola, l’aggressione ai lidi garganici, le tante deturpazioni e sopraelevazioni dei nostri centri storici, i tanti paesaggi perduti , socchiuse le palpebre, potranno impedirci di sentire quella nenia antica sgorgare dalle onde del mare antico.
     Voce del passato, presenza primitiva, mossa a pietà e supplicante, affinché si liberi oltre  l’orizzonte, ancora una volta, libero e forte, il nostro «grido di dolore».

Michele Eugenio Di Carlo