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Sul divario tra Sud e Nord: Chi ha deciso che dovesse essere il Nord a produrre e il Sud ad emigrare?

L’articolo pubblicato dal Quotidiano del Sud in data 10 ottobre, intitolato “Il divario tra Sud e Nord e le colpe dei calabresi”, a firma di Battista Sangineto, impone alcune precisazioni, perlomeno al riguardo degli studi eseguiti dal prof. Paolo Malanima, docente all’Università di Catanzaro.
Nell’articolo citato si legge che « a proposito della discussione innescatasi a seguito dell’apertura del Museo della Ferriera di Mongiana, in provincia di Vibo Valentia, avvenuta sabato 24 settembre della quale questo giornale ha, opportunamente, dato notizia. Mi sembra utile tornare su questo argomento per precisare alcune cose riguardo al divario sociale, economico e politico fra il Sud ed il Nord al momento dell’Unità d’Italia. Mi pare utile, anche, ricordare che non solo non vi è traccia dello sciocchezzaio anti-unitario e filo-borbonico negli scritti di studiosi seri quali V. Castronovo, G. Candeloro, R. Villari, P. Ginsborg, A. Placanica, R. Romeo, P. Bevilacqua e A. Capone, ma non se ne trova, traccia, neanche nei più recenti scritti accademici di A. Lepore, D. Malanima, A. Brunetti, E. Felice e G. Vecchi. Volendo riassumere, e necessariamente un po’ semplificare, le tesi di questi ultimi studiosi, si può affermare che la somma degli squilibri socio-economici esistenti tra il Nord e il Sud, al momento dell’Unificazione, è stata stimata in una differenza del 20- 25% circa nel reddito pro-capite a favore del Nord ».
Successivamente l’autore cita la relazione «Alle origini del divario» che Paolo Malanima (non evidentemente D. Malanima), insieme a Vittorio Daniele, esponeva a Roma nel maggio del 2011 nell’ambito del Convegno «Nord e Sud a 150 anni dall’Unità d’Italia», organizzato dallo SVIMEZ , poi pubblicata a Roma nel numero speciale dei “Quaderni Svimez” nel marzo del 2012.
Relazione che non poteva discostarsi dal testo “Il divario nord-sud in Italia, 1861-2011” , appena pubblicato da Malanima e Daniele. Infatti, nella prima parte della relazione i due economisti mettono subito in chiaro il proprio parere, frutto di studi accurati:
«A nostro avviso il divario fra le due parti del paese ha origini relativamente recenti. Si profila alla fine dell’Ottocento, quando inizia la crescita moderna dell’Italia, e costituisce una delle caratteristiche del processo di sviluppo che si è verificato nell’ultimo secolo e mezzo. Su questo periodo sono oggi disponibili nuove conoscenze che consentono di riesaminare in maniera diversa un tema così dibattuto e così importante nella storia d’Italia. Nelle pagine successive esamineremo diversi indicatori relativi al periodo fra l’Unità e la fine dell’Ottocento».
Non altro! E, tra l’altro, i due economisti parlano di «nuove conoscenze che consentono di riesaminare in maniera diversa» il tema tanto dibattuto negli ultimi decenni. Conoscenze a cui sicuramente storici ed economisti più datati non potevano o non volevano accedere.
Il citato testo di Daniele e Malanima è un testo fondamentale che si avvale anche degli studi, qualificati e riconosciuti dal mondo accademico, di altri illustri studiosi ed economisti quali Fenoaltea e Ciccarelli, solo per citare gli autori di saggi e studi più recenti.
All’unità d’Italia, nel 1861, esisteva un vero e proprio divario tra Nord e Sud del paese?
No, perché secondo Malanima e Daniele nelle società preindustriali dell’Europa a sviluppo essenzialmente agricolo, non esistevano consistenti divari tra una regione e l’altra. In Italia esisteva un maggiore divario tra est e ovest, il Tirreno era più progredito rispetto alla costa adriatica, per il resto esistevano regioni ricche e povere sia al Nord che al Sud.
Documenti e statistiche alla mano, Daniele e Malanima ci conducono ad una realtà ancora poco conosciuta: il divario tra Nord e Sud ha cominciato ad esserci tra fine Ottocento e inizio Novecento, quando anche in Italia è iniziato un vero e proprio processo di industrializzazione.
Una regione industriale, nella fase iniziale, genera una forte produttività e un alto livello di occupazione a basso costo, utilizza le altre aree meno sviluppate come mercato, sviluppa forti correnti migratorie interne ed esterne con lavoratori che abbandonano l’agricoltura con salari bassi per ottenere salari più alti.
Chi ha deciso che dovesse essere il Nord a svilupparsi e a produrre e il Sud a fornire manodopera e mercato al Nord? Chi ha deciso in altre parole la “colonizzazione interna” delle regioni meridionali?
Il divario ha raggiunto il limite massimo durante il periodo fascista e nel primo secondo dopoguerra, per poi ridursi negli anni del “miracolo economico” (1955-1973). Un divario che, come attestano anche le relazioni dello Svimez, ha ripreso la sua corsa forsennata dagli anni Novanta in poi, complice la nuova classe politica subentrata a quella della prima Repubblica.
Le politiche economiche adottate dai governi liberali e borghesi dei primi decenni dell’unità sono responsabili di questo divario e sono state imposte da una stretta cerchia di piemontesi, una specie di consorteria indistinta di militari e politici per intenderci, intrisi e fortemente condizionati da pseudoscientifiche teorie lombrosiane che giustificarono ampiamente lo sviluppo del Nord a scapito del Sud.
Daniele e Malanima, economisti puri, su queste questioni non si sbilanciano, mentre guardano solo ai dati economici.
Noi invece, studiosi e storici locali, possiamo farlo e dare un giudizio anche sulla nuova classe politica che negli ultimi 30 anni ha acuito irresponsabilmente il divario:
sempre documenti e statistiche alla mano , dagli anni Novanta in poi con la fine della classe politica della prima Repubblica, il Mezzogiorno è stato totalmente escluso da qualsiasi prospettiva di sviluppo economico per scelte prettamente politiche e ideologiche e l’annosa, e per molti versi fastidiosa, “Questione Meridionale” è stata messa candidamente in soffitta, ritenuta come un problema secondario nell’ambito dello sviluppo sociale, economico e culturale dell’intero Paese.
I fattori per cui questo processo si è verificato ci devono far riflettere e sono, peraltro, tutti di facile lettura.

Michele Eugenio Di Carlo
(Socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia)

 

 

 

 

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