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Pietro Giannone e Celestino Galiani passando per Ludovico Antonio Muratori.

Non sarebbe possibile esprimere la cultura napoletana della prima metà del Settecento senza essere continuamente rimandati alle illustri personalità di Pietro Giannone e di CELESTINO GALIANI.

Galiani era nato nel 1681 a San Giovanni Rotondo – appena un casale alle dipendenze del monastero di San Giovanni in Lama, in una provincia definita «barbara» essendo stata completamente asservita alle esigenze fiscali del Regno.

Volle entrare nell’ordine dei Celestini e svolse il noviziato nel monastero della Trinità a San Severo con un tale fervore da meritarsi nel 1701 dai superiori gli studi presso il monastero di Sant’ Eusebio a Roma; luogo non secondario per la sua crescita culturale e per la sua futura preparazione.

Ed è infatti qui – nel monastero di Sant’ Eusebio – che, avendo a disposizione una biblioteca straordinariamente fornita, la sua vita prende la decisa direzione di quegli studi che lo porteranno verso una vita di successi e di soddisfazioni quale lettore di Teologia morale e Sacra scrittura, procuratore generale dell’Ordine dei Celestini presso la Santa Sede nel 1723 e generale degli stessi dal 1728, arcivescovo di Taranto nel 1731 e, addirittura, cappellano maggiore del Regno nel 1732.

Ed è sempre in
questa biblioteca romana che Galiani, negli anni compresi tra il 1701 e
il 1718, viene a contatto con le discipline che gli forniranno una
preparazione matematico-scientifica più congeniale alle proprie
attitudini: dalla geometria euclidea e cartesiana fino allo studio del
calcolo infinitesimale. E’ in questa biblioteca che Galiani si accosta
all’ _Ottica _di ISAAC NEWTON per poi affrontare i _Principia
mathematica. _E non ha dubbi: tra le teorie cosmologiche di Cartesio e
di Newton – da attento e appassionato scienziato qual era – sceglie
quest’ultimo scrivendo le _Osservazioni sopra il libro di Newton detto
Principia mathematica. _Nel 1714 la conferma della sua visione
newtoniana della realtà arriva con _La Lettera sulla gravità e i vortici
cartesiani_._ _

Celestino Galiani risulta, quindi, da studi
documentati uno dei principali diffusori del newtonianesimo in Italia,
diventando nel tempo un assoluto protagonista nella difficile e
complessa mediazione tra le spinte culturali settecentesche dei «nuovi
filosofi» e le tendenze conservatrici della Chiesa cattolica. Galiani
svolgerà la sua attività culturale con prudenza, facendo circolare i
suoi manoscritti – saggiamente mai pubblicati – tra i pochi intimi
collaboratori e seguaci, tanto più che sin d’allora era risaputo che la
Chiesa non accettava si superasse la linea «muratoriana».

Proprio la
linea tracciata da quel LUDOVICO ANTONIO MURATORI – scrittore e storico
nato a Vignola nel 1672 – che studiando dai Gesuiti si era laureato in
filosofia e in giurisprudenza diventando sacerdote e che nel 1700 era
stato incaricato archivista e bibliotecario a Modena da Rinaldo I
d’Este, presso il quale avrebbe svolto il delicato ruolo di consigliere
fiduciario. Quello stesso Muratori che aveva gettato le basi
metodologiche e scientifiche affinché la ricerca storica ponesse
fondamento esclusivo nell’attenta e circostanziata analisi delle fonti,
emulato e seguito da Giambattista Vico nella propria vasta concezione
ideale della storia.

Non era forse quanto aveva provato a fare lo
stesso Giannone?

Benché Muratori, convinto assertore del rinnovamento
della Chiesa e dello Stato, pur risoluto contro pregiudizi e
superstizioni, circoscriverà l’estensione della ragione davanti a dogmi
e sacre scritture, dettando il limite al cattolicesimo illuminato
accettato dalla Santa Sede.

Eppure ALESSANDRO VERRI, nel suo _Saggio
sulla storia d’Italia_ del 1766, oserà scrivere – riferendosi a Giannone
– che non gli è «mai riuscito di ritrovare nella sua _Istoria _il motivo
de’ grandi tumulti ch’ha eccitati […] Il sig. Muratori negli _Annali_ e
nelle _Dissertazioni _dove tratta di storia ecclesiastica ha avuto
maggior coraggio di lui, e non le sue sfortune. Questa m’è ognor paruta
una contraddizione.»

Celestino Galiani – sebbene avrebbe occupato
importanti ruoli sia sotto gli Asburgici sia sotto i Borbone – si
dimostrerà nei fatti certamente più attento di Pietro Giannone nel
tentativo riuscito di non provocare le reazioni dell’Inquisizione. E
questo diverso atteggiamento tattico condurrà i due conterranei del
primo Settecento verso destini del tutto dissimili.

Ben altra sorte
del Galiani e del Muratori toccherà infatti al GIANNONE – l’altro grande
garganico – il quale si colloca nel solco, profondamente scavato, di un
«giurisdizionalismo» che pretende di ridimensionare vigorosamente le
prerogative della Chiesa negli Stati per mezzo del controllo della
pubblicazione degli atti ecclesiastici (_placet _o _exequatur), _delle_
_relazioni tra papa e autorità religiose di altri stati, della facoltà
di intervento nelle competenze contestate del foro ecclesiastico sul
territorio nazionale e che spinge verso una legislazione volta a
limitare gli ordini religiosi ritenuti inutili e ad escludere
l’estenzione del patrimonio immobiliare ecclesiastico con imposizioni di
natura fiscale e vincoli all’acquisizione di nuove proprietà.

Pietro
Giannone – giurista e storico nato ad Ischitella nel 1676, diventato
dottore in diritto nel 1698 – aveva esercitato l’avvocatura presso lo
studio Argento a Napoli, inserendosi pienamente nell’ambito della
tradizione anticuriale napoletana. Nel 1723 pubblicherà il testo che
darà la svolta alla sua esistenza e segnerà profondamente la cultura
illuministica del Settecento non solo a Napoli, bensì in tutta l’Europa:
_Dell’Istoria civile del Regno di Napoli. _

Un testo_ _nel quale
Giannone rivendica i diritti dello Stato contro le ingiuste pretese
della Chiesa. L’_Istoria_, infatti, ripercorre la storia delle
usurpazioni ecclesiastiche, nega l’origine divina del papato, critica
persino le politiche ecclesiastiche di Carlo Magno con relative
donazioni e l’acquisito potere temporale della Chiesa, polemizza con le
invadenze della Chiesa nelle istituzioni civili del Regno: Exequatur,
foro, immunità ecclesiastica, diritto d’asilo, privilegi feudali, ecc.

La dura requisitoria contro il potere temporale del papato e
l’anticlericalismo acceso costano sin dal 1723 l’esilio a Giannone che,
perseguitato a vita, morirà incarcerato a Torino nel 1748 sotto la
dinastia dei Savoia.

E mentre Giannone vive dolorosamente l’esilio,
appena preso possesso della diocesi di Taranto nel 1731, Galiani viene
nominato cappellano maggiore del regno di Napoli: una carica prestigiosa
decretata da Carlo d’Asburgo, che gli consentirà di essere l’arbitro
delle scuole pubbliche e private, quale prima autorità amministrativa,
disciplinare e giudiziaria nei riguardi di professori e studenti
dell’Università di Napoli. Come cappellano maggiore detiene anche i
poteri derivanti dalla giurisdizione ecclesiastica del regno, sempre in
conflitto di competenza col foro ecclesiastico riguardo alle numerose
cause inerenti diritti, privilegi e rendite delle chiese e delle
cappelle regie sul territorio dello stato napoletano. Spettava, inoltre,
al cappellano maggiore fornire il parere sulla concessione o meno dell’
_exequatur_ relativo a motupropri, brevi, pastorali, encicliche e bolle
provenienti dallo Stato Pontificio.

In qualità di cappellano maggiore,
finalmente può promuovere una riforma universitaria al fine di
rilanciare la centralità degli studi statali nei riguardi di scuole
private e di seminari religiosi; una riforma che prevede la chiusura di
cattedre ormai obsolete e l’istituzione di numerosi nuovi corsi di studi
riferibili alle scienze moderne e sperimentali: Astronomia, Fisica,
Chimica, Botanica.

Da questo posizione di potere, prestigio e forza,
Galiani fonda nello stesso anno con Nicola Cirillo (1671-1734) e
Bartolomeo Intieri (1678-1757) l’ Accademia delle Scienze di Napoli,
dove numerosi studiosi, accademici, ricercatori, scienziati si impegnano
a diffondere le idee e le opere illuministiche di Isaac Newton, John
Locke, Pierre Bayle, John Toland, Mattew Tindal, in contrapposizione con
la scolastica e in perfetta antitesi con l’azione culturale dei Gesuiti
in particolare.

A presiedere l’Accademia nei primi anni, fino alla sua
morte, sarà Nicola Cirillo ( Grumo Nevano, 1671 – Napoli, 1735),
scienziato e medico, che nel 1726 aveva ottenuto direttamente dalla
corte viennese la cattedra più prestigiosa, quella di medicina pratica.
Non senza le raccomandazioni del bibliotecario imperiale Garelli, lo
stesso della cui amicizia si servirà per soccorrere e prestare aiuto
all’amico dolorosamente in esilio a Vienna in quegli anni: Pietro
Giannone.

All’insediamento di Carlo III di Borbone nel 1734 Giannone
spera di rientrare in patria, ma, nell’ambito delle trattative per il
riconoscimento del regno di Carlo da parte della Santa Sede, gli viene
proibito il rimpatrio. Giannone perde la pensione e da Vienna si
trasferisce a Venezia, da dove l’anno dopo viene espulso a causa delle
pressioni dei Gesuiti e degli inquisitori di Stato. Si rifugia a Modena
sotto falso nome e incontra, secondo Franco Venturi, il Muratori. Poi
Milano, Ginevra e Torino nel 1736, dove tratto in inganno da Carlo
Emanuele di Savoia per sottostare alla volontà di papa Clemente XII,
viene arrestato e imprigionato.

Nel frattempo, da politico e
diplomatico di classe, Galiani svolge un ruolo determinante nelle
relazioni diplomatiche che porteranno al Concordato tra Stato Pontificio
e regno di Napoli nel 1741, con importanti risultati per i Borbone.

Infatti, secondo Eugenio Di Rienzo, «le complicate e delicate
trattative, nelle quali il Galiani riuscì ad attuare un’opera di
difficile mediazione tra le pretese pontificie e spagnole e la difesa
delle prerogative del Regno […], si protrassero ben oltre la data del 10
maggio 1738, giorno in cui il pontefice riconobbe formalmente Carlo di
Borbone come re di Napoli. Incagliatisi sulle cruciali questioni del
diritto d’asilo, dell’estensione dei poteri dell’Inquisizione, della
sottomissione dei beni ecclesiastici ai tributi, della giurisdizione
ecclesiastica, i colloqui diplomatici, interrottisi nel 1740 per la
morte di Clemente XII, portarono solo il 2 giugno 1741 alla firma del
concordato, nelle clausole del quale si poteva leggere in ogni caso un
netto rafforzamento della posizione diplomatica del Regno di Napoli
all’interno della penisola e sul piano internazionale, in gran parte
dovuto all’opera del Galiani».

Ma come era stato possibile che lo
Stato Pontificio, solo da alcuni anni costretto a legittimare Carlo di
Borbone re di Napoli, accettasse e firmasse un trattato che lo sminuiva
enormemente nell’arco dei tanto contestati – proprio da Giannone –
poteri temporali, consegnando al regno di Napoli e al casato dei Borbone
una affermazione sul piano politico-culturale che, passata alla Storia,
desta ancora ammirazione e rispetto?

La risposta è nel papa subentrato
a Clemente XII, il quale non solo ci ricollega a Galiani, ma per vie
dirette ci riconduce sorprendentemente alla storia della diocesi di
Vieste e alla famiglia Cimaglia. Era il bolognese Prospero Lambertini,
diventato papa col nome di Benedetto XIV e passato alla storia come il
papa che ambiva a sopprimere il potere temporale per favorire in pieno
clima illuministico la rinascita spirituale della Chiesa.

Prospero
Lambertini aveva già conosciuto Celestino Galiani e i due avevano avuto
modo di condividere una visione del mondo e della Chiesa scevra da
pregiudizi, superstizioni, falsità storiche, diventando amici. Infatti,
nella delicata questione dell’Apostolica Legazia di Sicilia, che aveva
acuito i contrasti tra l’imperatore Carlo VI, quale re di Sicilia, e il
papa Benedetto XIII, i colloqui diplomatici nel 1725 erano stati
condotti da Prospero Lambertini, quale rappresentante della Santa Sede,
e da Celestino Galiani, quale rappresentante dell’ imperatore.
L’amicizia dei due, nel 1728, condusse ad una soluzione che si tradusse
nella bolla pontificia _Fideli,_ che provocò le rimostranze sia degli
ambienti più conservatori del papato, sia le proteste degli ambienti
anticuriali e anticlericali di cui Pietro Giannone in esilio era
diventato un emblema.

È senz’altro lecito, e attuale, chiedersi
perché – nonostante l’avvento al papato di Prospero Lambertini e i
notevoli risultati acquisiti dal concordato in direzione delle tesi
giannoniane – Pietro Giannone continuerà ad essere prigioniero nelle
carceri di Torino, fino a morirne nel 1748.

Davanti agli immani
sforzi dei lumi «per l’affermazione dei diritti civili (tolleranza,
libertà religiosa, emancipazione di etnie e generi fino ad allora
oppressi)» possiamo oggi commuoverci, come Eugenio Di Rienzo nei suoi
preziosi _Sguardi sul Settecento_. E, come lui, ci pare tuttora che
«quelle battaglie non sarebbero state neppure possibili se non fossero
state precedute dall’affermazione del più importante di tutti i diritti,
quello della proprietà dell’individuo sulla sua persona, sui frutti del
suo lavoro, sui suoi beni».

Michele Eugenio Di Carlo

Socio
ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia

 

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