Menu Chiudi

Reporter della Tua Città/ “Lavorare con “i più piccoli” significa rifare continuamente i propri studi”.

Caro direttore,
ho deciso di scrivere una lettera alla redazione per dar voce ad un’osservazione che sento necessaria da qualche tempo. Ho avuto modo negli ultimi anni di confrontarmi con insegnanti di scuole diverse e genitori, ma soprattutto con tanti bambini, i quali mi hanno fatto capire una cosa che penso sia un po’ sottovalutata dagli adulti e dalla scuola stessa: (e che forse è alla base di qualche problemino dalle nostre parti)
lavorare con “i più piccoli” significa rifare continuamente i propri studi, farsi rieducare continuamente da loro perchè si conservi il senso più profondo del termine educare dal latino e- e ducere: trarre/condurre/portar fuori – il talento e le qualità creative che ognuno possiede.
A Vieste che l’insegnante si faccia promotore di creatività e cultura non è poi così scontato (a tutti i livelli), i bambini manifestano difficoltà e troppo spesso sono portati a rifiutare attività di tipo culturale al di fuori dell’ambiente scolastico, che a quanto pare non riesce ad accendere del tutto e alimentare la tensione al conoscere. Il perchè lo spiega meglio di me uno sconosciuto qualunque:
“Quando si presenta nei bambini il distacco, la disaffezione dal lavoro scolastico, è la stessa che si può presentare nel lavoratore che fa un lavoro esecutivo comandato, parcellizzato di cui non conosce lo scopo finale. Sia il bambino a scuola, sia l’operaio in fabbrica, lavorano per un progetto alla cui costruzione non hanno partecipato. Non c’è gioia in quel lavoro e non ci può essere. Non esiste la gioia del lavoro in sè. Esiste la gioia del progetto e del lavorare per il progetto. Questo può accadere a scuola. Questo non accade nel nostro mondo.” (Gianni Rodari)
I programmi a livello ministeriale prevedono milioni di argomenti, non tutto dipende dai soli insegnanti, ma da questi dipende l’importanza che viene data al processo di apprendimento e al metodo utilizzato.
Ciò che circonda i ragazzi, gli stimoli che questi ricevono sono notevolemente diversi rispetto al passato. Non si possono ignorare tali fattori. È inaccettabile che l’insegnamento sia ridotto ancora a spiegazioni unicamente frontali, seguite da altrettante interrogazioni, per non parlare degli infiniti compiti per casa (per lo più compiti dati ai genitori). Penso che si possa fare di più e molto meglio a scuola. Ai bambini è chiesto di imparare ripetendo all’interrogazione tutto ciò che l’insegnante ha elaborato in precedenza per loro, in termini di ricostruzione del tutto, durante la solita spiegazione in aula. I piccoletti riescono anche a farlo lì per lì, ma come diceva un grande maestro di Giove “equivale a farli mangiare e vomitare”, perchè non approfondiscono davvero, non assimilano nulla, non si incuriosiscono ulteriormente e continuano a non avere alcun tipo di esperienza diretta con gli argomenti trattati.
«Organizziamo una scuola tale da favorire il sorgere e lo sviluppo in tutti i ragazzi di quelle qualità e tendenze che sono indicate come caratteristiche dei tipi creativi » (Gianni Rodari, Grammatica della fantasia.)
Oggi è forse necessario fare qualcosina in meno a livello di programmi, ma dare nuova importanza al dialogo in aula, metterlo al centro dell’attività per chiarire quelle idee che tramite parole nascono in un gioco di reciproco ascolto e scambio, innanzitutto tra i bambini. Così l’apprendimento potrebbe smettere di essere meccanico e superficiale e i futuri adulti smettere di essere semplici ripetitori di codici.
Infine, vorrei ricordare che nel secondo settennio di vita i bambini smettono di imparare solo per imitazione, cercano un mondo bello da sperimentare. L’ arte e i lavori manuali, più di tutto, li aiutano in questo: smettere di far usare matite e colori solo nei momenti in cui non si sa cosa fare, sarebbe un ottimo inizio e soprattutto un grande aiuto per evitare di continuare a sminuire l’importanza di tali discipline. Dare forma ad un pensiero con le mani (non colorare solo nei contorni) permette di sostare, approfondire, entrare dentro, quindi vivere ciò che si fa.Bisognerebbe fare dell’incontro con i ragazzi un momento di vita, non un momento scolastico, ogni giorno.
Janusz Korczak un medico e maestro ebreo polacco che accompagnò i suoi allievi fin nei lager nazista scrisse:
«È faticoso ascoltare i bambini. Avete ragione. Poi aggiungete: perchè bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, farsi piccoli. Ora avete torto. Non è questo che più stanca. È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli.»
Ringrazio la redazione per l’attenzione e per ciò che fate ogni giorno con passione e dedizione.

V. d.S.