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La quarta mafia d’Italia a Foggia esiste da 30 anni. Emerso in commissione Adesso è un «caso nazionale», ma la sua pericolosità è… datata.

Una certezza e due possibilità. La certezza è che a livello nazionale il «caso Foggia» rappresenta una delle principali criticità sul fronte della lotta alle mafia in Italia; le eventualità sono l’istituzione di un Reparto prevenzione crimine della Polizia che trovrebbe una propria sede San Severo, e l’ipotesi di aprire a Foggia una sede della Dia, la direzione investigativa antimafia, come da più parti si chiede da tempo, con tanto di raccolta di firme in città nei mesi scorsi. È quanto emerso nell’ultima riunione della commissione parlamentare antimafia svoltasi a Roma presieduta dal presidente Rosy Bindi ed alla quale ha partecipato anche il ministro dell’Interno Marco Minniti (del cui intervento su Reparto prevenzione crimine e Dia riferiamo a fianco ndr).
«Nelle nostre missioni in varie zone d’Italia» ha detto l’on. Bindi «abbiamo registrato due criticità, una delle quali (l’altra è e Rimini ndr) «riguarda Foggia dove ci è stato sottolineato il problema di immettere personale che abbia la capacità di leggere problematiche che prima non c’erano». Dall’autunno dell’86 (nel maggio di quell’anno c’era stata la strage al circolo Bacardi a Foggia con 4 morti ammazzati e un ferito, collegata alla prima delle 7 guerre della trentennale storia della «Società foggiana», la mafia di Foggia: ad oggi resta il più grave fatto di sangue mai avvenuto in Puglia nell’ambito di guerre di mafia) ad oggi la commissione parlamentare antimafia si è occupata dieci volte del «caso Foggia», con audizioni di magistrati, forze dell’ordine, prefetti svoltesi 9 volte in prefettura (la decima fu a Bari). Se nella prima visita dell’autunno ‘86 la commissione pose l’accento su una criminalità a macchia di leopardo e sui rischi di sottovalutazione dei fenomeni malavitosi, da anni è accertata l’esistenze di varie mafie nel territorio, con gli investigatori che peraltro qualche anno fa dovettero spiegare ai componenti dell’organismo parlamentare che Foggia e la Capitanata non c’entrano nulla con la «Sacra corona unità», ossia la mafia del Salento.
L’ultima visita in città della commissione parlamentare antimafia è dello scorso 26 aprile quando proprio la Bindi incontrando i giornalisti ribadì che Foggia era un «caso nazionale». Le mappe dei clan periodicamente stilate dalla Dia per le relazioni semestrali al Parlamento sulla situazione della criminalità organizzata in Italia parlano di 28 gruppi, mafiosi e non, dislocati su quasi tutta la Capitanata, terza provincia più grande d’Italia: l’unica isola felice è tornata ad essere Lucera e il Subappennino, dove pure ci fu una guerra tra clan sul finire del vecchio secolo e l’inizio del millennio e che venne stroncata da blitz e processi con condanne anche all’ergastolo.
Resta da capire a cosa si riferisca l’on. Bindi quando parlando della criticità del «caso Foggia» ha detto che «il problema sottolineato alla commissione è quello di immettere personale che abbia la capacità di leggere problematiche che prima non c’erano». La storia investigativa-giudiziaria di Foggia e provincia racconta di iniziali sottovalutazioni (all’epoca della strage Bacardi del primo maggio ‘86 ci fu chi parlò tra le istituzioni di «delinquenti che si ammazzavano tra loro», senza dimenticare che il «clan dei montanari» è potuto diventare così potente sul Gargano dopo anni di impunità per decine e decine di omicidi legati a faide tra allevatori), ma è dai primi anni Novanta che a Foggia è stata «scoperta» ed accertata giudiziariamente l’esistenza della «Società». E da allora si sono susseguiti decine di blitz. La presa di coscienza della forza e pericolosità delle mafie daune (la «Società» è stata definitiva recentemente dal procuratore nazionale Franco Roberti la quarta in Italia dopo Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra; nel 2011 in occasione di alcuni omicidi nella zona di Manfredonia la mafia garganica fu etichettata come una delle più sanguinarie del panorama nazionale) è sicuramente aumentata negli ultimi anni a livello nazionale. Ma questo non vuol dire che le mafie siano state scoperte solo negli ultimi anni. La conoscenza da parte di investigatori e magistrati dei fenomeni mafiosi e dei personaggi – a ben vedere sono sostanzialmente gli stessi già emersi negli anni Ottanta, salvo quelli ammazzati nell’ambito di quella che un ex capo della squadra mobile definì «strategia pensionistica» della criminalità organizzata – è datata e certificata da oltre vent’anni di arresti, processi e condanne.

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