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[Il reportage] Viaggio nella spiaggia da sogno del Sud finita in mano alla nuova mafia. Qui si uccide in strada ma gli imprenditori provano a ribellarsi

“Accid u re e scapp a Vist” è il proverbio citato dal consigliere comunale Sandro Siena per evocare la leggenda dei delitti impuniti a Vieste: chi compie un assassinio in una qualunque parte della regione, è sicuro che rifugiandosi nel territorio garganico si pone al riparo dai rigori della giustizia, tra grotte, insenature, ripide e tanta foresta; quindi, “Vieste terra dell’impunità” è da intenderla in riferimento alle caratteristiche del territorio, un tempo assai utili per le latitanze.
Ma partiamo dall’inizio, da ciò che ha motivato questo nostro viaggio in terra garganica. Giovedì 27 luglio, prime ore del pomeriggio: in una delle strade più frequentate di Vieste, un killercol volto coperto dal casco scende da uno scooter sul quale lo aspetta il complice, in mano una pistola calibro 9, entra in un ristorante ed uccide il proprietario, un uomo con precedenti penali. Un omicidio di mafia, per la prima volta con modalità inedite per quel territorio: in pieno giorno, nel cuore della stagione turistica, in una zona assai frequentata del centro. Poco dopo si assiste all’aggressione del giornalista Nello Trocchia,(firma autorevole di tiscali.it e inviato per Raidue) si trovava a Vieste per realizzare un servizio sulla mafia garganica: appresa la notizia dell’omicidio, come ogni buon cronista si reca sul posto e qui viene bastonato.
E’ molto importante capire dove siamo. Vieste è una bellissima cittadina con 14 mila abitanti che negli ultimi decenni, grazie all’intraprendenza di tanti imprenditori, ha conosciuto uno straordinario sviluppo turistico valorizzando le straordinarie risorse del mare, delle spiagge e dell’ampia foresta umbra; da un’economia marginale a vocazione agricola si è imposta come una delle più importanti mete turistiche del nostro mezzogiorno, a livello di Taormina, Cefalù, il Salento. Oggi dispone di oltre cento mila posti letto, tra censiti e non, e l’intero paese è un grande albergo diffuso; ogni anno le presenze turistiche superano di molto i due milioni. Ma come spesso accade nelle cose belle del Sud, parallelamente, si mettono in moto dinamiche criminali attirate dall’esplosione di ricchezza. Il primo obiettivo di questa criminalità, ovviamente, non poteva essere che gli imprenditori a cui imporre servizi di guardiania e pagamento del pizzo; per chi non ci stava attentati, incendi, danneggiamenti. Questi gruppi criminali nel tempo diventano clan mafiosi e hanno fondato la loro forza su una diffusa sottovalutazione a 360 gradi, dall’opinione pubblica alle istituzioni: “no, qui, la mafia non c’è” è stato per tanti anni il ritornello, ripetuto come un disco rotto.

Finalmente, nel 2009, si presenta una novità: un gruppo di operatori turistici di successo inizia a reagire all’intimidazione delle bombe; nasce l’associazione antiracket, giungono le prime denuncie e inizia la collaborazione con l’autorità giudiziaria. Si ha così il primo di alcuni processi contro gli estortori di Vieste, il più noto detto processo “Medioevo”. Un lungo dibattimento segnato dalle testimonianze degli operatori economici che raccontavano ai giudici anni di violenze e soprusi; le mattine in cui si sarebbe svolta la testimonianza della vittima, da Vieste partiva un bus per accompagnare i colleghi e far sentire la solidarietà e il sostegno dell’intera città a chi si esponeva nell’aula di giustizia. Il 4 febbraio del 2014 viene letta la sentenza: gli imputati vengono condannati per estorsione, ma per i loro delitti, contro la richiesta dell’accusa, non si riconosce l’aggravante mafiosa. L’effetto è semplice, a poco a poco gli imputati vengono scarcerati, tornano in giro nel paese (proprio pochi giorni addietro la Corte d’Appello di Bari ha riconosciuto l’aggravante mafiosa ad un imputato).
Non ci vuole molto, purtroppo, perché siano “i fatti” a ribaltare quella sentenza. Colui che al processo era indicato come il “capo”, a gennaio del 2015, cade sotto i colpi di un organizzato raid mafioso ed è il primo di una teoria di omicidi, ben sei sino all’altro ieri, tre tentati omicidi, un caso di sparizione. Sono numeri spaventosi in proporzione agli abitanti e, sicuramente, secondo le statistiche ben più alti di alcuni quartieri napoletani. Adesso sono questi fatti che impediscono la possibilità di negare l’esistenza della mafia: se non sono bastate le denunce degli imprenditori, questi omicidi fugano ogni dubbio.
Ma perché si è scatenata questa furiosa guerra di mafia? E cosa succederà quando i gruppi mafiosi avranno trovato un nuovo equilibrio? Sono queste le domande che tormentano la coscienza delle persone perbene. Sabato 29 luglio, a 48 ore dall’ultimo omicidio, si riunisce in seduta urgente il consiglio comunale, all’ordine del giorno: “emergenza criminalità- determinazioni”. Alle 15,55 in una sala affollata da consiglieri e cittadini, prende la parola il Sindaco, Giuseppe Nobiletti, un giovane avvocato, famiglia di albergatori, uno dei fondatori dell’associazione antiracket, da un anno al governo del paese. Nella sala, battuta duramente dal sole estivo, c’è un caldo torrido, non c’è aria condizionata, solo un piccolo ventilatore in un angolo; solo il segretario comunale è con giacca e cravatta, il sindaco indossa solo la giacca.
Quasi tutti i consiglieri prendono la parola. Alla fine si vota un documento con il quale si chiede un incontro urgente al Ministro dell’Interno Marco Minniti: non si tratta, come spesso accade in casi di questo tipo, di chiedere uomini, mezzi, sedi, ecc.: le parole del Sindaco sono limpide quanto consapevoli: “non chiediamo l’esercito a Vieste, chiediamo semplicemente che ci venga data la giusta attenzione”. E’ chiaro a tutti che oggi il grande vantaggio per la mafia è questa condizione di marginalità mediatica, l’essere il Gargano lontano- solo come percezione, essendo altra la realtà- dai circuiti criminali considerati veramente pericolosi. Solo da pochi anni, a livello delle istituzioni locali, e non tutte, si è invertita una tendenza alla sottovalutazione: dal procuratore distrettuale Volpe, al pm Gatti, ai carabinieri e alla polizia; e ad un eccellente prefetto con la schiena dritta, Maria Tirone, che proprio venerdì mattina è stata assegnata ad un’altra sede. Ma tutto questo non basta. Siamo in una situazione di grave emergenza, lo Stato deve essere in grado di manifestare lo stesso impegno che in altri momenti e in altre aree ha saputo esprimere (pensiamo al contrasto ai casalesi di Gomorra).
C’è una ragione, quella decisiva, a rendere questo impegno inderogabile. Annamaria Giuffreda, consigliere comunale e medico, pronuncia lucide parole: “non siamo di fronte ad una semplice faida tra clan, ma ad una guerra che ha come posta in gioco il controllo del territorio”. Di questo si tratta, di distruggere una delle più ricche economie del mezzogiorno d’Italia. La riorganizzazione della mafia garganica avrà l’effetto di tornareviolenta a battere le aziende che danno lavoro a migliaia di famiglie, di provare a condizionarne la libera attività imprenditoriale; la posta in gioco non sono solo i delitti “fine”, la posta in gioco è il futuro di questa economia d’avanguardia. Proprio in queste terre è esplicitato chiarissimamente il paradigma mafioso. Pino Vescera è uno degli operatori turistici dell’antiracket; nel febbraio del 2011 si trovava a Milano per partecipare alla Borsa internazionale del turismo, e proprio mentre era impegnato a promuovere le bellezze e le offerte del Gargano, la notte tra venerdì e sabato i mafiosi, per rappresaglia alla sua denuncia, incendiano e distruggono per intero il ristorante Scialì(per fortuna riaperto entro pochi mesi grazie ai risarcimenti della legge antiracket): questa storia, più di qualunque saggio sociologico ci rimanda all’incompatibilità della mafia con il benessere e lo sviluppo.
Ma questo è un discorso ancora aperto con quegli imprenditori che non hanno saputo utilizzare lo strumento dell’associazione antiracket per liberarsi da ogni condizionamento mafioso; e, purtroppo, sono ancora tanti. Una risposta a livello giusto sicuramente potrà agevolare anche i percorsi di collaborazione del mondo imprenditoriale. Intanto a Vieste ci sono Vittoria, Peppino, Gigi, Vito, e altri coraggiosi imprenditori a cui si deve la possibilità di poter dire che oggi, luglio 2017, Vieste è la terra dell’opposizione alla mafia.

(di Tano Grasso inviato a Vieste (Foggia) – tiscali.it)

 

 

 

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