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DALLA CAPITANATA ANCORA ALLARME SUD

Ne parliamo troppo poco!
Quasi fosse il frutto di una nebulosa visione onirica e non la cruda, sprezzante, altezzosa realtà con la quale fare i conti. Da meridionali, spesso rassegnati, quasi perduti in un’identità labile, spesso indecorosamente rinnegata.
E non ci indigniamo mai abbastanza!
Quasi che il sentimento di abbandono, ottenuto con la copertura di una classe politica inutilmente eletta, non sfiori il fulcro della nostra “solitudine” sociale, del nostro isolamento arcaico, della nostra anima migrante ricca di antichi splendori culturali di cui la «nazione» del Sud è depositaria e le nuove generazioni destinatarie mancate.
A quando una riflessione sul nostro divenire?
Spaziando la mente volutamente nei suoi infiniti e tortuosi labirinti, scorrono le immagini del contadino che straziato ma fiero, ai fianchi ripidi della montagna ha sottratto piccoli pezzi di terra, aspra e dura, per non consegnare la prole al distacco dal suolo natio e che, passando dal regno dei Borbone a quello dei Savoia, non riesce a definire chiaramente cosa ci abbia guadagnato il suo Sud, giunto ora all’altare sacrificale del federalismo.
Ed è una domanda che rimbalza dalla Sicilia alla Basilicata, dalla Calabria alla Campania, dalla Terra di Otranto alla Terra del Lavoro, al di qua e al di là del Faro, seguendo un’onda che unendo le mille solitudini si increspa e diventa lunga e alta, quasi minacciosa.
I rintocchi delle campane annuncianti nuove elezioni imminenti ci obbligano a destarci dal torpore, riportandoci alla realtà cruda, toccando l’orgoglio ferito, sussurrando verità troppo a lungo velate, ripresentando un quesito antico ma attuale: quale patto scellerato, inaccettabile, i nuovi candidati premier stanno perpetrando ai danni e contro il Sud?
A chi dovrebbe affidare il Sud l’alto compito di governare il proprio territorio dopo 156 anni di politiche nefaste?
In un contesto nel quale il leghismo padano, non prova nemmeno più a nascondere il suo connaturato e sfrenato antimeridionalismo , il suo naturale egoismo territoriale, il suo razzismo non più solo strisciante, la sua incolta e immatura intolleranza ideologica. Un leghismo che ha saputo costruire dal nulla una falsa «questione settentrionale», riuscendo dagli anni Novanta in poi a dividere profondamente, ad ottenere un’Italia contro l’altra, un Nord a spese di un Sud, una Padania ancora «efficiente» e ricca, un Meridione misero e sottosviluppato.
Ed è così che i servizi pubblici essenziali della scuola, della formazione, della sanità, dell’ordine pubblico, e le infrastrutture, già in piena fase critica, stanno subendo un tracollo pauroso con servizi pubblici da paese sottosviluppato, quasi da terzo mondo.
Mentre l’economista pugliese Gianfranco Viesti, dalle pagine del quotidiano “L’Attacco” del 12 settembre, snocciola dati e statistiche che fanno male: «Al Sud sono venute a mancare negli ultimi anni, tanto la spesa ordinaria in conto capitale […], quanto la spesa della politica nazionale di coesione territoriale […] la spesa per interventi nazionali finalizzati allo sviluppo del Mezzogiorno, che si aggirava intorno allo 0,8 per cento del Pil italiano negli anni Settanta, è progressivamente scesa, fino allo 0,47 per cento negli anni Novanta, allo 0.33 per cento nel primo decennio del nuovo secolo e allo 0,15 per cento del 2011-2015… ».
È ancora e sempre l’ora di colpevolizzare lombrosianamente «sic et sempliciter» le nostre debolezze? Dal clientelismo al nepotismo, dalla corruzione alla cementificazione del territorio, dal cinismo delle imprese all’incapacità cronica di una classe politica mai nostra e all’altezza, dallo sviluppo distorto, casuale, caotico, disordinato alla criminalità invasiva. E basta?
Tra silenzi e insensibilità, si aprono degli spazi anche per la Capitanata: la «Rete Spac» (Sistema produttivo agricolo Capitanata) del volenteroso e caparbio Michele Lauriola e il blog «Lettere Meridiane» dello stimato e prezioso Geppe Inserra invitano a non arrendersi, a confrontarsi, a unire le forze, a riprendere i contatti con i nostri giovani emigrati, ricchi di competenze e professionalità.
Un tentativo per non sprofondare nel baratro, per tracciare un solco nella direzione della rinascita unendo il mondo delle associazioni, del volontariato, della cultura, delle imprese.
Occorre sostenerlo! Perché non scatti l’ora della rabbia impotente, della critica feroce, della rivendicazione assolutoria, della difesa “ad libitum”.
Per non perdere, anche e persino, la nostra credibilità.

Michele Eugenio Di Carlo

 

 

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