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Olio spagnolo a fiumi dilaga il “falso” pugliese.

L’ombra lunga dell’Arbequina sull’olivicoltura di alta qualità pugliese. L’ipotesi avanzata nello scorso novembre trova autorevoli conferme. L’incremento esponenziale di impianti – intensivi – della varietà spagnola di ulivi presta il fianco alla magica trasformazione olio iberico in mode in Puglia. Sappiamo bene che le analisi di laboratorio rivelano anche la provenienza e olive dalle quali è stato ricavato l’olio, la presenza massiccia di Arbequina consente, con modeste difficoltà, di affermare che l’olio è stato ricavato sì da olive di origine iberica, ma prodotte in Puglia. La prova del nove viene fornita all’Istat. In Puglia l’import di oli e grassi nei primi 9 mesi del 2017 è aumentato del 20% . Nella regione più olivicola d’Europa, io arrivato dalla Spagna ha segnato un 3% (175 milioni e 853mila euro di proto). «Briciole» da Marocco, Tunisia, Turchia e Portogallo. Dimezzato (-48%) il quantitativo greco. Cifre che spiegano anche come mai il prezzo dell’olio della campagna ancora in corso, di qualità eccellente, non registri un’impennata nei prezzi.
L’alta cucina non offre spazi al prodotto iberico, fatta eccezione per limitate aree grafiche del Paese. «L’olio, per i piatti ha la funzione e l’importanza che un pilastro ha per edificio. Pertanto deve essere lucano o pugliese», afferma Francesco Abbondanza, noto chef del risto¬rante «Abbondanza lucana» di Matera. Ma, a prescindere dal filone iberico, il mercato impone al¬tri interrogativi. Possibile mai che gli oli di scarsa qualità riescano a spuntare prezzi così tanto vicini a quelli dell’extravergine? Il mercato preferisce i prodotti raffinato, di oliva e vergine all’extravergine? «Nell’ultimo decennio le importazioni complessive in Puglia sono cresciute più rapidamente delle esportazioni, confermando il sostanziale deterioramento della posizione competitiva della filiera pugliese sui mercati esteri», dice il presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cautele. «Gli oli stranieri – aggiunge – vengono importati soprattutto dalla Spagna, acquistati a prezzi più bassi rispetto al prodotto regionale e utilizzati dagli imbottigliatori per realizzare miscele con oli del territorio. L’extravergine pugliese è esportato in Usa, Giappone, germania, Svizzera, Francia, Australia e Canada». Il mercato dell’olio extravergine è tuttora drogato dalle importazioni di olio. «La globalizzazione dovrebbe essere un valore aggiunto sia per l’import che per l’export, invece noi rischiamo di continuare a subirla, senza riuscire a valorizzare appieno le eccezionali qualità dei nostri oli», denuncia Carlo Barnaba, olivicoltore di Monopoli. «Di certo, è colpa nostra – ammette – perché non siamo ancora riusciti a tener testa ai nostri colleghi del vino in termini di marketing e immagine, ma nel nostro settore la competizione è impari. In questo quadro di flussi di prodotto estero, abbiamo sempre la peggio». E passiamo a un profilo per nulla trascurabile: l’italianità che va sempre difesa, ad ogni costo, come sottolinea Floriana Fanizza, imprenditrice olivicola di Montalbano di Fasano, nel Brindisino. «Guai – avverte – a far perdere questa peculiarità ai nostri prodotti: distruggeremmo un patrimonio, tutto pugliese. E, soprattutto non è più accettabile che i dati sulle importazioni vengano secretati. Perché non si può sapere che fine faccia l’olio importato? La Repressione frodi, nella mia azienda viene anche due volte l’anno, ad inizio e a fine campagna. Ben vengano i controlli, tant’è che abbiamo instaurato un rapporto proficuo con l’autorità. Ma sarebbe opportuno – conclude Fanizza – che fossero messe sotto la lente anche strutture dotate di centri di stoccaggio in grado di detenere ingenti quantitativi di olio importato».
Sotto accusa anche la mancanza di trasparenza: quattro bottiglie su cinque di olio extravergine, in vendita in Italia, contengono miscele di diversa origine che restano sconosciute al consumatore. Il bassissimo corpo tipografico delle scritte riportate in etichetta, rende illeggibili queste ultime. Leggere le diciture «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari» è appannaggio solo dei falchi.
«I controlli dovrebbero verificare in primis la qualità dell’olio importato perché non è detto che in Italia entri sempre olio di qualità», dice Saverio Guglielmi, olivicoltore di Andria. «Sarebbe anche utile comprendere – termina – quali vie prenda il prodotto negli stati sfuso e imbottigliato, monitorando le vendite dei prodotti italiano, comunitario, extracomunitario. Se risulta più venduto l’olio italiano rispetto al comunitario, i conti non tornano».

Marco Mangano
gazzettamezzogiorno

 

 

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