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Reporter della Tua Città/ IL SILENZIO DI VINCENZO

Questo delle foibe ha risvegliato un vecchio ricordo che risale ai tempi in cui frequentavo la scuola superiore. Antonio era il nome del ragazzo che mi ritrovai come compagno di banco; discreto, sobrio nel vestire ma ordinato, pacato nei modi, si rivelò fin dai primi giorni un ragazzo intelligente e molto bravo nello studio. Nonostante la diversità di carattere diventammo molto amici tanto che nel corso degli anni eravamo assidui frequentatori delle rispettive case per motivi di studio o semplicemente per trascorrere del tempo insieme. Vincenzo era il nome di suo padre e spesso capitava che la sera , quando rientrava dal lavoro, mi pregava affinché io restassi con loro a cena. Vincenzo era sempre silenzioso, spesso con lo sguardo perso nei suoi pensieri. Io associavo questo suo atteggiamento alla stanchezza dovuta al lavoro o a chissà quali problemi. Erano gli anni in cui andava di ”moda” essere politicizzati e con fare borioso esternavamo tutta la nostra saccenza cercando di coinvolgere Vincenzo nei nostri discorsi e scoprire così da che ”parte” stava. Per tutta risposta Vincenzo si alzava , ci sorrideva e andava a sedersi sul divano in attesa che il sonno prendesse il sopravvento su di lui. Questo suo essere avulso ai nostri occhi rappresentava il tipico atteggiamento di chi si vuol tenere lontano dai guai o di chi non è in possesso di argomenti per controbattere e fu spesso motivo di discussione per qualche tempo tra me e il mio amico. Passarono alcuni anni , eravamo al quarto superiore e Vincenzo morì, se ne andò come l’avevo conosciuto, in silenzio. Dopo alcuni giorni andai a casa di Antonio e lo trovai con le lacrime agli occhi, pensai che la perdita del padre gli doveva pesare ancora tanto e cercai di consolarlo. Senza dire una parola mi passo un vecchio quaderno con la copertina nera e le pagine ingiallite, di quelli che si usavano una volta alle scuole elementari; mi invitò a leggere, era una specie di diario che Vincenzo aveva scritto quando fu costretto , insieme a dei parenti, a lasciare Pola in Istria e della paura, la fame, il dolore di aver perso entrambi i genitori e il difficile peregrinare da un luogo all’altro dell’ Italia per ritrovare una parvenza di serenità. Da quei fogli trapelava tanta rabbia per coloro che trovavano la motivazione di tutto ciò con le atrocità dell’occupazione italiana della Jugoslavia – che pure ci furono e non andavano dimenticate. Ma nelle FOIBE non furono gettati fascisti; furono gettati italiani proprio in quanto italiani e tra loro molti antifascisti. E fu allora che venni a conoscenza della parola FOIBE e di tutto il suo terribile orrore che gli veniva attribuito. Ricordo nei giorni successivi, a scuola, io e il mio amico Antonio chiedemmo al nostro professore di storia – una persona mite e di idee liberali – perché nei libri di storia non si faceva cenno alle foibe. Ricordo ancora la sua risposta – ” La storia che io vi insegno è ancora più terribile di come viene raccontata. Al tempo è demandato il compito di raccontarla quando i rancori si saranno sopiti e l’umanità avrà capito quali immani tragedie possono scaturire dalle ideologie estremiste, esse prevaricano la dignità e la libertà dell’individuo”. All’epoca quelle parole parzialmente le capii, ma quello che invece mi risultarono chiare furono quelle di Vincenzo che scrisse nell’ultima frase del suo diario: ” Per lui aveva senso tornare a vivere se non si fosse dimenticato il passato”. Purtroppo finché visse il passato fu ignorato e il suo silenzio mi fu chiaro in tutta la sua drammaticità. Ora mi piacerebbe che proprio in quella istituzione – di cui all’epoca non ebbi risposta , cioè la scuola, venisse ricordato questo tragico periodo e le vittime . Glielo dobbiamo ai tanti Vincenzo

Gaetano Manfredi

 

 

 

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