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Vieste/ Ucciso un altro dei Notarangelo. Gianbattista di 46 anni, era parente di “Cintaridd”. In tre anni 7 omicidi, 4 agguati falliti e una lupara bianca (2)

L’agricoltore vede i maiali vicino all’uomo steso a terra, pensa possa essere stato aggredito e li caccia via, per poi scoprire che non sono gli animali aver fatto scempio ma la lupara. Si torna ad uccidere a Vieste dove dal 26 gennaio 2015 ad oggi ci sono stati 7 omicidi, 4 agguati falliti e una lupara bianca, tutti casi irrisolti, legati ad una guerra che vede coinvolti non solo clan locali ma anche alleati di altre zone del Gargano e del Foggiano. Senza dimenticare poi che proprio in un paio di grave di Vieste a marzo sono stati ritrovati i resti umani di due vittime della lupara bianca degli anni scorsi. L’ultima vittima è Giambattista Notarangelo, 46 anni compiuti il 6 febbraio, guardiano, condannato a 7 anni e 6 mesi in appello nel luglio scorso per estorsione aggravata dalla mafiosità – per la prima volta riconosciuta in un processo alla mala viestana – nel processo «Medioevo», cugino dell’ex capo clan Angelo Notarangelo, alias «Cintaridd», l’allevatore ucciso a 37 anni alle porte della capitale del turismo all’alba del 26 gennaio di tre anni fa, agguato che diede il via alla scia di sangue. Procura, squadra mobile di Foggia, commissariato di Manfredonia e carabinieri cercano di far luce sul terzo omicidio dell’anno in Capitanata. Il cadavere è stato rinvenuto in una zona interna stilla strada provinciale per Peschici, in località «Palude Mezzane», alle 4 di pomeriggio e dopo l’allarme di un agricoltore. Secondo una prima ancora sommaria ricostruzione dei fatti, Giambattista Notarangelo sarebbe arrivato sul posto in auto per poi scendere (in fuga dai sicari?). Sul luogo dell’agguato la «scientifica» ha repertato 18 bossoli e cartucce, il custode è stato raggiunto da almeno 6 colpi di pistola e fucile in varie parti del corpo. La Polizia ha eseguito 3 stub (la ricerca di residui di polvere da sparo su mani e vestiti di sospettati) su persone ritenute legate ad uno dei clan della zona. È il primo omicidio di mala avvenuto nel Foggiano (non solo l’area garganica) dal 9 agosto 2017 quando sulla strada «Pedegarganica» tra gli agri di San Severo e San Marco in Lamis un commando di 4 sicari pur di uccidere Mario Luciano Romito, 52 anni, manfredoniano esponente dell’omonima famiglia e scarcerato da 6 giorni, non esitò ad eliminare anche il cognato che gli faceva da autista e due fratelli agricoltori in transito sulla strada. All’indomani della strage di mafia il ministro dell’Interno Marco Minniti, presiedendo in prefettura a Foggia una riunione straordinaria del comitato nazionale per la sicurezza e l’ordine pubblico, annunciò che la risposta dello Stato sarebbe stata durissima e mandò 200 rinforzi in Capitanata: dal 10 agosto si sono susseguiti controlli, rastrellamenti, arresti, sequestri di armi e munizioni e il «crollo» degli omicidi di mala (pur registrando in 8 mesi altri 5 omicidi non legati al mondo della criminalità). Peraltro Vieste è una delle 5 macroaree – le altre sono Foggia; Cerignola-Orta Nova; Manfredonia-Mattinata-Monte Sant’Angelo; e San Severo-Apricena-San Marco in Lamis – dove sono tutt’ora concentrati sforzi investigativi e controlli a tappeto. Ma che la tregua a Vieste fosse finita, era apparso chiaro dalla sera del 21 marzo quando sfuggì miracolosamente ai colpi di mitra e fucile il boss emergente , Marco Raduano, 33 anni sorvegliato speciale, ex luogotenente di «Cintaridd» ucciso tre anni fa, e considerato al vertice di uno dei clan nati dalla divisione dell’originario gruppo e ora in guerra. Per cosa si combatte e muore? Per il racket della guardiania, per la droga che vede da qualche anno le coste viestane approdo di centinaia, di tonnellate di marijuana provenienti dall’Albania destinate ad alimentare i mercati foggiani e di altre zone d’Italia.

gazzettacapitanata

 

 

 

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