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Sanità/ Amati: “Sui punti di primo intervento c’è una soluzione”

“La questione dei punti di primo intervento è di pronta soluzione per le strutture esistenti con più di 6.000 accessi annui. Bisogna solo riflettere un po’ per quelle con meno di 6.000 accessi e particolarmente distanti da presidi ospedalieri o territoriali”. Lo dichiara il presidente della commissione regionale Bilancio, Fabiano Amati.
“Si tratta infatti di istituire, come previsto dal decreto Balduzzi, le unità complesse di cure primarie (Uccp), aperte ovviamente al primo intervento con personale 118. Si tenga inoltre conto che per molti casi si tratterebbe solo di soluzione formale (cambiare il nome) perché gli Uccp sono già di fatto in funzione. Gli Uccp si caratterizzano per un complesso di attività territoriali, organizzati su un punto di primo intervento gestito da personale 118, un poliambulatorio specialistico (Pta) e – magari ovunque – ospedali di comunità”.
“Questa soluzione – prosegue il consigliere regionale del Pd – fondata sull’assistenza territoriale non ha nulla da spartire con le questioni del piano di rientro o del piano operativo, che giustamente reclamano la chiusura dei Ppi in quanto soluzione ospedaliera, e non territoriale, delle varie riconversioni effettuate nel tempo e che nella realtà – ripeto – non sono già più Ppi ma più moderni ed efficaci Uccp. La soluzione che in questi giorni stiamo criticando ha il demerito di aver sovrapposto (creando giusta preoccupazione) la questione della chiusura dei Ppi, frutto temporaneo della riconversione dei Pronto soccorso ospedalieri, con le soluzioni territoriali (tipo Uccp) che in molti casi abbiamo già e funzionano con soddisfazione”.
“A prescindere dal nome che vogliamo dare, tra quelli possibili nel fantasioso panorama del burocratese italiano, c’è bisogno – aggiunge Fabiano Amati – di proteggere e potenziare (altro che chiudere) tutte le strutture territoriali attualmente in funzione, che però abbiano più di 6.000 accessi annui, che trasferiscano ai presidi per acuti non più del 4-7 % dei pazienti trattati, che abbiano dotazioni tecnologiche in grado di trattare i codici bianchi e verdi e che siano dotati di Punto territoriale di assistenza. E se poi avessero anche l’ospedale di comunità sarebbe – come si dice – grasso che cola”
“Da questa discussione – rimarca – c’è di buono che la notizia di chiusura dei Ppi ha generato vivaci proteste: ciò significa che la soluzione di assistenza territoriale funziona bene, altrimenti non sarebbe difesa con modalità accese, e che le proteste inscenate qualche anno fa da parte di vari profeti di sventura avevano solo caratteristiche di lotta politica. Ma questa – conclude – è la storia di sempre in sanità”.