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I CIMAGLIA NELLA CAPITANATA DEL SETTECENTO AL TEMPO DEI BORBONE

(Introduzione al testo “La Capitanata al crepuscolo del Settecento”, parte II)

Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini, bolognese dalla proverbiale cordialità, – come già ricordato -, alla morte di Clemente XII, avvenuta nel 1740, si era proposto con parole semplici ad un conclave che, perdurante da sei mesi, dettava scandalo: «Volete un buon uomo? eleggete me».

Benedetto XIV, tuttora unanimemente riconosciuto come il cardinale Roncalli del Settecento, anche perché sicuramente convinto che la Chiesa dovesse rinunciare ai diritti temporali al fine di favorire la sua rinascita spirituale, teneva il vescovo della diocesi di Vieste, Niccolò Cimaglia, in alta considerazione. La stessa considerazione di cui godeva l’altro garganico illustre, Celestino Galiani, Cappellano Maggiore e protagonista del Concordato con la Chiesa del 1741.

Pasquale Soccio, nota l’analogia nelle carriere dei due, entrambi celestini e docenti a Sant’Eusebio in Roma, uno dei principali centri italiani di diffusione dei Principia di Isacco Newton, e finisce per chiedersi se non ci sia stato uno scambio di vedute tra i due docenti garganici. Un interrogativo che Soccio si pone anche per meglio comprendere quali influenze culturali il vescovo Cimaglia abbia trasmesso ai nipoti: Natale Maria, Domenico Maria, Vincenzo, illustri ai loro tempi benché dopo coperti dalla coltre dell’oblio.

Vincenzo Maria Cimaglia, riemerge dalle tenebre grazie alla tesi di laurea discussa da Anna Maria Acquafredda presso l’Università degli Studi di Napoli, pubblicata nelle parti essenziali nella seconda parte de «I Cimaglia del ‘700». Il suo multiforme estro e la sua variegata vivacità intellettuale lo portano a scrivere tragedie, commedie e melodrammi che gli valgono onori, elogi, riconoscenze oltre la platea nazionale, pur essendo militare di carriera. Da ufficiale della Reale Marina, nonché direttore degli Studi della Reale Accademia, scrive il «Trattato completo di tattica navale», un’opera «presente in tutte le pubblicazioni militari dove viene considerata come il più valido testo per la formazione degli Ufficiali della Reale Marina»[i][1].

 

Il padre di Vincenzo, nonché fratello del vescovo Niccolò, Orazio Cimaglia, era nato a Vieste il 2 febbraio 1710. Sposatosi nel 1734 a donna Orazia Abbenante, avrebbe avuto dal matrimonio quattro figli: Natale Maria, Giuseppe, Domenico e Vincenzo.

Quando il Principe di Tarsia, nell’avanzare la temeraria pretesa di cavillosi nonché asfissianti diritti feudali, avversi all’esercizio degli usi civici cui le classi sociali subalterne godevano “ab antiquo”, provocò una grave crisi economica alla città regia di Vieste, Orazio assunse la difesa procurandosi la simpatia del Vicario del Regno che lo nominò Avvocato dei Poveri per la giurisdizione di Puglia. Il Re stesso, Carlo di Borbone, «più volte e con vari riconoscimenti lo apprezzò e lodò per le tante cause che difese con fedeltà, costanza, rigore di giudizio ed energia finanche contro di Lui e contro suo figlio Ferdinando IV»[2].

Nel 1739, per curare con maggiore assiduità le numerose dispute legali a tutela dei tartassati, e quasi sempre soccombenti, locatari più piccoli presso il tribunale della Dogana, ma anche per assicurare una dignitosa preparazione culturale ai figli Natale Maria e Giuseppe, Orazio si trasferisce a Foggia inserendosi pienamente nel contesto sociale e culturale.

Il primo figlio di Orazio, Natale Maria Cimaglia, nato a Vieste nel 1735, pur trasferitosi in tenera età con la famiglia a Foggia, sarà l’unico a rimanere sempre in contatto con la terra natale. Nella pubblicazione «I Cimaglia del ‘700», Natale Maria Cimaglia[3] risorge a nuova e più splendente luce, tratteggiato magnificamente da Carlo Oliva nella «Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli»[4] che, edita nel 1814, attesta da subito la grande personalità e la somma rilevanza dell’uomo che, accusato ingiustamente, dovette rinunciare al Ministero di Grazia e Giustizia che il Sovrano aveva in mente e nel cuore di serbargli.

Pasquale Soccio non ha alcun dubbio sul valore dell’attività storico-politica di Natale Maria Cimaglia, mettendone in evidenza la cultura illuministica e ritenendolo ideale discepolo di Pietro Giannone quanto a mentalità anticurialistica, ma Natale è anche profondamente sensibile alle tematiche sociali, attento alle condizioni di vita estreme e precarie di contadini e braccianti in una società ostinatamente feudale.

E per ultimo, Domenico Cimaglia[5], che ne «I Cimaglia del ‘700» viene richiamato da Vito Masellis, autore del testo «Riforme economico-sociali nel Mezzogiorno d’Italia (documenti inediti dal 1775 al 1798»), edito dall’ Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano a Roma nel 1975, nel «Dizionario Biografico degli Italiani» della Treccani.

Domenico aveva acquisito i natali a Foggia nel momento stesso in cui l’intera famiglia vi si era trasferita. Avrebbe compiuto gli studi di economia e diritto a Napoli, dove era stato introdotto dal fratello Natale Maria nei circoli culturali illuministici, formandosi nell’ambiente dei riformatori economici del tempo.

Nel 1766 succede al fratello Natale Maria nella carica di avvocato dei poveri presso il tribunale della Dogana e svolge la professione a Foggia. Come avvocato dei poveri, difende i locatari più piccoli dei pascoli del Tavoliere dagli abusi e dai soprusi ai quali erano soliti soggiacere, soccombendo il più delle volte. Diventa così fine conoscitore e estimatore delle problematiche pastorali e agricole connesse all’antiquato regime fiscale legato all’istituto della Regia Dogana di Foggia.

Frequentando l’ambiente intellettuale riformistico, le cui personalità più illustri rispondevano a nomi quali Giuseppe Palmieri, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, Melchiorre Delfico, Mario Pagano, Domenico e Francescantonio Grimaldi e – noti per le drammatiche inchieste tratte dai loro viaggi in Puglia – Giuseppe Maria Galanti e Francesco Longano, Domenico Cimaglia giunge alla conclusione che le carenze nello svolgimento delle attività agricole nel Tavoliere di Puglia e l’uso non appropriato economicamente della pratica pastorale vanno affrontate in maniera decisa e radicale.

Pertanto, espone nel 1783 un chiaro progetto di riforma nel testo «Ragionamento sull’economia… » , proponendo l’abolizione dell’istituto della Regia Dogana di Foggia e la censuazione dei demani.

Non sarà il solo Masellis ad assegnare un ruolo determinante nell’abolizione del sistema doganale di Foggia a Cimaglia. Infatti Tommaso Nardella, in una nota del saggio dedicato a Giuseppe Poerio[6], affermerà che Cimaglia «sostenne l’urgenza di censuare le terre del Tavoliere che gran vantaggio economico avrebbero arrecato ad agricoltori ed allevatori trasformandoli da affittuari in proprietari» e, soprattutto, ancora più chiaramente e incisivamente di Masellis, parla di «un lungimirante progetto che poi avrebbero realizzato i Napoleonidi», ponendo su un piano superiore le tesi e le proposte di Domenico Cimaglia[7].

L’influenza politica, sociale, culturale di Domenico Cimaglia si può cogliere appieno ne «Il Giornale Patrio Villani», curato da Pasquale di Cicco; infatti, vi si legge che Giuseppe, dopo aver ottenuto il 30 marzo 1806 dal fratello Napoleone la nomina a re delle Due Sicilie, si reca a Foggia e il giorno 8 maggio trova ad accoglierlo alle porte della città Domenico Cimaglia: «Si son fatte avanti le carrozze e per mezzo di don Domenico Cimaglia han fatto prestargli i dovuti omaggi. S.M. anche ha parlato loro e dopo un evviva di tutti ha ripreso il cammino… »[8].

 

Le leggi eversive del 1806 avrebbero decretato, nello stesso tempo, la fine di un Medioevo tardivamente arroccato al di fuori dei suoi tempi storici e la scomparsa di un mai compianto mondo feudale.

Una nuova classe, quella borghese, si sarebbe fatta avanti, acquisendo i vizi e consolidando nel tempo i privilegi che avevano osteggiato nel passato. I borghesi, che avevano mal sopportato la prepotenza baronale, da qui in poi avrebbero cominciato a non tollerare l’insolenza di quel miserabile mondo contadino e bracciantile reclamante diritti e migliori condizioni di vita.

Ma, come spesso accade, «fatta la legge, trovato l’inganno».

Potevano i grandi locatari abruzzesi, i nobili baroni di antica e consolidata tradizione feudale, i cardinali, i vescovi e gli abati dalle lussuose residenze sottostare tacitamente alla soppressione di privilegi e vizi secolarizzati?

Dopo le leggi eversive, abolita la Regia Dogana di Foggia, Domenico Cimaglia «venne da Gioacchino Murat nominato presidente della Grande Corte Criminale di Trani ove morì il 1 ottobre dell’anno successivo»[9].

Con Casimiro Perifano, nei suoi «Cenni storici su le origini della città di Foggia… », al capitolo ottavo intitolato «Carlo Quinto. Viceré. Uomini illustri sino ai tempi nostri» (e siamo solo al 1831), Domenico Cimaglia, celebre in vita, risulta ancora ben presente nella memoria storica della città, grazie ai suoi meriti indiscussi.

Michele Eugenio Di Carlo

 

Tratto dal testo “LA CAPITANATA AL CREPUSCOLO DEL SETTECENTO”, su AMAZON con disponibilità immediata: https://www.amazon.it/dp/1724167871/ref=cm_sw_r_fa_dp_U_3RBUBbG11RD78

 


[1] A.M. ACQUAFREDDA, Vincenzo Cimaglia, in AA.VV. I Cimaglia del 700, cit., p. 44.

[2] M. SIENA, Orazio Cimaglia in AA.VV. I Cimaglia del 700, cit., pp. 76-77.

[3] C. OLIVA, Natale Maria Cimaglia , Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, in AA.VV. I Cimaglia del 700, cit., pp. 83-86.

[4] C. OLIVA, Natale Maria Cimaglia, Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Napoli, Ed. N. Gervasi, MDCCCXIV.

[5] V. MASELLIS, Domenico Cimaglia, Dizionario Biografico degli Italiani a cura dell’ Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma, vol. 25, 1981, in AA.VV. I Cimaglia del 700, cit., pp. 89-91.

[6] T. NARDELLA, Giuseppe Poerio primo intendente di Capitanata e del Contado del Molise, «Archivio Storico Pugliese», Bari, Società di Storia Patria per la Puglia, a. LIV, 2001, pp. 109-124.

[7] Cfr. ivi, nota 19, p. 113.

[8] C.M. VILLANI, Il Giornale Patrio Villani, (a cura di P. Di Cicco), Foggia, Editrice Leone Apulia, 1985; citazione tratta da T. NARDELLA, Giuseppe Poerio primo intendente di Capitanata e del Contado del Molise, cit., p. 113.

[9] C.M. VILLANI, Il Giornale Patrio Villani, (a cura di P. Di Cicco), cit.; citazione tratta da T. NARDELLA, Giuseppe Poerio primo intendente di Capitanata e del Contado del Molise, cit., nota 19, p. 113.