La Puglia non può risolvere il problema delle liste d’attesa ricorrendo a nuove assunzioni. Come preannunciato dal parere del Mef della scorsa settimana, il Consiglio dei ministri ha impugnato la legge regionale 13, la norma ormai inutile dopo l’emanazione del Piano nazionale e il suo recepimento. Ma Palazzo Chigi ha affondato il coltello come mai era accaduto da almeno un decennio a questa parte: sono infatti cinque le leggi pugliesi che andranno davanti alla Corte costituzionale. Tra queste, per la seconda volta, anche la legge regionale sul Piano casa che pure era stata modificata a fine marzo proprio per evitare l’impugnazione. Quest’ultima è una vera e propria figuraccia. Già a febbraio il governo aveva impugnato la legge di dicembre per un motivo sacrosanto: introduceva in via interpretativa la possibilità di spalmare la volumetria extra (chi demolisce può ricostruire il 30% in più) anche con una diversa sistemazione planovolumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza». Scritta così, sembrava – anche a parere di Palazzo Chigi – un modo per andare incontro a qualche caso particolare, ovvero «la regolarizzazione ex post opere che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici». Roba da codice penale. La norma è stata modificata a marzo, eliminando l’interpretazione autentica ma – secondo il governo – cambiando solo le parole, «perché nella sostanza riproduce la stessa norma impugnata». Tornando alla legge 13 sulle liste d’attesa, lo stop riguarda innanzitutto l’ipotesi di utilizzare il fondo perequativo del contratto dei medici per abbassare il costo delle prestazioni intra-moenia (servirebbe un accordo sindacale). Ma soprattutto, Palazzo Chigi boccia la possibilità di ampliare le piante organiche in misura tale da tener conto della necessità di ridurre le liste d’attesa: non si può fare, perché esiste un tetto di spesa alla spesa del personale. La legge, come detto, è tuttavia diventata inutile, perché le disposizioni di contrasto alle liste d’attesa sono contenute nel Piano regionale: e comprendono proprio lo stop all’intra-moenia, previsto dal disegno di legge di Fabiano Amati (Pd) che poi il Consiglio ha tentato di sterilizzare a colpi di emendamenti bipartisan. «Durante la discussione in Consiglio – commenta ora Amati – ho ricordato più volte ai colleghi e alla giunta il forte rischio di incostituzionalità di quelle norme per dare più fondi a medici e a cliniche private, ma non sono stato ascoltato». Lo stop di Palazzo Chigi ha riguardato anche (legge 6/2019) la revisione del riparto dei costi per i trattamenti sanitari e sociosanitari che non possono essere posti a carico della Regione.