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Vieste/ L’inchiesta SCACCO AL RE. La Proposta. “Facciamo pace ma dovete prima ammazzare Perna” (3)

È la Gomorra di casa nostra, la fiction che si fa realtà a Vieste dove un clan si spacca dopo la violenza del boss; dove la guerra si «colora» del sangue di persone un tempo amiche e alleate, poi diventate rivali; dove prevale la logica criminale del «botta e risposta», per cui ad ogni omicidio deve seguire la vendetta dei rivali; dove si progetta la strage tra la folla dei nemici per abbatterne tre in una volta; ove il tradimento è all’ordine del giorno. Niente di nuovo sotto il sole delle mafie foggiane verrebbe da dire, visto che anche «Società foggiana», mafia cerignolana e altri clan della mafia garganica hanno vissuto e vivono le stesse dinamiche criminali dove il cacciatore di oggi diventa domani la preda, e dove il passare da un schieramento all’altro, tradimento, ti salva la vita e altre volte te la spegne. Cosa sia successo a Vieste da 4 anni viene ribadito nelle 114 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare del gip di Bari Giovanni Anglana che nell’inchiesta «Scacco al re» ha disposto l’arresto dei cugini Claudio e Giovanni Iannoli, ritenuti esponenti di spicco del gruppo Perna, per il tentato omicidio del capo clan rivale Marco Raduano. Un tempo a Vieste comandava – dicono magistrati e investigatori – Angelo Notarangelo, alias «Cintaridd», già presunto punto di riferimento su Vieste del clan Libergolis quando quest’ultimo gruppo sino ai primi anni del nuovo secolo era al vertice della mafia garganica. L’omicidio di Notarangelo la mattina del 26 gennaio 2015 segnò l’inizio della guerra: da allora ci sono stati a Vieste altri 9 morti, 1 lupara bianca, 5 agguati falliti: l’arresto dei cugini Iannoli è il primo di questi 16 fatti di sangue per il quale si giunge all’individuazione dei presunti responsabili. Scia di sangue figlia della rivalità tra il clan dell’ormai defunto Girolamo Perna e quello di Raduano, attualmente detenuto nel carcere di Nuoro per traffico di droga. Che guerra sarebbe se non ci fossero i tradimenti e le proposte di pax più o meno sincere? Proposte di pace – come già rivelò l’inchiesta «Agosto di fuoco» con 10 arresti tra agosto e novembre scorso per traffico di droga ed armi aggravati dalla mafiosità eseguiti – valutate o respinte, tant’è che un viestano all’eventualità prospettagli da un complice di giungere a un accordo con i nemici, replicò che se l’avesse fatto avrebbe ucciso pure lui. L’inchiesta «Scacco al re» racconta che il ferimento Raduano significò la fine della tregua tra clan dopo 8 mesi, tant’è che alla mancata morte del boss seguirono tra aprile e giugno 2018 tre omicidi su entrambi i fronti. Fu così che nel luglio Raduano tramite un intermediario – si legge negli atti d’indagine – avrebbe proposto ai cugini Iannoli «di giungere ad un armistizio» come scrive il gip nell’ordinanza cautelare «ma ad un’unica condizioni, l’omicidio di Girolamo Perna da parte degli stessi membri del suo gruppo. In realtà questo tentativo di armistizio risulterà fittizio, perché i sodali di Raduano in numerose intercettazioni manifestarono l’intenzione di approfittare della finta pace per riuscire a eliminare i componenti del clan con maggiore facilità. La mossa di Raduano» prosegue l’analisi del giudice «era certamente azzardata: raggiungere il proprio obiettivo» (uccidere Perna, ritenuto il mandante del ferimento di Raduano) «attraverso quelli che fino a quel momento erano i suoi nemici, attentatori della sua vita e sodali della vittima». La trattativa è svelata dalle intercettazioni, con l’«ambasciatore» di Raduano (una persona a lui vicina) che il 3 luglio 2018 si fermò davanti casa di Giovanni Iannoli per avvertirlo: «quello» (riferito a Raduano) «ti vuole venire a trovare, come ti fa a venire a trovare? Mi ha detto che ti vuole parlare, se tu dici che si può fare si fa così, se pure tu tieni da dire qualche cosa». E Iannoli che rispose: «mi vuole venire a trovare? Dobbiamo vedere. E come deve venire, qua sta sempre pieno di carabinieri: diglielo a lui. Ma non mi può scrivere una lettera?» La risposta fu: «No, lui ti vuole parlare in faccia». E che la trattativa fosse in corso lo svela la confidenza di Giovanni Iannoli a una conoscente: «mi ha mandato a dire che dobbiamo trovare un accordo, che dobbiamo fare la pace perché tutto sta sangue non è buono». Il prezzo da pagare era l’omicidio di Perna da parte dei suoi amici: «me l’ha chiesto a me» confidava Iannoli «”se fai così possiamo fare pace, se no ci sarà ancora molto sangue”». Non che la proposta di pace da firmare col sangue di Perna non fosse stata pure valutata dagli Iannoli, nella ricostruzione accusatoria: anche perché c’era chi rammentava loro che quella proposta fosse in realtà un tranello, tant’è che in un’intercettazione si dice: «lo stesso incantesimo che ha fatto a Omar, solo che Omar ci è caduto». Il riferimento è a Omar Trotta il titolare del ristorante ucciso nel suo locale sotto gli occhi di moglie e figlia il 27 luglio del 2018 da due killer rimasti ignoti. Peraltro secondo l’ipotesi accusatoria, la proposta di pace avanzata da Raduano sarebbe stata valutata da chi «non voleva giungere immediatamente alla pattuizione di un accordo, ma quella di aprire una fase di negoziato» scrive il gip «volta a saggiare la serietà della controparte, nei cui confronti si nutriva scarsa fiducia: si otteneva così ulteriore vantaggio, e cioè guadagnare tempo per riorganizzarsi adeguatamente e prepararsi ad una nuova offensiva». La trattativa è datata luglio 2018: i blitz antidroga di agosto di Dda, carabinieri e Polizia con una quin¬dicina di arresti, tra cui Raduano e i cugini Iannoli, posero fine a quel discorso di pace da scrivere col sangue. gazzettacapitanata