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“Basta con il denigrare la nostra storia e quindi noi stessi”. La replica del prof. Vincenzo Gulì

Da una trentina d’anni sta dilagando l’interesse di studiosi ed opinione pubblica, non solo nel meridione, sulla rivisitazione della storia risorgimentale che era stata quasi scolpita su pietra dura a fine Ottocento dai conquistatori sabaudi. Attualmente c’è una evidente e crescente discrasia tra coloro che sono ligi al costrutto ottocentesco e quelli che finalmente lo mettono in discussione.

I primi si sentono forti e sereni soprattutto per la sua intangibile durata di quasi un secolo e mezzo, i secondi appaiono sempre più determinati e tenaci per la facilità nel reperire documentazione che ne dimostra l’infondatezza.

Mentre questi ultimi sembrano pericolosi sovversivi e superficiali ricercatori, gli altri sono soltanto comuni ripetitori di fatti e valutazioni assolutamente datati perché usati coscientemente come strumenti per placare la popolazione meridionale notoriamente contraria all’unificazione italiana.

In breve si può solo suggerire di abbandonare le frasi vuote e astratte della retorica risorgimentale sulle Due Sicilie come giudizi negativi di sedicenti viaggiatori (perché non citare anche Goethe?), le parole di Gladstone (da lui successivamente  pubblicamente smentite…),

gli insulti ai duosiciliani dei piemontesi (che così volevano giustificare le loro atrocità), l’istruzione pubblica e l’analfabetismo (effetto del “censimento” del 1861 mai avvenuto e dei dati negativi della successiva generazione spacciati per borbonici…), l’abisso tra capitale e province lontane (un accettabile e diffuso benessere salvava solo il regno di Napoli dall’emigrazione – qui sconosciuta -che tutta l’Europa pativa da tempo!), l’incapacità dei nobili (ma se furono i principali strumenti antiborbonici del tempo?),

la repressione poliziesca (la generosità dei Borbone –paragonati con altre monarchie – era tanto esagerata da non riuscire ad estirpare i prezzolati traditori), le misere condizioni dei meridionali (perché guardare il PIL pro capite di fine Ottocento e non quello pubblicato nel 2010 dalla Banca d’Italia sul 1860?).

Su ognuno di questi punti si potrebbe aprire un lungo capitolo con dati di archivio che la storiografia ufficiale dal 1861 in poi ha dolosamente trascurato. Nel mio imminente incontro culturale a Monte Sant’Angelo ne affronterò uno nodale nella presentazione del mio ultimo libro “Successe il ‘48” che descriverà quella “rivoluzione” in un modo completamente scevro dalle fole della propaganda antiborbonica che, spesso si dimentica, è soprattutto anti meridionale, anti sud, anti siciliana e anti napolitana, com’era chiamata la terra che dagli Abruzzi arrivava a Reggio Calabria.

Pregiudizialmente di una tale sistematica calunnia mediatica dobbiamo liberarci per trovare una soluzione agli insopportabili problemi del Sud.

Vincenzo Gulì