Giovanni Iannoli confessa di aver tentato di uccidere Marco Raduano; «scagiona» il cugino Claudio Iannoli; sostiene d’aver agito insieme al compaesano Gianmarco Pecorelli poi morto ammazzato; e afferma che voleva eliminare Raduano non per la guerra tra clan finalizzata al controllo dell’affare droga, ma per una vendetta personale dopo essere stato pestato tempo prima dalla vittima designata dell’agguato fallito la sera del 21 marzo del 2018.
LETTERA DAL CARCERE Le dichiarazioni spontanee e una lettera scritta di carcere da Giovanni Iannoli hanno contrassegnato l’udienza del processo abbreviato «Scacco al re» in corso davanti al gup di Bari e che vede imputati i cugini Giovanni e Claudio Iannoli, viestani rispettivamente di 33 e 43 anni.
Sono accusati di porto illegale di armi e del tentato omicidio aggravato dalla mafiosità di Raduano, 38 anni, ritenuto al vertice del clan rivale di quello di cui farebbero parte gli imputati. Dopo la confessione di Giovanni Iannoli, l’udienza davanti al gup di Bari Luigi Labriola è proseguita con le arringhe dei difensori: l’avvocato Salvatore Vescera ha chiesto l’assoluzione di Claudio Iannoli; l’avv. Michele Arena, alla luce delle dichiarazioni confessorie di Giovanni Iannoli, ha chiesto la condanna al minimo della pena con esclusione dell’aggravante della mafiosità e concessione delle attenuanti generiche. Sentenza a marzo.
Il pm della Dda Ettore Cardinali nell’udienza del 15 novembre scorso aveva chiesto la condanna dei due cugini a 18 anni di reclusione a testa con il riconoscimento dell’aggravante della mafiosità, e inquadrando l’agguato fallito nell’ambito della guerra di mafia che a Vieste dal gennaio 2015 ad oggi (l’ultimo fatto di sangue è dello scorso ottobre) ha contato 10 omicidi, 1 lupara bianca e 6 agguati falliti.
Molti di questi fatti di sangue sono legati alla contrapposizione tra il clan Raduano e quello che sarebbe stato capeggiato da Girolamo Perna (morto ammazzato ad aprile 2019) e di cui farebbero parte i cugini Iannoli.
IL BLITZ -I due imputati sono detenuti nelle carceri di Siracusa (Giovanni Iannoli) e Terni (il cugino Claudio); e assistono in videoconferenza al processo. Il blitz «Scacco al re» di Dda, Polizia e carabinieri scattò il 3 giugno 2019 quando i due cugini viestani si videro notificarono in cella l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Bari: erano infatti già detenuti dal 21 agosto 2018 quando furono fermati dalla Polizia nel blitz antidroga «Agosto di fuoco», per il quale è pure in corso un processo abbreviato davanti al gup di Bari con richiesta della Dda di condanna a 20 anni a testa per traffico di droga aggravato dalla mafiosità e porto illegale di armi.
L’AGGUATO FALLITO – Marco Raduano (a sua volta detenuto dal 7 agosto 2018 per traffico di droga e armi) sfuggì alla morte la sera del 21 marzo del 2018: rincasava quando alcuni sicari appostati nei pressi dell’abitazione fecero fuoco con mitra e fucile, ferendolo a braccia e anche ma senza riuscire ad ammazzarlo perché la vittima scappò, si rifugiò in casa di un parente e venne ricoverato in ospedale. Il tentativo di omicidio di Raduano pose fine alla tregua tra clan che durava dall’estate 2017: al tentato omicidio di Raduano, seguirono una serie di omicidi e ferimenti.
L’ATTO DI ACCUSA – La Dda, sulla scorta di intercettazioni, sostiene che all’agguato contro Raduano parteciparono materialmente i cugini Giovanni e Claudio Iannoli e Pecorelli, giovane viestano poi morto ammazzato tre mesi più tardi, il 19 giugno del 2018, da sicari ancora ignoti. Secondo la ricostruzione dell’accusa, inoltre, l’ordine di uccidere Raduano arrivò da Girolamo Perna, tant’è che anche lui era inizialmente indagato come mandante con il nome poi depennato dall’inchiesta in seguito alla sua morte violente dell’aprile 2019.
LA CONFESSIONE E I DISTINGUO Giovanni Iannoli, incastrato da una serie di intercettazioni ambientali in cui avrebbe ammesso di aver cercato di uccidere Raduano, adesso ha deciso di parlare e fornire la sua verità che contrasta e non poco con la ricostruzione dell’accusa.
Il viestano ha ammesso di aver tentato di ammazzare Raduano, ma con tutta una serie di distinguo: agirono solo lui e Pecorelli; il cugino Claudio Iannoli non c’entra niente con il fatto di sangue; e il movente è il desiderio di vendicarsi di Raduano che tempo prima insieme a Perna lo aveva picchiato. Giovanni Iannoli in questa confessione nega quindi il movente mafioso e offre una vendetta personale che avrebbe accomunato sia lui sia Pecorelli (quest’ultimo per questioni di gelosia).
La Dda invece, come accennato, inquadra il ferimento di Raduano in un contesto mafioso. I due Iannoli sono infatti di aver sparato al presunto boss del clan rivale «per agevolare la compagine criminale facente capo a Perna, nell’ambito della violenta guerra di mafia intercorsa con la fazione contrapposta facente capo a Raduano, e mirante ad acquisire il controllo criminale del territorio viestano e l’assunzione del monopolio nella gestione e commercio degli stupefacenti e delle altre attività illecite, così da acquisire risorse necessarie per garantire la sussistenza e l’espansione del clan», come si legge nel capo d’imputazione in relazione all’aggravante della mafiosità.
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