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17 marzo/ TACERE

Dire la cosa giusta al momento giusto, ma anche tacere la cosa sbagliata quando si è tentati di dirla.

DOROTHY NEVILL

Un mio amico un giorno stava cercando su Internet una notizia storica e io osservavo incuriosito i suoi tentativi. Egli aveva imposta­to la ricerca sull’antica famiglia inglese dei Neville ma, per un errore, ecco emergere un detto attribuito a una non meglio nota scrittrice in­glese, Dorothy Nevill (1826-1913), quello che abbiamo ora proposto. In verità sul tema contenuto nella frase sono infinite le riflessioni, gli aforismi, le battute, anche ironiche. D’altronde, la parola è lo stru­mento principe della comunicazione e ha ragione san Giacomo quan­do nella sua Lettera osserva che «se uno non manca nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche il corpo … La lingua, infatti, è un piccolo membro ma può vantarsi di grandi cose» (3,2.5).

Nella massima della Nevill vorrei sottolineare soprattutto la se­conda parte. Certo, «dire la cosa giusta al momento giusto» è impor­tante ed è una vera e propria arte, oltre che essere talvolta un’opera di carità. Ma frenare la lingua quando sta impazzando e si abbando­na alla frenesia del dire, alla superficialità, alla vanagloria è forse an­cor più rilevante. Perché, una volta detta, la parola sbagliata non è che muoia. No, comincia proprio allora a vivere e a fare danni. Il Sal­mista fa questo proposito: «Veglierò sulla mia condotta per non pec­care con la lingua; porrò un freno alla mia bocca» (39,2). Questo au­tocontrollo ci salverebbe da esiti infausti che creano odi, fanno crollare relazioni, riescono a ledere la nostra immagine, anche ingiu­stamente. L’ascoltare dovrebbe sempre essere superiore al parlare, «lasciandoci anche insegnare cose che già si sanno», come diceva il politico francese Talleyrand (1754-1838).

Gianfranco Ravasi