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29 marzo/ SUPERFLUO

Franz Tunda, 32 anni, sano e vivace, un uomo giovane, forte, dai molti talen­ti, era nel cuore della capitale del mondo, e non sapeva cosa dovesse fare. Non aveva nessuna professione, nessun amore, nessun desiderio, nessuna speran­za, nessuna ambizione. Superfluo come lui non c’era nessuno al mondo.

JOSEPH ROTH

Franz Tunda è il protagonista del romanzo Fuga senza fine (1927) di uno degli autori mitteleuropei più popolari, l’austriaco ebreo Jo­seph Roth, morto nel 1939 a Parigi. Ed è proprio in quella città, «ca­pitale del mondo», che si trova questo tenentino dell’esercito au­striaco, sballottato per l’Europa alla vigilia di un’epoca tragica.

La sua figura è il ritratto di un sopravvissuto che non ha più un senso da assegnare alla vita: «nessuna professione, nessun amore, nessun desiderio, nessuna speranza, nessuna ambizione». Un profilo dram­matico proprio per il suo vuoto. Un uomo che alla fine attira su di sé quel terribile aggettivo che Roth gli appioppa: «superfluo».

Un aggettivo che è già significativo nella sua stessa etimologia: si fluisce alla superficie della vita come una paglia portata dall’acqua corrente. Non si ha né energia né voglia di sottrarsi a quello scivolare senza fine.

Ma «superfluo» vuol dire anche sentirsi mutile come un oggetto da buttare, come un involucro da scartare e schiacciare. Eb­bene, sono molti più di quanto s’immagini i «superflui», sia perché le vicende della vita o la stessa società li hanno ridotti così, sia perché essi stessi hanno dato le dimissioni da ogni impegno umano.

Quanti giovani, appena smarrita la voglia di reagire, sfiorite le illusioni a cui si erano aggrappati, delusi dagli adulti, si lasciano andare nel vuoto dell’inerzia e della superficialità. Per loro sarebbe necessaria una ma­no salda e una voce che li riconduca sulla strada della vita.

Gianfranco Ravasi