L’esperienza non ci impedisce di fare una sciocchezza, ma ci impedisce di farla allegramente.
FRANCIS DE CROISSET
Spesso si ripete una battuta che nasce dalla sapienza tradizionale e che lo scrittore inglese Oscar Wilde ha formulato in modo lapidario: «Esperienza è il nome che ciascuno dà ai propri errori». Qualcosa del genere, ma da un altro punto di vista, scopro nella frase che ora propongo e che è di un altro scrittore, il belga Francis de Croisset (1877- 1937), vissuto però in Francia, creatore di molte commedie del genere cosiddetto «leggero» o «boulevardier».
Infatti, non è che l’esperienza ci tuteli dal commettere errori. Di solito si dice che, se uno si è scottato, non è che ritorni a mettere le mani sul ferro rovente. Ma questo non è del tutto vero, perché l’ostinazione umana è robusta fino all’ottusità.
Tuttavia, anche se con pervicacia ritorniamo sui nostri errori, bisogna riconoscere che lo facciamo con più cautela e almeno col senso di colpa. Se la prima volta si è caduti in un peccato per inavvertenza e ingenuità, la seconda volta lo si fa con una punta di rimorso e di esitazione.
Questo, però, non ci frena dalla caparbietà, dalla cocciutaggine, da un perseverare che è veramente diabolico e autolesionistico. E il mistero della nostra libertà, che può optare per scelte grandiose e generose, ma anche immiserirsi nella vergogna, nell’indegnità, nell’errore.
A questo punto è, sì, giusto esaltare la funzione dell’esperienza, ma ricordando con realismo che essa è sovente una maestra inascoltata. Oppure essa è usata in modo non corretto, come faceva il gatto evocato dallo scrittore americano ottocentesco Mark Twain: dopo essersi seduto su una stufa rovente, «non salirà più su nessuna stufa calda – e questo è bene – ma non siederà mai più neanche su una stufa fredda».
Gianfranco Ravasi