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Banda Vallanzasca, morto Cochis. Era in vacanza a Vieste: fatale un tuffo in mare

Sopranominato «Nanu», aveva 73 anni. Ne ha trascorsi 37 anni in carcere. Il decesso ieri pomeriggio a Vieste. L’ultima apparizione alla mostra sulla «Mala a Milano».

La morte alla quale tanto era sfuggito in gioventù, e che per molto tempo lo aveva perseguitato nei suoi 37 anni di carcere, è arrivata dopo un tuffo nel mare del Gargano. Rossano Cochis, detto «Nanu», ex braccio destro della Banda Vallanzasca negli anni Settanta, ha perso la vita giovedì pomeriggio a Vieste, in Puglia. Si trovava lì per una vacanza. I testimoni hanno raccontato di averlo visto tuffarsi e riemergere già cadavere. Il sospetto è che sia stato ucciso da un infarto. Era stato condannato all’ergastolo e aveva trascorso quasi quattro decenni dietro le sbarre. Adesso non aveva pendenze penali, aveva ottenuto la liberazione condizionale, beneficio che non è mai stato concesso al suo ex capo, Renato Vallanzasca. Il bel René che, peraltro, proprio nelle ultime ore s’è visto negare la semilibertà. Rossano Cochis aveva fatto parte della cosiddetta Banda della Comasina, gruppo criminale molto violento ma che in realtà aveva avuto storia relativamente breve nella criminalità milanese.

Ma la Banda della Comasina è diventata per tutti sinonimo, quasi letterario, della mala di Milano. Tanto che negli ultimi tempi era arrivata la richiesta di girare una fiction sulla vita di Cochis: da venditore di grissini a tecnico del mitra. Lui, Vallanzasca e Antonio «Pinella» Colia, morto in un incidente stradale nel 2014, sono stati, più di altri, gli interpreti di quella stagione di mitra, omicidi e sequestri di persona. La sua ultima apparizione pubblica, tre anni fa in visita alla mostra «La Mala a Milano», accompagnato dalle telecamere del Tg3. «Fuori che questo — disse indicando la fotografia di Vallanzasca — sono tutti morti… mette molta tristezza addosso, ecco che cosa provo a sentirmi qui». Che anni erano quelli? «Erano anni diversi da oggi, c’erano regole, c’erano leggi non scritte che però tra di noi valevano. Verso le persone regolari c’era un rispetto, nessuno poteva toccarli, fargli del male. poi si sa… quando ci sono delle armi succede un po’ di tutto, anche quello che non vorresti che succeda. E sono cose che rappresentano un peso che ti porti addosso finché campi. Non disconosco quegli anni, è che mi pesano addosso. Tutto li».

L’annuncio della sua morte è arrivato via social, segno dei tempi cambiati, dall’amico Francesco «Cecco» Bellosi, ex terrorista di Potere operaio poi diventato brigatista, ma che oggi è il coordinatore della comunità di recupero di tossicodipendenti «Il Gabbiano». La conferma poi dell’avvocato Ermanno Gorpia che l’ha assistito nelle ultime e controverse vicende che gli erano costate un arresto per estorsione poi revocato. Proprio mercoledì, mentre stava passeggiando con alcuni amici per le vie di Vieste, quasi per presentimento, aveva chiesto di entrare in chiesa per accendere un cero alla memoria dell’amico «Pinella» Colia e di Francis «Faccia d’angelo» Turatello, storico capo di una delle bande più sanguinarie della malavita milanese poi ucciso nel carcere di Badu ‘e Carros a Nuoro. «Quasi come se si aspettasse di morire a breve», sottolineano gli amici. «Rossano è stato un grande bandito senza tempo. Incarcerato ingiustamente (in seguito sarebbe stato prosciolto dall’accusa per cui era finito in prigione) era evaso dal carcere di La Spezia, unendosi e diventando uno dei principali protagonisti della banda Vallanzasca. Dopo Pinella, se ne va un pezzo di storia della Milano degli anni Settanta: Rossano era benvoluto e amato dagli amici, temuto e stimato dai nemici come un uomo coraggioso e leale. Autentico, anche nella sua ingenuità — il ricordo di Bellosi —. Rossano è venuto a lavorare al Gabbiano, prima in semilibertà e poi in liberazione condizionale, rimanendo quasi quindici anni, fino alla pensione. L’ho visto e abbracciato, l’ultima volta, due settimane fa al funerale di mio fratello Paolo, perché Rossano era molto legato a tutta la mia famiglia e voleva bene a mio fratello. Ciao, vecchio Ros, cuore generoso e animo gentile dalla risata sonora e dal sorriso triste».

Cesare Giuzzi

corrieredellasera