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4 NOVEMBRE/ LAPAURA

Anche la paura, malgrado tutto, è figlia di Dio, riscattata il Venerdì santo. Non è bella a vedersi, no; e c’è chi se ne fa beffe, chi la maledice e tutti la ri­pudiano… Però non lasciatevi ingannare da questo: essa è al capezzale di ogni agonia e intercede per l’uomo.

GEORGES BERNANOS

Queste parole del famoso scrittore cattolico francese Georges Bernanos nel suo scritto La gioia (1929) toccano un tema delicato, quello della paura. C’è tutta una letteratura su questo sentimento (pensia­mo solo a quanto ha su di esso ricamato la psicologia), e il grande scrittore moralista del Cinquecento francese Montaigne nei suoi Sag­gi confessava che «la paura è la cosa di cui ho più paura». Eppure es­sa – come ci ricorda Bemanos – è stata santificata quando anche Cri­sto l’ha sperimentata nella terribile sera solitaria del Getsemani o nel silenzio assordante del Padre sulla croce del Golgota. C’è, dunque, un duplice volto della paura.

Il primo è quello del terrore, dell’incubo, della tensione che con­duce alla dissoluzione della sicurezza interiore, che spinge anche a gesti folli (l’uomo impaurito è spesso più pericoloso perché le sue azioni possono essere isteriche ed estreme). L’altro volto è, invece, positivo perché ci riporta al senso del limite, smitizza quell’omnipotenza che anima la persona arrogante e prevaricatrice. E per questo che un altro scrittore cattolico, l’inglese Graham Greene (1904-91), affermava senza esitazione: «Ho paura dell’uomo che non ha pau­ra». Riequilibriamo, allora, questa esperienza così umana, impeden­dole di dilagare in noi impossessandosi del nostro essere ma anche coltivandone il valore di umiltà. E a questa seconda forma di paura meglio s’adatterebbe il nome di timore o rispetto.

Gianfranco Ravasi