Mai il brigante Gabriele Galardi avrebbe immaginato che il suo, rifugio nelle campagne di Rignano Garganico sarebbe diventato argomento di studi accademici, al centro di importanti scoperte archeologiche e che sarebbe finito nelle pagine di un libro scritto dal prò nipote Gabriele Falcone. Sì, perché Galardi da San Paolo Civitate e protagonista di scorribande a Rignano Garganico e dintorni di quella grotta – nota anche come la “Grotta di Jalarde” – mai avrebbe immaginato che sarebbe finita nel mirino degli scienziati in quanto giacimento neolitico di straordinaria importanza con oltre 45mila reperti scoperti negli anni. «Nella grotta – si legge su brigantaggio.net -, prima di essere catturato dalle italiane, così narra una conosciutissima leggenda, il brigante nascose in un posto sicuro tutto il bottino racimolato in armi e anni di rapine ed estorsioni. Si dice che gli “ori” di Galardi potessero essere sufficienti all’epoca per acquistare “sette castelli”». Furbo com’era – si legge nella ricerca -, Jalarde disegnò una dettagliata mappa della grotta con le indicazioni per raggiungere il “tesoro” e la portò con sé in prigione. Nella seconda metà del secolo scorso, seppe di quella mappa un uomo di San Nicandro Garganico (la ottenne in prigione da un ergastolano), che in venti anni e forse più mise a soqquadro l’antro distruggendo l’impossibile e facendo crollare buona parte del riparo più esterno (quello che per i ricercatori risulta essere la parte più importante ed arcaica del giacimento).
Delle vicende del brigante Galardi, ha scritto Gabriele Falcone, prò nipote del brigante, nel libro “Il tesoro di Gabriele Galardi” (Edizioni Cdp Service). Falcone ha ricostruito la vicenda, riportando anche miti e leggende che sono circolati intorno al suo nome. A partire dal “tesoro” che dà il titolo al volume e che sarebbe stato appunto nascosto nella Grotta Paglicci, dove Galardi aveva trovato rifugio e forse sepoltura. Tesoro mai ritrovato.
La storia viene narrata con risvolti drammatici, che mettono in luce aspetti umani e sociali e riportano l’attenzione sull’annoso dibattito circa la natura e le interpretazioni storiche del brigantaggio post unitario nel Mezzogiorno.
Una serie di date, curiosità e tanta ricerca storica nel lavoro di Falcone. «L’autore ha voluto rappresentare il dramma di un convinto carbonaro, in lotta prima contro i soprusi dei latifondisti locali e dei Borboni affamatori del popolosi legge nella prefazione del libro -, dopo contro gli invasori garibaldini e piemontesi; la rabbia per il suo vano sacrificio e per non aver potuto assicurare alla famiglia e alle sue figlie un avvenire di sicurezza, pace e benessere. Ha inoltre voluto mettere in evidenza la rocambolesca e affannosa ricerca del tesoro nascosto nella Grotta Paglicci, introvabile rifugio del brigante».