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VICO/ IL MIO VIRUS È PIÙ BUONO DEL TUO. IL PROVINCIALISMO CHE UCCIDE TUTTO TRANNE LA PANDEMIA.

Un popolo di santi, poeti, navigatori, avrebbe dovuto imparare dalla storia come gira il mondo, fra guerre, fame, emigrazioni, pandemie, ingiustizie, povertà. Invece, alla lista abbiamo aggiunto due categorie: gli allenatori della nazionale di calcio; un popolo di 60 milioni,  e i novelli infettivologi/virologi; un popolo di 60 milioni di esperti. Il tema, di grande valenza socio-politico-economico dell’ultimo minuto, ahimè,  è la suddivisione dello stivale italico in colori. La Lega di Salvini l’avrebbe voluto dipinto di verde, dalle Alpi giù a Capo Passero; la romanesca Meloni l’avrebbe voluto in nero seppia; gli ultimi residui Berlusconiani si sarebbero accontentati di una pennellata di azzurro; Zingaretti, Renzi e Veltroni avrebbero voluto l’arcobaleno della pace. A questi desideri non aggiungo i colori dei cosiddetti governatori delle regioni; il discorso si complicherebbe enormemente e ci porterebbe ai fichi di Stefano. Le Conferenze Stato/Regioni non sono un luogo di confronto e di sintesi per facilitare i percorsi, ma sedute per raccogliere capricci cangianti a minuti, un gioco sporco a rubamazzetti. E’ stato necessario l’intervento delle procure per avere i numeri giusti dei contagiati; vedi Liguria.La povertà dell’approccio alla pandemia è talmente italico da convincerci che il covid, e le sue conseguenze, sono nostre e del nostro governo. Le categorie economiche toccate hanno assunto una connotazione conflittuale da guerra fra le parti come se le aperture, le chiusure, le limitazioni e le regole, più o meno stringenti o flessibili, fossero capricci della politica e dei governo. Un problema, che dovrebbe essere affrontato dalla medicina e dalla scienza medica, nei silenzi dei laboratori e della sperimentazione, diventa scontro politico fra bande parolaie e incompetenti con il risultato di confondere l’opinione pubblica, allarmarla, aizzarla, dare sfogo nelle piazze a delinquenti ed estremisti. Una pandemia mondiale, globale, che non ha risparmiato nessuna nazione, nessuna economia, nessun governo, con pochi risultati, tante ferite e lutti, viene giocata sul tavolo dello scontro politico, dello scontro casereccio, come se ci fosse un covid italiano, americano, francese, giapponese, inglese, ecc. ecc. Il primo provvedimento del neo eletto presidente americanoJoeBiden, una task force contro il Covid 19.Ognuno parla al suo popolo. E’ vero, si può morire di covid, ma si muore anche di provincialismo, di pochezza politica, di pensieri e atteggiamenti chiusi, egoistici. Non toccherebbe a me parlare del Papa, vi sono ben altri autorevoli.  Francesco ci ricorda, nella sua Lettera Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale “Fratelli tutti” che: “ i populisti chiusi deformano la parola “popolo”, poiché in realtà ciò di cui parlano non è un vero popolo. Infatti, la categoria di “popolo” è aperta. Un popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando se stesso, ma piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione, ad essere allargato arricchito da altri, e in tal modo può evolversi.” Ci rendiamo conto, con tristezza, che la politica casereccia e lo scontro quotidiano non parla a questo “popolo”. Vale anche per la pandemia.

Michele Angelicchio