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PESCHICI/ MONS. D’AMBROSIO: “DOBBIAMO TROVARE INSIEME LA FORZA E LE RAGIONI PER SALVARE KÀLENA”

Mons. D’Ambrosio rilancia l’idea di restaurare il complesso abbaziale con i fondi dell’8 x mille e trovare un accordo tra la proprietà e la Diocesi. “Non vedo altre strade per arrestare questa inesorabile agonia”.

Se per la già responsabile di Italia Nostra Gargano Menuccia Fontana Kalena è il “pensiero triste” per Mons. Domenico D’Ambrosio essa è “il sogno proibito”. Lo confi­da a l’Attacco nell’intervista esclusiva pubblicata di seguito nella quale l’arcivescovo peschiciano non cela il dispiacere per il prolungarsi lento e inarrestabile dell’ “agonia delle pietre”. E invoca il bene della concordia affinchè possa concretiz­zarsi l’idea per una soluzione finale dell’annosa questione, sempre che le parti interessate pos­sano dare corso ad una riconciliazione e instau­rare un nuovo rapporto di collaborazione. Perchè per il malato terminale che è diventata l’Abbazia risalente all’anno del Signore 872 serve (ora o mai più) conformità di sentimenti, di volontà, di in­tenti. E nella doverosa operazione di salvataggio D’Ambrosio ci vede anche il riscatto di una co­munità che non è sin qui ancora riuscita a elabo­rare un rapporto armonico con il suo passato, con ciò che é conoscenza e memoria del territorio. E dunque Kalena e la sua così fragile speranza di sopravvivenza si ripropone ancora una volta qua­le emblema di un modo di accostarsi al passato scegliendo tra un atto di responsabilità collettivo o il disimpegno che rinuncia a proteggere valori e identità.

Eccellenza, lei è stato un protagonista indi­scusso della lunga campagna per la valoriz­zazione e il restauro dell’Abbazia Di Kalena. La sua voce autorevole sull’argomento riaf­fiora anche nei molti interventi e scritti che ha prodotto per giornali, riviste, pubblicazioni, atti di convegni di studio. E’ del 2016 il suo ap­pello al ministro Dario Franceschini con il quale, come figlio di Peschici, lo invitava a vi­sitare il luogo e intervenire per mettere fine al degrado inarrestabile. Anche in quell’occa­sione lei ricorreva all’espressione largamen­te utilizzata “agonia di pietre”: la trova anco­ra attuale?

Certo che è attuale. Continua inesorabile questa agonia con l’indifferenza di tanti, soprattutto dei responsabili e dei proprietari che continuano a non eseguire quei pochi interventi ordinati dall’autorità competente, e cioè dalla Sovrintenden­za.

Sono noti i suoi riferimenti critici rivolti in pas­sato alla condotta “pilatesca” della Sovrintendenza che lei ebbe ad inserire nella cate­goria dei “negligenti” rispetto a quella degli protagonisti della vicenda Kalena…

Non è cambiato nulla, credo che sia una verità sotto gli occhi di tutti. Le domando: cosa ha fatto la Sovrintendenza per Kalena in tutti questi anni? Mi risulta che ultimamente siano state fatte delle sistemazioni con del cemento, e null’altro, ma stiamo parlando di un monumento millenario, luo­go di culto, centro di spiritualità e religiosità, che ha dato un contributo eccezionale non solo all’inquadramento religioso-devozionale della popo­lazione locale ma anche per l’apporto culturale in generale. Il campanile a vela ospita un prezioso bassorilievo della Madonna orante risalente al 1393, che è stata meta di viaggi di studiosi che so­no venuti dall’estero per analizzarla, ma da lontano, dalla pubblica strada! Questo bassorilievo è una lastra in pietra/marmo che si sta scollando e non so quanto altro tempo potrà reggere; po­trebbe rovinare a terra da un momento all’altro.

Dal suo punto di osservazione, sarebbe an­cora possibile rimettere in moto un’azione di valorizzazione in extremis, un’operazione di salvataggio con la collaborazione e il consen­so di tutti i soggetti interessati per impedire la definitiva distruzione e snaturamento di Kale­na?

La speranza è sempre l’ultima a morire ma siamo ormai proprio vicini alla penultima possibilità! Ri­lancio una mia vecchia proposta già formulata in passato e cioè quella di ricorrere ad una sorta di comodato tra gli eredi ed eventualmente il co­mune di Peschici e/o la Diocesi di Manfredonia per progettare e realizzare un intervento di re­cupero attingendo anche dai fondi dell’8 X mil­le, andando a beneficiare di una misura previ­sta per il restauro di edifici e/o monumenti reli­giosi. Ma per fare ciò è necessario che si creino prima le condizioni per riallacciare un dialogo tra la Diocesi, la proprietà ed il Comune di Peschi­ci che deve assumere un suo specifico ruolo. Dobbiamo trovare insieme la forza e le ragioni per salvare una testimonianza eccezionale ed insostituibile del nostro territorio, della nostra memoria, della nostra devozione.

A suo modo di vedere, perché gli eredi della famiglia Martucci si sono sempre mostrati così contrari rispetto a qualsiasi apertura che potesse indicare il percorso di una trat­tativa per mettere in salvo ciò che resta del complesso e restituire al culto la parte delle due chiese?

Forse perché tra le loro intenzioni c’è sempre stato il progetto di trasformare l’abbazia in una struttura ricettiva, in un residence o qualcosa del genere, almeno queste sono le notizie di qual­che anno fa, quando presentarono un progetto in tal senso al Comune di Peschici per ottenere l’autorizzazione ad operare la necessaria tra­sformazione in tal senso: nell’idea progettuale la chiesa nuova sarebbe dovuta diventare una hall o una specie di auditorium. Un progetto che non ha avuto la necessaria approvazione. Le motivazioni mi sfuggono.

Cosa è per lei Kalena, cosa rappresenta?

Oggi Kalena è un sogno proibito. Rappresenta una straordinaria opera che narra dell’espe­rienza enorme che l’opera dei Benedettini ha la­sciato in eredità al territorio, nel contesto del Me­dioevo garganico, come la pesca, l’olivicoltura, la cultura religiosa, l’accoglienza dei pellegrini e in particolare lo spirito di preghiera che si con­giungeva ad uno straordinario spirito di laborio­sità dei monaci. A proposito di questo voglio ri­chiamare una querelle tra l’abbazia di Kalena e l’allora priorato della SS. Trinità di Monte Sacro in territorio di Mattinata. I monaci di questo prio­rato che dipendeva dall’abbazia di Kalena in­viarono al Papa una istanza per ottenere l’indi­pendenza dall’abbazia madre di Kalena i cui monaci venivano accusati di dedicarsi troppo al benedettino ‘labora’ (lavora) trascurando il pri­mato dell’ ‘ora’ (la preghiera). Insomma i mona­ci di Kalena erano bravissimi nel mettere in pra­tica soprattutto la seconda parte della regola be­nedettina, disattendendo la prima.

In una recente intervista che Menuccia Fon­tana, già responsabile di Italia Nostra Gar­gano, ha rilasciato a l’Attacco, a proposito della questione di Kalena ha espresso il suo giudizio sul carattere dei garganici, soste­nendo che per loro “l’aggregazione è quasi impossibile, sembra una popolazione total­mente incapace di esprimere uno spirito co­munitario”. Lei, da peschiciano, cosa pensa in proposito?

Non posso che convenire con quanto detto dal­la signora Fontana. C’è una sorta di fatalismo che ci perseguita. Come gli Ebrei nel deserto aspettiamo sempre che la manna ci arrivi dal cielo, invece che ricavarla con il lavoro e l’ope­rosità intelligente, che non ci difetta. Siamo vis­suti sempre con questa forma mentis. Dalla se­conda metà dello scorso secolo la Provvidenza ci ha dato la grande ricchezza del turismo che ha vivacizzato, cambiato e fatto conoscere la multiforme bellezza che il Creatore ci ha dona­to. Se solo i Peschiciani si ricordassero della Madonna di Kalena non solo una volta all’an­no!… Per fortuna almeno la statua lignea poli­croma della Madonna adesso è conservata nel­la Chiesa di Sant’Elia, dopo essere stata sotto­posta ad un’operazione di restauro da me sollecitata, frutto del laboratorio di Restauro della Soprintendenza di Bari. Per questa disponibili­tà mi sento di ringraziare i proprietari che hanno consentito il trasferimento dell’icona ora ogget­to di grande devozione nella Chiesa Madre di Peschici

In conclusione vorrei riproporre una sua di­chiarazione di qualche anno fa, quando eb­be a dire che noi abbiamo un debito con l’ere­dità di Kalena che il passato ci ha lasciato e che questo debito va pagato. E’ giunta final­mente l’ora di pareggiare il conto?

Di tentativi ne sono stati fatti tantissimi fino ad oggi, bisogna dare atto del grande impegno pro­fuso dal Centro Studi Martella, da Teresa Rauzino,dallo studioso Enzo D’Amato che è in pos­sesso di una raccolta voluminosa di documenti che meriterebbero di essere sistematizzati con un’opera di riordino editoriale e pubblicati. Tra questi c’è un manoscritto in cui sono riportate le chiese di proprietà dell’Arcidiocesi di Manfredo­nia e tra queste vi è censita la Chiesa rurale di Santa Maria di Kalena. Il documento riporta la data del 1820, in pratica 40 anni dopo che i Martucci sono venuti in possesso del complesso abbaziale con una pubblica asta.

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LUOGO DI CULTO MILLENARIO E FONTE DI SUGGESTIONI E LEGGENDE

L’Abbazia di Kàlena è un complesso risalente all’872. La struttura, data la sua età di edificazione, è considerata come una delle più antiche d’Italia ed è stata molto probabilmente costruita dai monaci basiliani. Sebbene si faccia risalire la sua costruzione al IX secolo, bisognerà aspet­tare il 1023 per una sua citazione all’interno dei documenti ufficiali: in que­sto anno, così come certificato in un atto di donazione, l’Abbazia di Kalena era costituita da un orto, una vigna e dei terreni da coltivare direttamente dei benedettini per permettere loro di vivere senza particolari affanni. Sebbene oggi questo importante luogo di culto, di proprietà della famiglia Martucci, sia abbandonato all’incuria dei giorni che passano, è ancora pos­sibile ammirare la sua struttura frutto di diverse stratificazioni architettoni­che. Ancora in piedi sono le mura di cinta, il suo vecchio chiostro, una fon­tana costruita nel 1561, alcuni dormitori e tutte e due le chiese del com­plesso monastico.

Il suo progressivo abbandono, che a quanto pare è iniziato nel lontano quat­trocento, non ha scalfito e fatto dimenticare le leggende sul suo conto: In­torno all’Abbazia di Kàlena, luogo-simbolo dell’Immaginario collettivo di Peschici, non mancano infatti suggestioni e leggende. Si dice che dall’ab­bazia, un camminamento sotterraneo portava alla caletta dello Jalillo e ser­viva ai frati per sfuggire alle frequenti scorribande saracene. Inoltre, si di­ce che, da un’acquasantiera, posta in fondo alla navata sinistra della chie­sa nuova, giungerebbe il rumore della risacca marina. Si racconta anche di un antico tesoro di Barbarossa.-Forse, era l’ammiraglio turco Khair ad- Din, attendente di Solimano I, che assediò Tremiti. Oppure, una leggenda popolare narra che il Barbarossa, in cammino verso la grotta dell’Angelo, vi fece una sosta dolorosa: seppellì nella cripta la sua figlia prediletta, am­malatasi durante il viaggio e le pose, come singolare cuscino, un vitello d’oro. Questo tesoro prezioso gli abitanti di Peschici lo hanno cercato, in­vano per anni.

Daniela Corfiati

l’attacco