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VIESTE/ VIAGGIO NEGLI ANNI DAL 1943 AL 2013. IL REFERENDUM MONARCHIA O REPUBBLICA (8)

A maggio dello stesso anno 1946 il re Vittorio Emanuele III abdicava in favore del figlio Umberto II, in vista del referendum istituzionale fissato per il 2 giugno. Giorno in cui gli italiani erano chiamati a decidere tra Monarchia e Repubblica. A Vieste, ricordo bene due citazioni che correvano tra la gente, una pro e l’altra contro la repubblica. Per quelli a favore la possibilità che il figlio del falegname o del vicino di casa potesse diventare presidente della repubblica; per i contrari l’antico detto viestano “mi pare una repubblica” per indicare una situazione caotica.

I comizi ebbero luogo tutti nella Piazza del Fosso. La gente accorreva ad ascoltare gli oratori come nelle sere della festa di S. Maria a vedere i fuochi pirotecnici, conquistata talora più dall’eloquenza dei comizianti, che dalla sostanza dei discorsi. Era ammesso il contraddittorio fra due avversari, nel senso che potevano alternarsi a parlare da due balconi diversi, in contraddittorio fra di loro. Ma di questi incontri-scontri non se ne videro. Spesso, invece, si levarono dalla piazza parole irridenti, battute di spirito, stroncature rivolte agli oratori. Quelli che la gente di Vieste ammirò, a prescindere dalla collocazione politica, furono maggiormente De Caro e De Miro di Foggia, oratori pro Monarchia e Scarongelli di Bari pro Repubblica. Ricordo di una sera. Sul podio erano saliti due repubblicani, Scarongelli e una giovane donna. Inizia a parlare lei. Ha la parola facile, dice cose ragionate, ragionevoli. La gente la segue con curiosità e, tante persone, con ammirazione. E’ la prima donna che tiene comizio a Vieste. Improvvisamente, su quel silenzio, dalla piazza, si leva un grido: “Viva il re” Evidentemente sorpresa, ma non disorientata, l’oratrice reagisce con un: “Maleducato!”. Poi riprende il filo del discorso. Dopo qualche minuto altro grido da altra persona vicino alla prima: “Viva la monarchia”. “Viva la Repubblica”, ribatte lei. Tra gli astanti c’è mormorio: ci sono quelli che approvano e altri che disapprovano chi l’oratrice e chi i provocatori. A questo punto l’avvocato Scarongelli prende le redini della situazione, si avvicina al microfono e levando alta la voce saluta la gente, ringrazia e loda in due parole la giovane collega che l’ha preceduto e… via con la sua scintillante oratoria. Se con gli argomenti che svolge riesca a guadagnare qualche voto alla repubblica non si vede, però è evidente che la sua bravura oratoria affascina la piazza, onde alla fine del comizio verrà applaudito oltre che dai pochi repubblicani presenti, anche da parecchi di coloro che il 2 giugno voteranno per la monarchia.

Quel 2 giugno gli italiani scelgono la Repubblica, a cui vanno 12.717.923 voti, contro i 10.719.228 dati alla Monarchia. A Vieste, però, si vota in direzione opposta. Circa 800 voti vanno alla Repubblica e oltre 4000 alla Monarchia, che ha i sostenitori più rumorosi fra la gente di mare, ma raccoglie consensi in tutti i ceti e livelli culturali.

Elezione dell’Assemblea Costituente: i partiti misurano la loro forza

Insieme con il referendum istituzionale, lo stesso giorno 2 giugno ebbe luogo la votazione per eleggere i deputati all’Assemblea Costituente, esattamente 555, con il compito di scrivere gli articoli della nuova Costituzione dello Stato. Come dire la madre di tutte le leggi che sarebbero state fatte in seguito.

Come già nelle votazioni del ’46, i seggi elettorali furono sistemati tutti nell’edificio municipale e contigue scuole elementari al Corso Lorenzo Fazzini. Così pure nelle successive votazioni fino alla metà degli Anni Sessanta quando, essendo stata costruita la sede della Scuola Media, in Via Madonna della Libera, parte delle sezioni furono spostate in quell’edificio.

Nel corso della campagna elettorale, la consultazione per la Costituente era stata un po’ in ombra, sia perché sovrastata dal referendum e sia per la scarsa risonanza di essa stessa nella mente dei cittadini. I quali, credo che non avessero confidenza con quel nome, nato con la Rivoluzione Francese. I presenti ai comizi erano soprattutto i simpatizzanti del partito cui l’oratore apparteneva.

Il risultato della consultazione diede la misura degli orientamenti politici degli italiani. La Democrazia Cristiana ottenne il 35,2 per cento dei voti, i socialisti il 20,7 e i comunisti solo il 19. Al quarto posto con meno del 7 per cento si collocò l’Unione democratica Nazionale capeggiata da Croce, Bonomi, Nitti e Orlando (quattro illustri personaggi della politica prima del fascismo) e al quinto posto, con il 5,4, una nuova formazione politica, L’uomo Qualunque fondata e guidata dal commediografo Guglielmo Giannini, che potremmo definire un antesignano di Beppe Grillo. Aggressivo come lui, ma senza rabbia, un po’ meno volgare e più circoscritto nell’obiettivo della sua critica diretta essenzialmente contro la burocrazia. Aveva come simbolo un cittadino schiacciato dal torchio. Raccolse consensi tra quanti si sentivano vessati dalla pubblica amministrazione (lentezza, intralci, errori, ritardi nel correggersi). Uscirà dalla scena alcuni anni dopo.

Il partito Democratico del Lavoro fu spazzato via e il partito d’Azione, ridotto al lumicino, finì con lo sciogliersi subito dopo.

A Vieste, in linea con l’affermazione in campo nazionale, la Democrazia Cristiana confermò la maggioranza ottenuta alle comunali del ’46.

Gli eletti dell’Assemblea, nonostante le notevoli diversità ideologiche esistenti tra i partiti che ne facevano parte, riuscirono a trovare un ragionevole terreno d’intesa, talché in poco più di un anno poterono redigere, ed approvarono il 22 dicembre 1947, la Carta Costituzionale, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

L’ultimo suo atto fu quello d’indire le elezioni politiche per eleggere i rappresentanti del popolo alla Camera dei Deputati e al Senato. Che furono fissate per il 18 aprile 1948.

La mentalità

Abbiamo visto al referendum istituzionale la grande differenza di voti che si ebbe a Vieste tra monarchia e repubblica – 4000 contro 800 -. L’idea che la repubblica potesse generare disorganizzazione, confusione, insomma disordine, a quel tempo era di fatto una mentalità.

Detta riflessione mi riporta alla mente una minuscola vicenda, fra le tante forme di mentalità esistenti, che mi riguardò di persona.

Nell’autunno del 1945 avevo avuto dal Provveditore agli Studi la nomina ad insegnare nella scuola rurale di Sagro per l’anno scolastico 1945/46. Raccolsi qualche informazione su quella scuola e seppi che per parecchi anni vi aveva insegnato la maestra Maria Olivieri e che aveva avuto tutta la collaborazione logistica che le occorreva dalla famiglia di campagnoli mattinatesi che ivi risiedeva. Una mattina presto, che appena albeggiava, partii con l’autobus affollatissimo che faceva servizio per Foggia, una sola corsa al giorno. A Sagro scesi. A margine della strada c’era il fabbricato della famiglia di cui mi era stato detto, che gestiva al suo interno anche un tabacchino. Quando mi presentai, il capofamiglia mi accolse con cortesia e mi spiegò com’era la situazione. Poco più sotto della casa c’era la scuola, composta di due camere: la prima era l’aula e la seconda l’abitazione del maestro. Mi disse che nella contrada vivevano una quindicina di famiglie, le quali praticavano l’allevamento di mucche e capre e la produzione di formaggio. Gli scolari dovevano essere una decina. Quindi si offrì di accompagnarmi, e mi accompagnò, in due/tre cascine sparse nella zona ad avvertire le famiglie che era arrivato il maestro e dall’indomani potevano mandare i figli a scuola. Gli avvisati s’impegnarono a passare la voce alle altre famiglie interessate.

Lo ringraziai di tutto cuore. Poi, siccome gli insegnanti allora avevano l’obbligo di risiedere sul posto e, comunque, non avevo il mezzo per fare il pendolare, gli chiesi la cortesia di farmi preparare dalle donne di casa il pasto di mezzogiorno, al prezzo che mi avesse chiesto. Mi rispose di no, giustificandosi con motivi chiaramente futili. Poiché io insistevo, ad un certo punto mi disse in dialetto mattinatese: “Maé(stro), ij tengh i figghj femm-n”. (Maestro, io ho le figlie femmine). Sorpreso, ricordo di aver obiettato più o meno in questi termini: “Ma io sono venuto a fare il maestro, nient’altro. Sono un giovane serio!”. E lui: “Sì, però semb omm-n sit” (Sì, però sempre uomo siete!). Io avevo visto le sue figlie, di sfuggita, un momento che s’erano avvicinate al padre per dirgli qualche cosa. Dovevano avere all’incirca la mia età, intorno ai vent’anni.

Ho raccontato questo episodio per ricordare come lo stare vicino giovani maschi e femmine, occasionalmente, cozzasse con la mentalità del tempo. Ai giorni nostri quella concezione fa sorridere. Però, vista nel suo generale, un pizzico di ragione in essa c’era, c’è. Perché, da che mondo è mondo, quando due giovani s’incontrano spesso, per un motivo o per l’altro, è facile che fra loro germogli l’attrazione con quel che segue. Scambiammo ancora due parole e ci salutammo. Passeggiai per un po’ sul margine della strada fidando nell’autostop. Mi andò bene. Un’oretta dopo ero a Vieste.

Per quell’anno rinunciai a fare il maestro.

8 (continua)

Ludovico Ragno

Il Faro settimanale