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Note preliminari per uno studio sull’onomastica nel XVII secolo – Vico del Gargano –

Le note  che mi accingo a esporre vogliono offrire un primo consuntivo del lavoro di ricerca, tuttora in cantiere, che preannuncia sviluppi di un certo interesse. L’idea alla base è quella ci scandagliare l’archivio storico della Chiesa Madre, dal quale attingere  tutte quelle notizie che,  in vario modo,  possono contribuire a scrivere una storia del nostro paese, mettendola a disposizione della comunità di  Vico del  Gargano e di quanti studiosi o semplici curiosi si avvicinano ai risultati dei lavori di ricerca.

L’altra motivazione, antecedente in ordine temporale, risiede nel costante interesse che, ho coltivato   nei confronti del mio paese natale e, in particolare, per la sua storia. Escludendo ogni notazione  di campanile, credo di poter affermare con cognizione che, Vico del Gargano e il suo  Centro Storico  costituiscono un microcosmo urbano di indubbio interesse per uno studioso.  Esprimono un   patrimonio che, per tutta una serie di ragioni, non riceve quelle attenzioni, che meriterebbe e pertanto, trascurato e sottovalutato.

Lo studio della onomastica,  ci permette conoscere o per lo meno d’intuire informazioni che associano l’uomo, ai valori della famiglia, alla cultura e alle influenze di tipo ideologico e religiose del tempo storico in cui egli si colloca. I nomi, non sfuggono alla logica del tempo  all’avvicendarsi delle dominazioni, ai mutamenti di carattere socio-economico e alle mode di ogni epoca[i].

Quello che si intende qui tentare è lo studio del rapporto tra i nomi ancora in uso e quelli, nel caso opposto caduti in oblio, vale a dire della scomparsa di nomi, conservati solo nei documenti d’archivio. A seguire provare a ricostruire i legami generazionali e di relazioni oltre la parentela, come il comparaggio.

Da un lato abbiamo dunque una continuità di nomi che, travalicando il mutare dello scenario storico,  sono ancora oggi in uso:  Giuseppe, Michele, Nicola etc. … Angela, Lucia, Maria etc. Dall’altro una perdita di nomi  – Ansiani, Escolabius, Fatius etc. … Celidonia, Hieronima, Trusia etc.,- che invece riflette proprio il trasformarsi, l’evolversi delle scale di riferimento e di valori del un gruppo umano nel suo rapporto con l’ambiente nel quale vive.

L’osservazione di una tale trasformazione nell’uso del nome maschile o femminile che sia, non può che basarsi, prevalentemente, su documentazione d’archivio, che nel nostro caso si mostra assai generosa.

Il lavoro di ricerca tutt’ora in corso iniziato assieme all’avv. Antonio Leo de Petris, grazie alla preziosa disponibilità del parroco don Gabriele Giordano  è focalizzato sul Liber Primus Baptizzatorum iuxta ritum Ritualis Romanus, nel quale sono annotati i nati nella Universitas di Vico, portati al fonte battesimale a far data dal 2 gennaio 1624. L’esposizione che si offre si basa su un campione di oltre  cinquecento annotazione di battezzati nel periodo compreso fra il 1624 e il 1637. Il campione comprende sia famiglie del Primo Ceto abitanti del Borgo, della Civita  e del Casale, sia degli altri ceti sociali. Una particolarità  da rilevare, è  data dalla nota Casalis Terrae Vici, riportata  margine di coloro che abitavano il Casale: A distanza di oltre i dieci anni dell’ ipotetico periodo transitorio  sancito – nella Conventio del 1607 che univa  l’Università del Casale all’Università di Vico- il senso di appartenenza  alla comunità del Casale era vivo e costituiva ancora un valore.

L’analisi di questo  primo campione, sia pur limitato rispetto al complesso delle annotazioni contenute nel Liber Baptizzatorum consente di mettere in luce i dati che s’intende proporre ai lettori, iniziando dai genitori e in successione, dei relativi padrini e madrine e dei battezzati, con le loro correlazioni.

I nomi del padre sono stati raggruppati in Tabella 1 riportando in ordine discendente la frequenza  presente nelle annotazioni (in alcuni casi sono gli stessi coniugi che  portano più figli al fonte battesimale). Con una frequenza inferiore abbiamo 25 nomi: Abundantio, Ascanio, Alessandro,  Ambrosio, Andrea, Ballario/Ballasio, Bellisario, Blasio, Bonifacio, Carolo, Cataldo, Fabio, Fabritio, Federico, Felice,  Guglielmo, Iacinto, Luigio, Marino, Natale, Paolo, Pasquale, Salvatore, Sante, Stephano,  Da evidenziare come il nome Ioannes/Giovanni compare  in ben 72 annotazioni e in 33 casi Ioannes è associato ad altro nome. Quasi tutti i nomi sono giunti fino a noi trasmessi nel succedersi delle generazioni, forse con l’eccezione di Ieronimo/Geronimo, Abudantio e Ballario, altri sono divenuti rarefati oppure hanno subito delle trasformazioni (Dominicus/Mimmo).

I nomi della madre, raggruppati in Tabella 2 presentano una diversa distribuzione e anche molti di questi sono giunti fino a noi, a volte con qualche trasformazione come Dianora/ in Eleonora; in uso più rarefatto Ippolita mentre non troviamo più in uso Hieronima e Pellegrina. Con una frequenza inferiore  troviamo ben 41  nomi dei  quali riportiamo la trascrizione, molti caduti in oblio :

Allegra, Anteae, Aquila, Ardelia, Argentia, Cangenua/Cangenova, Carputia, Cassandra, Celidonia/Cilidonia, Colonna, Dora, Dorotea, Filisdea, Filomena/Philomena, Folorentia, , Hadriana, Genova, Gentila, Gesimina, Gustantia, Leonarda,  Lionora, Lorita,  Matthea, Marzia, Mea,  Nuntia, Pacifica, Petruccia/Petrusia, Polisena, Prudentia, Pura, Regina, Romana, Seia, Stella, Silvia, Susanna,  Trusia, [Gio]Vanna.

Dalla cernita fatta tra i nomi dei padrini e delle madrine  e delle rispettive paternità  il patrimonio si arricchisce  ulteriormente di  nomi  fin’ora non incontrati.

Fra i padrini troviamo  Annibal, Cruxe/Croce, Fatius, Fabius, Isidorus, Loritus, Sigismundus e Terentius; fra le paternità di questi Gesimundi, Narducci, Palmeri/Palmerio e Scipionis.

Fra le madrine Alfonsina, Brasia/Blasia,  Lifonsina e  Pretiosa ;  per le rispettive paternità troviamo Ansiani, Feranti/Ferranti, Gramatii, Pacifici, Petrucis, Pomponius, Rinaldo, Escolabius Scolabius/Esculapius.

Siamo ora giunti a svelare quali nomi s’imponevano ai nascituri al fonte battesimale; ad entrambi poteva essere imposto un solo nome o più nomi come di sovente abbiamo verificato. Allo stato dei lavori, non conoscendo gli avi non possiamo attestare la fedeltà nell’imposizione dei nomi di nonni paterni o materni, ma questo possiamo supporre che fosse nella consuetudine.

Veniamo ai nomi riportati in tabella 3 e 4 dove sono rilevati  (con frequenza fino a 2) per il solo primo nome di battesimo  208  bambini e 151 bambine; fra questi  12 maschi e 42 femmine  portano l’annotazione di un solo nome di battesimo mentre per 196 maschi e 109 femmine rileviamo l’annotazione di due o più nomi.

Rispetto a quanto esposto per i genitori assistiamo ad una iniziale  mutazione dei nomi per ambo i sessi e la presenza di nuovi nomi come: Albertus, Aloisio, Anselmus, Barnaba, Benedicto, Crisostomus, Epiphanio, Flavius, Frabicianus[ii], Hettor, Lucas, Marianus, Martinus, Onophrius, Sebastianus, Simeon, Ubaldus e Vitus.

Al femminile troviamo nomi come Agnese, Apollonia, Cornelia, Elisabetta, Iuliana, Laura, Madalena, Olimpia, Palmina, Rebecca, Speranza, Teodora, Tolomea e Ursula.

In 30 annotazioni  riguardanti bambini e in 24  annotazioni  riguardanti le bambine, è presente il nome del padrino o della madrina di battesimo; un chiaro segno di gratitudine per il legame che veniva a crearsi  tra le famiglie in virtù del comparaggio.

L’istituto del comparaggio di battesimo o di cresima,   si attesta ancora oggi nell’ambito della parentela ma  non solo, anche  in virtù di legami di amicizia.  Un particolare valore assume invece, specie per il passato, osservare i legami di comparaggio fra classi sociali dello stesso livello e quello fra diverse classi sociali. Nel primo caso, il legame di comparaggio, serviva a rafforzare  i legami familiari (in particolare in particolare per la nobiltà e all’interno della embrionale borghesia), che sovente potevano anche portare al matrimonio combinato. Nell’altra  fattispecie invece il vincolo di comparaggio assicurava il prestigio sociale a chi portava al fonte battesimale il bambino/bambina e una certa protezione per la famiglia e ancor più per i nascituri, specie quando troviamo nel ruolo di padrino il feudatario o un suo familiare,  il vescovo o altra personalità di alto livello sociale.  A suffragare l’ipotesi troviamo il caso dell’infante Frabicianus, figlio del notaio dello Russo Francesco e Lucrezia Napolitano, tenuto a battesimo da Giuseppe Mascis procuratore di Fabrizio Spinelli e Pellegrina Sapia procuratrice di Caterina Spinelli, entrambi figli di Maria Caracciolo e Troiano Spinelli marchesi di Vico, al bambino fu imposto come primo nome quello del padrino Fabrizio.

Ancora fino agli anni sessanta del secolo scorso era consuetudine che i  testimoni di nozze (indicati come compare/comara, ovvero le persone che avevano tenuto la tovaglia di nozze) fossero chiamati a fare da padrino /madrina al primo nato  nel matrimonio.

Una nota di rilievo, lodevole segno  di riconoscenza verso san Valentino, che da pochi anni era stato elevato a Patrono della Universitas il 14 febbraio 1618, ci è data rilevarla nella presenza di 37 annotazioni dove  Valentinus compare come primo o secondo nome. 

Siamo in presenza di un patrimonio onomastico ragguardevole  e il nostro pensare da uomini del XXI secolo può costituire un limite, per comprendere  questa ricchezza di nomi. Un patrimonio    che trae origine   principalmente dalla devozione profonda verso i  Santi diffusa e alimentata da preti zelanti e dall’opera missionaria degli ordini religiosi, che raggiunsero con la loro presenza posti remoti come il nostro Gargano. Un esempio per tutti  è dato dalla testimonianza  del nome Celidonia/Cilidonia, giunto a Vico  attraverso due madrine entrambe di San Giovanni Rotondo Celidonia  figlia di Giovanni Longo/Longhi poi andata in sposa a Dactilo/d’Attoli Giovanni Francesco e Celidonia figlia di Giovanni Rignani/Rignano.

La giovane Chelidonia[iii]  – al battesimo Cleridona (“dono della sorte”)- trascorse sa sua vita  eremitica sul  monte Feronia, oggi nel parco dei Monti Simbruini ed entrò a far parte della famiglia benedettina. Il suo culto e il nome si diffuse ad opera dei benedettini che raggiunsero con i loro monasteri e le loro cellae anche il Gargano e  in San Giovanni Rotondo furono presenti con i loro priorato di S. Egidio  de Pantano, dipendenza del monastero della SS. Trinità di Cava.

Nicola Parisi


[i] Ringrazio l’amico Vito Carrassi per  il confronto su un suo lavoro, relativo su gli odonimi di Castellaneta, dal quale ho tratto spunti di riflessione per preparare questo contributo.

[ii]A.S. Chiesa Madre  Vico,  Liber  Primus Baptizzatorum… f. 205r. Anno Domini 1636 die due mensis februarii. Ego Domius Donato de Fina sacerdos Matricae Ecclesiae Terrae Vici. Battizzavi infantem  die prime predicto mensis natum  ex Notarius Francisco dello Russo et Lucretia de Napolitano, coniugibus huius dictae Terrae. Cui impositum  nomem Fabricianus, Ioseph, Ioannes Antonius. Patrini fuerunt Ioseph filius Doctoris Dionisii de Mascis procuratore Dommini Fabritii de Spinelli facto per Notarium Bartolomeus de  Freda terrae Castelluccia et Pellegrina filia Bernardini de Sapia procuratrice Dommina Catharina de Spinelli, huius terrae Vici..

[iii] Santa Chelidona, Nacque a Cicoli, nell’Abruzzo, verso il 1077 da famiglia del popolo. Il suo nome di battesimo pare fosse Cleridona (“dono della sorte”), come risulta anche da un affresco del Sacro Speco di Subiaco, opera del Magister Conxolus (inizi del sec. XIII); quello di Chelidonia (“rondinella”) si cominciò a usare dopo il Rinascimento. Verso il 1092, desiderosa di dedicarsi a Dio, abbandonò la casa paterna e si ritirò a vita eremitica in una spelonca dei monti Simbruini  sopra Subiaco, nel luogo noto col nome di Mora Ferogna, ricordato come santuario della dea Feronia. Lì visse per quasi cinquantanove anni sola al cospetto di Dio, nel digiuno e nella preghiera, sopportando eroicamente le inclemenze delle stagioni, dormendo sulla nuda roccia, sfidando la ferocia dei lupi, nutrendosi delle offerte dei fedeli, ben presto attratti dalla fama delle sue virtù e dei suoi miracoli. Una sola volta interruppe la lunghissima solitudine compiendo, tra il 1111 e il 1122, un pellegrinaggio a Roma. Tornata a Subiaco, nella basilica di santa  Scolastica, il 12 febbraio, giorno sacro alla santa sorella di s. Benedetto, ricevette dal cardinale Conone, vescovo di Palestrina, l’abito benedettino. Riprese quindi la vita eremitica, fino alla morte, avvenuta nel 1152. Probabilmente fu papa Eugenio III, che decretò  di elevare agli onori degli altari Chelidonia. Sul luogo della spelonca fu eretto un monastero, dove le spoglie della santa riposarono nella cappella a lei dedicata. Caduto in rovina il monastero, nel 1578 il corpo di santa Chelidonia fu definitivamente traslato in santa Scolastica (notizie tratte da Santi e Beati).