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IL MITO DI DIOMEDE E LA GRECITA’ ADRIATICA AL CENTRO DEL PRIMO LIBRO DI ANDREA PACILLI

Da Editore ad Autore, Andrea Matteo Pacilliha pubbli­cato la sua prima opera di grande pregio e spessore sto­rico, intitolata: “Le Pietre del Ritorno. Diomede, la Gre­cità adriatica, i percorsi della critica e una proposta di interpre­tazione”, Voi. 1, Andrea Pacilli Editore, Manfredonia 2020. Un’opera che nasce attraverso una rielaborazione di appunti di vita vissuta, che si delineano e si approfondiscono attraver­so la figura dell’archeologo Silvio Ferri,scopritore delle Stele Daunie nell’anno 1962, per poi esporle nel Castello di Manfre­donia, diventato la sede naturale del Museo Nazionale Ar­cheologico del Gargano. Un Museo nato dalle scoperte delle antiche Stele Daunie e, oggi, esposte al pubblico per com­prendere le origini dei Dauni, ma soprattutto lo sviluppo della civiltà garganica, la sua etnia, attraverso una elaborazione si­stematica di segni e significati riconducibili alla vita quotidiana dei Dauni, con i loro culti e le loro credenze dell’aldilà. Culti e miti di cui è ricca la Daunia, una terra che ha assimilato nel tem­po diverse culture e civiltà, dalla protostoria fino all’età moder­na, attraverso la presenza di vari popoli, fra cui, in età proto­classica, gii Elleni, da cui sono nati diversi miti, da quello di Dauno a quello di Diomede, dal culto di Atena Iliaca ai culti di Cal­cante e Podalirio, dal mito di Uria al mito di Cristalda e Pizzomunno, fino al mito di Archita, di Ercole e infine di Gargano. Andrea Pacilli nel suo libro Le Pietre del Ritorno si sofferma so­prattutto sulle stele daunie e sul mito di Diomede, che trovia­mo, in maniera simbiotica e irrepetibile, in diverse parti del Pro­montorio del Gargano, dalla città di Siponto a Salapia, dal La­go di Varano a Carpino, da Vieste a Rodi Garganico, fino alle Isole Tremiti, dove Diomede ebbe degna sepoltura, con i suoi compagni di ventura trasformati in uccelli. Una narrazione alle origini del mito e dei culti del Gargano, di cui è emblematico il mito delle Pietre del Ritorno, legato al racconto di Licofrone, il quale nella sua opera Alessandra, chiamata anche Cassan­dra, figlia del re Priamo, narra della distruzione di Troia e delle avventure dei nostoi, fra cui Diomede, il quale, tradito e scac­ciato di casa dalla moglie, approda sulle spiagge della Daunia e qui fonda Argirippa e poco dopo viene tradito da Aleno e co­stretto a fuggire di nuovo sulle Isole Tremiti, dove muore. In questo racconto vi è la leggenda delle stele daunie, che, in quanto segni tangibili delle sepolture dei Dauni, una volta asportati dalle proprie sedi, esse prenderanno immediata­mente la via del ritorno per riportarsi presso la sede originaria. Per questo il libro di Andrea Pacilli si chiama Le Pietre del Ri­torno.

L’Autore descrive, attraverso la simbologia delle stele daunie, per primo studiate da Silvio Ferri, negli anni Sessanta, le origi­ni della civiltà greca, che si diffuse sul mare Adriatico, per poi approdare, con la sua cultura, sul Gargano. E tutto ciò attra­verso la descrizione e le opere degli autori greci e latini, fra cui Licofrone, Timeo, Lieo di Reggio, Strabone, Plinio il Vec­chio, Orazio, Virgilio, Ovidio, Silio Italico.Per poi esamina­re le opere degli autori moderni, da Silvio Ferri a Lorenzo Braccesi,da Jean Bérard a Carlo Ginsburg, da Albert Brelichi a Giovanni Pugliese Carattelli, da Mario Luni ad Alessan­dra Coppola.Ciò che emerge da questi autori, classici e mo­derni, è che la Daunia, di cui fa parte integrante e sostanziale il Gargano, già dall’antichità è stata una terra di grande transi­to e ricettacolo di civiltà greca ed ellenistica, tanto da caratte­rizzare la stessa cultura indigena e contribuire a formare l’ethnos italica, attraverso gli scambi commerciali e la presen­za di numerose testimonianze archeologiche e artistiche, tan­to da creare le basi per la civiltà mediterranea e quindi italica. Il mare Adriatico è stato il trade union fra l’Oriente e l’Occidente, fra le sponde greche e le sponde dell’Italia Meridionale, di cui il Gargano era l’elemento di unione e di rielaborazione dell’epos greco-ellenistico. Andrea Pacelli nel suo libro sottolinea tale unione e ne fa un elemento centrale e fondamentale attraver­so lo studio e l’analisi del mito diomedeo, portato avanti anche attraverso gli studi e le ricerche soprattutto di Lorenzo Braccesi, in riferimento al suo libro Grecità adriatica, un capitolo della colonizzazione greca in Occidente (Patron Editore, Bolo­gna 1971). Andrea Pacilli parte proprio da questo studio per riaffermare “le vicende dei Pelasgi e delle popolazioni che sa­rebbero giunte in Italia dalla regione traco-illirica o comunque dalla regione achea in occasione della diaspora micenea (se non prima)” (Pacilli, 2020, p.26), ma soprattutto per riafferma­re che la civiltà greca ebbe come humus la storia del Mare Adriatico e quindi l’incontro delle culture dei popoli che risiede­vano sulle sponde dell’Adriatico in età protostorica e poi stori­ca, quando i Greci incominciarono ad arrivare nella Daunia per fondare colonie e portare la loro civiltà, fra cui l’uso delle stele daunie. In altre parole, con la Daunia e le sue stele, databili pre­sumibilmente fra l’VIII e il VI secolo a. C„ ci troviamo in un nuo­vo capitolo dell’antica navigazione adriatica di età tardo mice­nea.

Andrea Pacilli continua, poi, analizzando il significato di mito e quindi mette in luce le componenti indigene dei popoli delle cit­tà magno-greche, riferendosi agli studi di Anna Maria Biraschi,fra cui L’orizzonte precoloniale tra mito e storia (Napoli 1998), per poi parlarci dei nostoi o dei ritorni dei re achei da Troia verso le loro patrie lontane o in nuove sedi da trasmigra­re, così come è avvenuto con il mito di Diomede, su cui si sof­ferma maggiormente Andrea Pacilli. Ma su tutto prevale la rotta comune fra le opposte sponde dell’Adriatico, con il com­mercio dell’ambra, che si svolge prevalentemente attraverso le cosiddette “vie carovaniere”: così come il commercio della ceramica micenea fra la Grecia e l’Italia, tanto da caratterizza­re la produzione della ceramica daunia fra l’VIII e il VI secolo a. C. Per non parlare, poi, delle origini dei Palasgi, un popolo pro­togreco e protoetrusco che ritroviamo in Puglia. Una koiné flut­tuante e liquida, che rendeva la Puglia una vera cerniera fra l’Oriente e l’Occidente, fra l’Asia e l’Europa, mentre l’Adriatico veniva a costituire un’area di frontiera, ma anche un’area pe­riferica fra le due opposte sponde. Mare Adriatico, nome che un tempo si riferiva alla parte settentrionale della Laguna di Ve­nezia, mentre in basso vi era lo lonios, oggi Mare Jonio. Macon il tempo la denominazione di Adrìas divenne più estesa, raggiungendo le sponde dell’Apulia e quindi del Salento. Su que­sto mare vi navigavano gli Eubei, di origine greca, presenti già neli’VIII secolo a. C., mentre nella parte bassa vi erano gli Ioni, di origine ateniese. Gli Eubei li troviamo nell’Odissea, e preci­samente quando Ulisse, di ritorno da Troia, raggiunge l’Isola di Eubea, una delle pochissime isole dell’Egeo. E poi abbiamo i Rodi, i Coi, gli Etoli, i Corinzi, i Focei, tutti popoli provenienti dall’Illyria e giunti sulle sponde della Puglia, tanto da dare origine alla colonizzazione greca in terra daunia. Popoli che avevano specifiche rotte adriatiche, di cui ci paria in maniera approfon­dita nel suo libro Andrea Pacilli.

Poi si prosegue, leggendo il libro, attraverso l’analisi approfon­dita della figura di Diomede, la diffusione della sua leggenda nell’Adriatico, la stratificazione del mito, nonché la genealogia,

i caratteri, la venerazione del mito sia nella sua terra di origine, la Grecia, e precisamente in Etolia e nella Tracia, e poi in terra daunia. Non solo, ma anche in Lucania e nel Bruzio. Tutto que­sto visto attraverso la critica storica, fra cui Maurizio Giangiulio, Omelia Terrosi Zanco, Ettore Lepore, Domenico Musti, i quali hanno evidenziato i diversi elementi stratigrafici del mi­to di Diomede, da quello etnico delle origini, a quello di espor­tazione in terre lontane, come la Daunia e le regioni centro-me­ridionali dell’Italia, fino al Diomede di Frontiera di Domenico Musti. E, poi, in età romana, dove il mito di Diomede si fonda con le città romane di fondazione, come Sipontum, Salapia, Arpi, Herdonia, Uria, dove è ancora presente il mito di Diomede. Tutto questo nell’ambito di una evidente centralità del Garga­no, terra di miti e culti pagani, ma anche terra di leggende ed eroi mitici, fra cui Garganus, signore del luogo ed eponimo del monte, da cui scaturirono i “dies festis” dell’Arcangelo Michele sul Monte Gargano (8 maggio e 29 Settembre). Due rimandi Orion/monte Gargano pieni “di tradizione euboica con il suo portato mitico e funzionale, riverberante nell’equivalenza ico­nografica fra la figura di Garganus del Liber de apparitione e la costellazione di Orione, e la connessione fra il ciclo di questa costellazione e i dies festi sacri a San Michele Arcangelo, ri­badiscono ed evidenziano la forma di una cultualità legata ai ci­cli della terra e del cielo e delle acque e quindi della navigazio­ne che rimane imperante sul promontorio” (Pacilli, 2020, p. 293). Quindi, “una centralità tutta da approfondire, afferma Pa­cilli, ma che denuncia la centralità del Gargano nel sistema cul­tuale e nautico adriatico e che può ben chiarire il legame forte tra il mito diomedeo e la cultualità di promontorio con i tratti di Gargano/Orione” (Pacilli, 2020, p. 293). A tutto ciò si lega, poi, la leggenda delle Pietre del Ritorno, che anche se lontane dal­la Daunia e quindi dal Gargano, segnano le rotte marine e fan­no ritorno là dove esse sono state divelte.

Quindi, ancora il Gargano, “una montagna che diventa essa stessa mito, un mito che è un “dio gigante”, che si erge ad es­sere punto di riferimento per chi arriva da lontano; sì irrequie­to, tempestoso, una divinità delle tempeste e dei temporali, che scandisce le stagioni, sia quelle in terra legate ai tempi del­l’agricoltura che quelle in mare legate ai tempi della navigazio­ne, ma per questo salvifico, che “conduce in porto” (Pacilli, 2020, p, 298). Diomede, quindi, Dio del Mare, la cui morte vie­ne ancora riecheggiata nelle Isole di Tremiti, attraverso il pian­to dei suoi compagni trasformati in uccelli, i quali piangono il proprio signore, allontanando dalla sua tomba e dall’Isola gli stranieri, quasi a rendere immortale la sua immagine e il suo culto. Compagni trasformati in uccelli, chiamati appunto Dio- medee. Così l’Isola diventa eterna, in quanto sede di una divi­nità e non più di un eroe.

A conclusione di tutto ciò, afferma Andrea Pacilli, “in Daunia l’elemento primigenio che ispira il mito di Diomede greco vi si ritrovi in forma originaria, depositatosi nei secoli attraverso l’ir­radiarsi delle migrazioni e dei trasferimenti che interessano l’in­tera area e che vede nell’Adriatico una epocale cerniera fra est e ovest e che, in quanto cerniera, unisce le due are da sempre” (Pacilli, 2020, p. 379). Una narrazione, quindi, quella di Andrea Pacilli, di grande spessore storico-etnografico, di cui solo chi ha vissuto dall’interno l’ethnos della sua terra d’origine, poteva esprimere e interpretare il vero significato del mito di Diomede, cogliendo in maniera assoluta “l’anima dei luoghi”, che solo un grande storico, come Andrea Pacilli, poteva saper cogliere e far proprio.

Giuseppe Piemontese

Società di Storia Patria per la Puglia

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