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“NON ANDATE A SAN GIOVANNI ROTONDO”. PADRE PIO CENSURATO DAL SANT’UFFIZIO

Pubblicate alcune rivelazioni sulla “censura” che la Curia Vaticana, attraverso il Sant’Uffizio, intentò nei confronti di Padre Pio

Una pagina finora inedita di queste vicende viene offerta dal Diario spirituale (Edizioni Padre Pio da Pietrelcina) di monsignor Valentino Vailati, per venti anni, dal 1970 al 1990, arcivescovo di Manfredonia-Vieste. 

Negli anni dello scontro con il Sant’Uffizio, da Roma “sconsigliavano” di recarsi da Padre Pio. Non credevano al suo misticismo, né ai doni straordinari che il Signore gli aveva offerto.

Per due volte, infatti, prima sotto i pontificati di Benedetto XV e Pio XI e poi sotto quello di San Giovanni XXIII, il frate del Gargano fu perseguitato dall’ex Sant’Uffizio. Fu sospeso e successivamente riammesso in entrambi i casi ad esercitare il proprio ministero sacerdotale. Padre Pio non si oppose mai alle decisioni della Santa Sede e non incontrò mai nessun Papa, né mise mai piede in Vaticano.

VALIANTI E LA CAUSA DI BEATIFICAZIONE

In questo contesto fu monsignor Vailati ad aprire e a chiudere la fase diocesana della causa di beatificazione e di canonizzazione di padre Pio, iniziata nel 1983 e terminata nel 1990. Ma purtroppo senza vederne l’esito perché morì nel 1998, un anno prima della proclamazione di Padre Pio come santo della Chiesa cattolica.

LE RIVELAZIONI SULLA “CENSURA” VATICANA DELL’EPOCA

Nel Diario spirituale, il 20 marzo 1983 monsignor Vailati scrive: «In San Giovanni Rotondo, presenti otto vescovi, molti sacerdoti e religiosi, apro con rito solenne, il processo cognizionale su la vita e le virtù del servo di Dio, padre Pio da Pietrelcina, cappuccino. Nel 1961 (gennaio), trovandomi a Roma, prima dell’ordinazione episcopale, in Segreteria di Stato fui consigliato di non recarmi da San Severo a San Giovanni Rotondo per incontrare padre Pio, perché ogni visita di un vescovo veniva strumentalizzata dai giornalisti».

«Io non conoscevo affatto – annota il presule – la situazione, né sapevo che l’anno precedente (1960 ndr) vi era stata una visita apostolica. Rispettai la disposizione della autorità superiore e quindi non ebbi nessuna conoscenza personale di padre Pio. Vedevo però che, durante gli anni del Concilio Vaticano II, sul treno rapido che periodicamente mi conduceva a Foggia, vi erano sempre alcuni vescovi, specialmente latino-americani che si recavano da padre Pio. Ora, Dei providentia, mi tocca essere responsabile e in prima linea, nell’investigare sopra la santità di quel frate. Mi confondo pensando alla mia miseria e mediocrità spirituale. Una gallina da cortile deve giudicare un’aquila!». 

LA FINE DEL PROCESSO DIOCESANO

Il 13 febbraio 1990 si conclude il processo diocesano. «Consegno – scrive monsignor Vailati – alla Congregazione per le cause dei santi i numerosi volumi del processo cognizionale su padre Pio da Pietrelcina. Mi è costato sette anni di lavoro, per cui ho avuto una eccezionale conoscenza degli uomini (alti e bassi) della Chiesa. In mezzo a tante vicende rifulge il ‘santo’ ridotto all’essenziale sequela di Cristo: amore e passione. Penso che in paradiso padre Pio (e con lui gli altri canonizzati) riderà sul nostro gran lavoro per provare la sua santità, se io e gli altri del Tribunale ci fermiamo al ruolo di investigatori, di giudici. Tempo sprecato».

LA “CONFESSIONE” DEL COLLABORATORE DI VALIATI

Il Diario spirituale di mons. Vailati, è stato curato da monsignor Domenico D’Ambrosio, arcivescovo emerito di Lecce, che fu arciprete di San Giovanni Rotondo negli anni di episcopato di Vailati. E da lui accompagnato a Roma quando, il 6 gennaio 1990, venne ordinato vescovo da Wojtyla nella Basilica Vaticana.

D’Ambrosio sostiene che sin da quando fu nominato arcivescovo della diocesi di Manfredonia-Vieste, il 22 agosto 1970, subito Vailati, prese in mano la causa del venerato Padre.  Nella sua relazione di accompagnamento all’istruttoria, scrisse che le virtù teologali e cardinali esercitate dal frate di Pietrelcina avevano tutte le qualità per essere definite “eroiche”.

Anche mons. D’Ambrosio ricorda la censura del Sant’Uffizio nei confronti di Padre Pio: «Vi posso dire, se non lo sapete, cari fratelli, che anche a noi preti giovani era vietato venire qui, io non ho conosciuto padre Pio. Non andate a San Giovanni Rotondo! ci dicevano. Quando mi arrivò’ la nomina mi son detto tra me… ma guarda un po’…  ma ho obbedito. Poi il Signore si serve di altro per far conoscere e mi ha fatto conoscere, e da vicino, e sulla mia pelle, san Pio»

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