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VIESTE/ VIAGGIO NEGLI ANNI DAL 1943 AL 2013 – EVOLUZIONE DELLA SOCIETÀ – (34)

Casa e famiglia

All’inizio degli anni ’50 le case di Vieste, avevano spazi limitati. Mediamente due camere, più cucina e gabinetto, spesso ritagliati l’una o l’altro da una delle due stanze. Numerosi erano ancora i cosiddetti sottani, abitazioni al pianterreno, composte di una o due stanze, che prendevano luce in maggioranza dalla porta d’ingresso. Non c’era l’acqua corrente. L’acqua si andava ad attingere alle fontane pubbliche dell’Acquedotto Pugliese, e quando alle fontane mancava o era insufficiente (molto spesso) si andava ai pozzi dove ci si era approvvigionati fino a che non arrivò, nel 1938, l’acqua del Sele. I più centrali erano: il pozzo di fronte al municipio, quello detto di mezzo, vicino via Chirurgo Dell’Erba, quello nella villa di Sopra la Rena dotato di motopompa, quello della Fontana Vecchia, pure dotato di motopompa e il pozzo salso nel rione San Francesco. C’erano ancora alcuni pozzi privati di modesta portata. Fortunate erano le abitazioni che avevano sotto il portone, scavata nella roccia, la cisterna, in cui veniva fatta confluire l’acqua piovana, che scendeva dai tetti, quando Dio la mandava. Appena fuori dell’abitato c’era il pozzo della Pietà con vasca, dove i contadini si fermavano ad abbeverare gli animali da soma al mattino presto, quando andavano in campagna, e la sera quando tornavano in paese.

Poi, a mano a mano che la rete idrica e fognaria si estese nelle vie dell’abitato, sotto l’impulso delle Amministrazioni Comunali che si susseguirono, i proprietari delle case che ivi abitavano corsero all’Ufficio locale dell’Acquedotto Pugliese a fare domanda di allacciamento. Non così i proprietari delle case date in affitto, i quali per il poco che riscuotevano (gli affitti erano bloccati al prezzo dell’anteguerra con irrilevanti aumenti consentiti) non volevano sobbarcarsi quella spesa per poi percepire sempre la stessa somma. Per risolvere il problema, l’autorità comunale tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 emanò ordinanza ai riottosi, facendo loro obbligo di eseguire l’allacciamento. Cosa che fecero tutti e, passata la pena per la spesa sopportata, parecchi, ed io ne ho sentito più di uno, furono lieti di averlo fatto.

L’emigrazione

Dal 1951 al 1971, in Italia si attua un movimento migratorio della popolazione di notevole dimensione.

Si parla di 10 milioni di italiani che vanno a cercar lavoro lontano dal luogo natìo. Di essi, più di 4 milioni sono i meridionali che si trasferiscono in Alta Italia. Gli altri, di ogni regione d’Italia, vanno all’estero. Tra i partenti vi sono anche molti viestani.

Sono gli anni della ricostruzione e si costruisce dappertutto con e senza licenza edilizia. A Vieste le case nei nuovi rioni che si stanno formando (Fontana Vecchia-San Lorenzo, Madonna della Libera-Scialara e Carmine-Santa Margherita) costano mediamente, a metro quadrato, dalle 30.000 lire dei primi anni ’50 alle 70.000 lire dei primi anni ’70. Con uno stipendio medio se ne possono comprare due o tre metri.

Mutamenti nella vita della famiglia

Aumenta il numero di stanze di cui dispongono le famiglie, diminuisce il numero dei figli. A Vieste le nascite scendono da 402 nel 1950 a 223 nel 1970 a 155 nel 2000 a 125 nel 2007. Diminuiscono in tutta Italia. A Torino, già da alcuni anni, vuoi per il calo occupazionale della Fiat, vuoi per la denatalità, il numero degli abitanti è sceso sotto il milione.

Nelle case entrano i nuovi elettrodomestici. Tra i mobili di cucina ormai tutti componibili, primeggia il frigorifero, che costa intorno alle 70 mila lire. Altri elettrodomestici sono: l’asciugacapelli, la macchina per cucire elettrica, che sostituisce quella vecchia a pedale, il ferro da stiro elettrico, l’aspirapolvere, la lavastoviglie, che però non ha molto successo, e, più apprezzato di tutti, la lavatrice, che sostituisce il bucato fatto a mano con la cenere e fa risparmiare tempo e soprattutto fatica. Si diffonde il pagamento a rate. Vita breve ha il successo della macchina per cucire elettrica. Ormai ben poche donne imparano a lavorare di cucito, e l’abito vecchio si butta via. L’epoca del riciclo da un figlio all’altro e del cappotto rivoltato è al lumicino. Gradualmente, con le nuove costruzioni, nelle case vengono installati gli ascensori e i termosifoni.

Il televisore prende il posto della radio, e toglie al braciere la funzione di riunire la famiglia nelle sere d’inverno a scaldarsi e raccontarsi, a passare qualche ora prima di andare a letto. Nei decenni seguenti la TV penserà ad informare e conformare agli stessi modelli le famiglie italiane, con poche differenze tra gli abitanti dei piccoli e dei grossi centri urbani. La tecnologia farà passi da gigante.

Oggi l’82% degli italiani possiede il telefonino, il 50% il lettore DVD, il 46% il computer. Attraverso Internet, ci si relaziona urbi et orbi e si spazia nell’informazione senza confini. Tutti possono affacciarsi alla finestra sul mondo aperta oltre che dalla TV nazionale dai canali satellitari.

Donne tra minigonna e pantalone

Nel 1964 la top model inglese Mary Quant, sottile come un grissino, lanciava la moda della minigonna, che al primo apparire scandalizzò i benpensanti ma conquistò le ragazze anticonformiste e, presto, anche le donne che il tempo delle mele l’avevano già alle spalle.

A Vieste, la prima ragazza vista in minigonna, fu una maestra di Cerignola venuta ad insegnare nella nostra scuola. Fisico esile come la top model inglese, era altresì di bell’aspetto, spigliata, simpatica, che si rendeva conto del suo punto focale e cercava di gestirlo con disinvoltura. Le ragazze locali, non molte, tardarono ad adeguarsi. Nei centri minori, le donne possono essere anticonformiste in cuor loro, ma nei comportamenti devono essere prudenti. Perché, come si dice, “il paese è piccolo, la gente mormora…”.

Un altro capo di abbigliamento che in quegli anni prese il via alla grande, guadagnando sempre più consensi fra le donne, fu il pantalone. Fino a mettersi pressoché alla pari donne e uomini.

La scuola

 In campo scolastico, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale fu dato impulso alla frequenza delle elementari fino alla classe 5^, quando erano ancora abbastanza numerosi i ragazzi che lasciavano la scuola prima di aver compiuto il ciclo. Inoltre, grazie alla illuminata politica governativa e all’attivismo dell’autorità locale, si ebbe in pochi anni un notevole aumento delle classi. Si tenga presente che in quel tempo ogni classe elementare poteva avere sino a 60 alunni; e solo quando questo numero veniva superato poteva essere divisa fra due insegnanti. Dal dopoguerra il Ministero della Pubblica Istruzione cominciò a derogare dalla norma anzidetta autorizzando lo sdoppiamento delle classi numerose anche al di sotto di 60 alunni.

Per la prosecuzione degli studi dopo le elementari, il problema venne risolto definitivamente con l’istituzione della Scuola MediaStatale obbliga-toria e, pochi anni dopo, della Scuola di Avviamento Professionale, poi unificatesi. Seguirono le scuole medie superiori raccontate nelle prime puntate: il Liceo scientifico (1960), l’Istituto Professionale Alberghiero (1966) e l’Istituto Tecnico articolato in due indirizzi: Commerciale (1971) e Turistico (2001).

L’evoluzione della scuola di Vieste dal 1952 all’anno scolastico 2012/2013

SCUOLE1952/531962/631972/731982/832012/13
classialunniclassialunniclassialunniclassialunniclassialunni
Materne Statali3901540015355
Materne non statali5150927061806120120
Elementari32138045137064135663121429670
Medie714315409296583983821458
Avviamento professionale 8232 
Liceo Scientifico613012272102009206
Liceo Classico113
Tecnico commerciale132946128
Tecnico turistico362
Istituto Alberghiero92001934529571

L’Avviamento Professionale funzionò dall’a.s. 1958/59 al 1962/63. L’anno dopo si fuse con la scuola media, che si chiamò Scuola Media Unica statale.

Ludovico Ragno

Il Faro settimanale

(34 continua)