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GARGANO/ OMNIA NOSTRA: VASTA OPERAZIONE ANTIMAFIA SUL TERRITORIO DI MANFREDONIA, MATTINATA, MACCHIA E VIESTE. (3)

1818 pagine. È molto lunga e articolata l’ordinanza cautelare “Omnia Nostra” (gip Marco Galesi) che oggi ha portato alla bellezza di 48 indagati, 32 dei quali arrestati (26 in carcere, 6 ai domiciliari). Un colpo durissimo agli affari del clan Romito-Lombardi-Ricucci, egemone a Manfredonia e Mattinata, rivale dei montanari Li Bergolis-Miucci-Lombardone.

Partiamo subito dai nomi: in cella Luciano Caracciolo, Lorenzo Caterino, Leonardo Ciuffreda, Giuseppe Della Malva, Leonardo e Michele D’Ercole, Sebastiano Gibilisco, Hechmi Hdiouech, Giuseppe Pio Impagnatiello, Antonio La Selva, Pietro La Torre, Pasquale Lebiu, Matteo e Michele Lombardi, Francesco Notarangelo, Alexander Thomas Pacillo, Andrea e Antonio Quitadamo, Marco Raduano, Pietro Rignanese, Mario Scarabino, Giuseppe Sciarra, Moreno Sciarra, Francesco Scirpoli, Gaetano Vessio e Antonio Zino. Domiciliari per Luigi Bottalico, Alessandro Coccia, Danilo Della Malva, Emanuele Finaldi, Umberto Antonio Mucciante e Massimo Perdonò.

Il coinvolgimento del politico di Fratelli d’Italia

Come già scritto, oltre ai 32 arresti ci sono 16 indagati per un totale di 48 persone coinvolte. Spicca il nome di Adriano Carbone, neo consigliere comunale e commissario cittadino di Fratelli d’Italia a sostegno della coalizione di centrodestra vincitrice alle recenti Comunali. L’ennesimo guaio per un esponente di Fratelli d’Italia a Manfredonia dopo “l’impresentabile” Matteo Troiano indicato dalla Commissione Antimafia pochi giorni prima del voto.

Per Carbone il pm aveva chiesto i domiciliari. In qualità di commercialista, il politico, in concorso con altre persone, avrebbe “attribuito fittiziamente – a parere degli inquirenti – alla Fascione Giovanni e C. SNC, amministrata da Fascione Raffaele Salvatore, il denaro impiegato per le opere di adeguamento dei locali riconducibile alla Divine Whims srls (una pizzeria colpita da interdittiva antimafia, ndr), in realtà sostenute nella cifra pari a 35.000 euro da Antonio Zino (uomo del clan Romito-Lombardi-Ricucci, ndr), al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ovvero di agevolare la commissione dei delitti di cui agli art. 648bis e 648ter del codice penale”. In buona sostanza, riciclaggio. Guai dello stesso tenore anche per un altro commercialista di Manfredonia, Vittorio Gentile, finito come Carbone nel registro degli indagati.

Pesci e mafia

Molto ruota attorno alle figure di Matteo Lombardi, il figlio Michele “U’ Cumbarill” e Pietro La Torre alias “U’ Muntaner”. Obiettivo dominare la marineria sipontina costringendo i pescatori a conferire il pesce alla società “Marittica” (colpita da interdittiva antimafia), di fatto controllata dai Lombardi.

La Torre diceva ai suoi che i pescatori facevano riferimento a Michele Lombardi: “Allora, per mettere a posto questo servizio, per mettere a posto questo servizio, devi andare a parlare con Michele il figlio di ‘mba Matteo. Tu vai a parlare col figlio di mbà Matteo… ma tu parla col figlio di mbà Matteo e quello mette a posto”. La Torre – riporta il gip – riferisce, pur nel contesto del rispetto riversato ai sodali Lombardi, evocando il legame di sangue, la sua legittimità nell’avere voce in causa nel dirimere la controversia, attraverso un’azione intimidatoria ai danni di un pescatore di seppie: “Io no perché non rispetto il figlio di mbà Matteo, è un figlio per me, un figlio. Mbà Matteo è un padre per me, io li rispetto nell’anima, ma se il nome mio, se il nome mio, ho detto che M. non deve fare più niente, non deve fare più niente, io non devo parlare con nessuno… chiama a M. che adesso lo devo scannare“. E ancora: “Se io voglio il mare me lo prendo da una punta all’altra e non devo chiedere per piacere a nessuno”.

Violenze contro pescatori

Calci, pugni e botte con la spranga. Anche questo dovevano sopportare i pescatori. Michele Lombardi e Lorenzo Caterino avrebbero usato “violenza” nei confronti di P.V.. “Lombardi – riporta l’ordinanza – lo colpiva con una spranga di ferro ed entrambi infierivano su di lui, caduto a terra, con calci e pugni, per impossessarsi di circa un quintale di frutti di mare, in particolare cannolicchi, che P.V. aveva poco prima ricevuto in consegna da due pescatori sul porto di Manfredonia, procurandosi un ingiusto profitto.

Inoltre, Lombardi e Caterino “in concerto tra di loro”, avrebbero “costretto, mediante minacce e violenza, P.V. ad interrompere il rapporto commerciale ultra quindicennale di
compravendita dei frutti di mare con i due pescatori a vantaggio esclusivo dell’impresa denominata Marittica, procurandosi un ingiusto profitto con l’altrui danno, poiché impedivano alla vittima di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune”. Lombardi e Caterino avrebbero agito per assicurarsi “il controllo del commercio ittico nel territorio di Manfredonia”.

Il clan dopo la morte del boss Mario Luciano Romito

Focus sul clan Romito-Lombardi-Ricucci dopo la morte del boss Mario Luciano Romito. Ecco cosa scrivono gli inquirenti: “La prima osservazione che promana dall’intero impianto assunto nell’ambito del presente procedimento, è che l’agguato mortale a Mario Romito non abbia depotenziato la capacità operativa della presente associazione mafiosa che trova essenziale sostanza e forza nel legame di sangue tra i componenti il nucleo genetico dell’aggregato criminale, dimoranti nella città di Manfredonia (Matteo Lombardi, Michele Lombardi, Pietro La Torre, Mario Scarabino) e nella vicina frazione macchia del comune di Monte Sant’Angelo (Pasquale Ricucci, Michele e Leonardo D’Ercole) che, seppur facente parte di un’altra amministrazione, è di fatto propaggine senza soluzione di continuità con il territorio del comune sipontino”.

Giovanni Caterino, ancora lui

Nelle carte emerge il tentato omicidio di Giovanni Caterino, il basista della strage di San Marco del 9 agosto 2017 quando vennero uccisi il boss Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e i contadini Luciani. Stando alle carte, i Romito-Lombardi-Ricucci erano pronti alla vendetta nei confronti del clan rivale Li Bergolis-Miucci-Lombardone.

Ecco cosa scrive il gip: “Matteo Lombardi e Pietro La Torre rivestono il ruolo di mandanti dell’agguato a Caterino. A questo riguardo il 15 marzo 2018 viene captata una conversazione ambientale tra La Torre e Lombardi, entrambi presenti al magazzino della Primo Pesca srl, attraverso l’intercettazione telematica del telefono in uso al primo da cui è possibile trarre l’aderenza simmetrica tra l’attribuzione della responsabilità nel tentato omicidio subito da Caterino a Lombardi e La Torre quali mandanti, ed il proposito degli stessi di organizzare un nuovo attentato (il primo fallito il 18 febbraio 2018, ndr) per raggiungere il fine delittuoso fallito da Massimo Perdonò, nel generale contesto della contrapposizione armata in atto. In particolare, La Torre propone a Lombardi di servirsi ancora di Perdonò. ‘E perché non mandiamo a Massimo?!’, in un momento in cui non si sapeva nulla del precedente tentato omicidio”.

“La responsabilità del Lombardi e del La Torre quali mandanti del tentato omicidio di Caterino emerge – a parere degli inquirenti – anche dalle propalazioni di Leonardo Miucci detto Dino, fratello di Enzo (reggente dei Montanari, ndr), nei dialoghi intercettati con Caterino. Miucci – si legge nell’ordinanza – rende esplicitamente noto al Caterino che i mandanti dell’attentato ai suoi danni sono La Torre e Lombardi. Miucci, inoltre, anche sulla base delle notizie assunte nel corso di un colloquio con Leonardo D’Ercole, appartenente all’associazione mafiosa dei Lombardi, conferma al Caterino l’inquadramento di quell’agguato nell’ambito dello scontro armato tra i due gruppi rivali, ovvero quello riconducibile a Enzo Miucci (clan Li Bergolis), e quello rappresentato dagli odierni indagati, evidenziando che, inizialmente, i loro avversari avevano deciso di coinvolgere lo stesso D’Ercole nell’agguato a Caterino”.

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