Nello scenario davvero unico del nostro Gargano, ben a ragione detto la montagna del sole, la cittadina di Mattinata, un agglomerato di candide case su un terrazzo naturale di incomparabile bellezza, si protende sul mare cristallino che bagna l’estrema propaggine orientale dell’Italia, quasi stazione di partenza d’un viaggio di sogno, fra un fluire di isole, per il dirimpettaio Montenegro.
E’ pure lo stesso mare, l’Adriatico, a volte indocile però, che cagionò il naufragio della nave su cui viaggiava per i nostri lidi l’Arconte della dorica Taranto Archita, il maggiore filosofo e matematico italiota, discepolo di Pitagora e amico di Platone, il cui cadavere il vate Orazio lamentò insepolto proprio sul lido ai piedi di Mattinata, ivi traslato da pietosa corrente. Ma è pure ai piedi di Mattinata, ai di qua di questo lido, tra le alture di Monte Sacro e Coppa della Madonna, quasi a lambire il mare, che si distende un altro mare, quello di secolari ulivi, il cui argenteo colore si frammischia a quelli dei mandorli e dei fichi d’india.
Al di qua ancora, splendida, la macchia mediterranea. Su tutto sovrasta il monte dell’Arcangelo Michele. Il territorio matinatese, esteso per diverse miglia lungo la costa, presenta scenari paesaggistici unici: dalle falesie straponbanti sul mare e che paiono puntellate da altissimi pini d’Aleppo alle ghiaiose baie di Mattinatella e Vignotica, da boschi lussureggianti di lecci e cerri a deserti angoli rocciosi, foderati da capperi e ginestre, menta e salvia, fino al superbo spettacolo offerto da inattese grotte marine.
Queste, scavate nel calcare rupestre dalla millenaria azione erosiva del vento e dell’acqua in eterno moto, assumono aspetti fantastici che ne contraddistinguono le singole peculiarità: la forma campanulata di Grotta Campana; Tesser priva del soffitto, crollato e sommerso dal mare, di Grotta Sfondata; gli abbarbicamene di rossi molluschi meliformi sulle pareti di grotta dei Pomodori.
I due faraglioni di Baia dei Mongoli sembrano quasi mitologici giganti posti a guardia della tanta bellezza di questo fascinoso Eden. Sontuosi paesaggi, panorami da sogno e inconsuete bellezze naturali non sono il solo tesoro di Mattinata: essa offre agli amatori d’un lontano passato tutto uno scorrere di incomparabili siti archeologici: dalla necropoli dauna di Monte Saraceno alle ville romane di Agnuli e ai resti della Badia benedettina di Monte Sacro; un po’ dappertutto, da Montelci al mare, abbondano le vestigia, ancora oggi visibili e tangibili, delle vicende che hanno segnato nei secoli il territorio. Ai ss. VIII-VII a.C. risalgono i primi insediamenti dei Matini, tribù degli illirici Dauni, presso l’omonimo Monte Matino, oggi conosciuto per diversa posteriore vicenda storica come Monte Saraceno.
L’altura ospita una vasta necropoli, con oltre 500 tombe, scavate nel terreno “ a forma d’utero”, simbolo cultuale del ritorno alla vita dei defunti, sepoltivi in posizione fetale con corredo delle loro cose più care, e ricoperte da lastre di pietra e da stele decorate (le ormai famose “stele daunie”). Risalenti ai ss. I-V d.C., “domus” patrizie, in località Agnuli, in prossimità della marina, presentano muri in “opus reiculatum” e pavimenti a spina di pesce. Questo viaggio nei passato ci porta sul Monte Sacro, ove, in un’area di circa 6.500 mq., sono ravvisabili i resti di un’imponente abbazia, della SS. Trinità, costruitavi nei ss. V-IX e nel sec. XI già padrona di vasti possedimenti dislocati in tutto il promontorio garganico e altrove. Ne resta tramandato, ancor vivo, il ricordo nell’odierno culto di S. Maria della Luce, la cui festività si commemora a Mattinata ogni 15 settembre.
A Montelci, tutto fa credere che fosse frequentato in età più antica della prima di quelle suindicate e precisamente nella neolitica per le testimonianze dell’esistenza di un’industria di selci ben lavorate. Il viaggio sarebbe però incompiuto senza una doverosa visita alla Collezione Sansone, sita nella farmacia omonima di Corso Mattino, 114, ancora in attesa di una più consona e fruibile collocazione nel locale museo archeologico, che ben meriterebbe d’essere intitolato alla memoria del Dr. Matteo Sansone, che di quella raccolta fu paziente autore e accorto curatore.
Di Matteo, attento studioso del nostro passato, uno di quei “dilettanti” tanto spregiati dall’archeologia “ufficiale” impiegatizia e carrierista, a dispetto della quale, dallo Schliemann in poi, hanno dato forse il contributo maggiore alla nascita e al progresso dell’archeologia moderna, dedicandole amorevole attenzione, sogni, studi e fatiche, con ingente dispendio del loro denaro – e mai di quello pubblico -, acuto e acceso polemista, occorrendo, ma giammai, da signore qual era, spregiatore di avversari o critici, conservo il caro ricordo della fraterna amicizia dei nostri anni giovanili, dal ginnasio all’università, dei comuni festini da “pestiferi gufini”, del comune amore, non sempre ricambiato, per la nostra terra e la nostra gente, conservo i suoi scritti dell’età matura , di allorché gli eventi delle nostre vite ci avevano allontanati, ma non divisi. Della collezione che Matteo aveva raccolto, scrisse molti anni or sono su “L’espresso” Camilla Cederna:
“E’un meraviglioso effetto bazar che ti coinvolge e ti emoziona. Tutto ciò che guardi e tocchi testimonia l’affetto del dr. Sansone per la sua terra”.
Ancora oggi, gli oltre 2.500 reperti archeologici e i 10.000 manufatti etnografici in essa contenuti conservano quella magica e stupefacente atmosfera, racchiusi in parte nell’attuale farmacia e in parte in quella vecchia. Restano tutte “le testimonianze di quell’universo che don Matteo – scrisse sul ‘Corriere della Sera’ Viviano Dominici – aveva raccolto intorno a sé e davanti a tutto, dritta e solenne come un guerriero da guardia, la splendida ‘Stele Sansone’, forse la vera insegna della vecchia farmacia dello ‘speziale’ di Mattinata”.
E’ quella che ci ricorda, ora, la stretta amicizia e la lauta ospitalità e generosa collaborazione che lo legarono a uno dei più grandi archeologi italiani, quel Silvio Ferri, che delle meravigliose “stele daunie” fu lo scopritore e il maggiore divulgatore. Che, ancor più, ci ricorda il valido contributo che questo “grande” mattinatese ha dato a una delle più grandi scoperte dell’archeologia moderna, quella della civiltà dei suoi antichissimi avi.
Che Mattinata non lo dimentichi!
emiliano benvenuto