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GARGANO/ A SPASSO NEL TEMPO, FATTI DI CRONACA (PRIMA PARTE XVII SECOLO)

La lettura delle opere degli autori locali (Carlo Pinto; Vincenzo Giuliani e altri) presenta il nostro Gargano come una terra amena, ornata da una natura incantevole, ricca di una salubre aria abitata da una popolazione industriosa.

Le relazioni presentate alla Sagra Congregazione del Concilio (ora Congregazione dei Vescovi) in osservanza delle norme stabilite dalla costituzione di Sisto V del 1585, unitamente alle lettere inviate dagli Ordinari, nel tempo, alla stessa Congregazione o al Papa, offrono interessanti indizi per ricostruire un quadro delle Diocesi, sotto il profilo sociale, morale e di fede nel corso dei secoli. Solitamente trovano illustrazione la storia, le peculiarità della sede episcopale e del territorio della Diocesi, gli aspetti organizzativi del clero diocesano, nonche degli ordini religiosi e relativi monasteri, la presenza d’istituzioni laicali e di carità come Confraternite, Hospedali e Monti di Pietà. Nei paragrafi riservati ai religiosi e al popolo, si rintracciano perfino elementi di cronaca del tempo. Anche le lettere indirizzate al Papa o alle Congregazioni di Roma contengono notizie su fatti di cronaca e accompagnano in alcune circostanze veri e propri memoriali.

Spigolando fra le righe in documenti del XVII-XVIII secolo, è possibile cogliere frammenti di notizie riguardanti la nostra Diocesi, comprendendo anche Vieste come suffraganea della sipontina. Sono note che si riportano, senza alcuna pretesa di esaustività nel trattare gli argomenti toccati, per la semplice ragione che, il cantiere di ricerca è ancora aperto.

Quasi al termine del XVI secolo (1589) dall’informazione sulla sede vacante di Vieste, di Domenico Ginnasi Arcivescovo sipontino, si ricava la notizia di gente viestana riscattata dalle incursioni dei turchi che la città aveva sofferto nel passato: Già, sono molti mesi che il Vescovo di Veste è absente da quella sua chiesa et sendo quelli cittadini maggiore parte ritornata di Turchia et li preti di quella poco dotti et di minima authorità. Evidente la preoccupazione del prelato per l’abbandono e il degrado spirituale e morale che poteva ingenerarsi: …né perciò il mio predecessore; né io havemo potuto darli aiuto alcuno spirituale, m’è parso farlo sapere a V.S. Ill.ma, la qual’anco se ne potrà informare della qualità di quelle genti et del pericolo loro che si deve temere, accio ne possa trattare a Sua Beatitudine et pegliare quel debito remedio (A.A.V. Vescovi e Prerlati vol. 11). La povertà e la desolazione della città di Vieste con due brevi passaggi le riassume in Conte Masci, da poco ordianto vescovo di questa diocesi in alcune lettere dei primi di gennaio 1590: Mi duol che la povera Città giace così diruta et disolata da Turchi che dove era piccola, sia diventata minore … Questa povera città … è molto mal trattata, per esser stata in buona parte ruinata et diruta da Turchi (A.A.V. Vescovi e Prelati vol. 11).

Il Gargano nel suo complesso, fu colpito da incursioni saracene che distrussero Vieste nel 1554 e Manfredonia nel 1620.  Due terremoti scossero il promontorio: il primo quello del 30 luglio 1627 interessò marginalmente la nostra diocesi mentre, il successivo del 31 maggio 1646 fracassò violentemente le nostre terre, radendo al suolo Vieste e arrecando danni considerevoli in quasi tutti i paesi delle due diocesi garganicche.

L’Arcivescovo Antonio Marullo, presenta una puntuale drammaticità dei danni causati dal sisma, nelle lettere indirizzate alla Sacra Congregazione del Concilio; nella sua lunga e dettagliata relazione rende evidente i danni materiali, riportati nei paesi della Diocesi, esprimendo preoccupazione per le conseguenze sulle popolazioni: La relazione, che devo fare all’EE. VV. dello stato della mia Chiesa, in questo triennio tutto consiste in lagrime, e miserie particolarmente dopo l’universali terremoti in tutta la Diocesi con tale rovina, ….  L’istessi mali hanno patito tutte le Chiese, e lochi pij dell’altre Terre, che sono otto, et alcune peggiori assai… Con queste rovine si sono persi di più molti miei mobili e delle Chiese, come ancora delli poveri habitatori; le cui case si veggono diventare una maceria, delle quali non do più distinta relatione per essere secolari, ò di preti, come persone private.

Con efficacia descrittiva, rende la drammaticità dei fatti e la desolazione che regnava in Vieste: Questo luoghetto solo sopra uno scoglio senza né anche una casa di Diocese è poverissimo all’ultimo di maggio fu così rovinato dal terremoto che più vehemente che altrove lo abbatté che per l’avvenire sarà impossibile massimè per non haver nissun altro luogo di Diocese che sia capace di Vescovo e Vescovato da se perché la Cathedrale è ruinata, e non si può, ne potrà officiare.

L’immane tragedia causò danni materiali alle popolazioni garganiche con ricadute sulla civile convivenza: Le pene che si cavano dalli delinquenti, non sono di consideratione, oltre che quelli sono, hoggi tanto poveri, che bisogna fare ad essi elemosine. Non so’ donde cavare per soccorrere si tratta di caso d’estrema necessità, per la gente praticano rubbare con santa coscienza.

Sullo stato morale e spirituale l’arcivescovo esprime tutte le sue preoccupazioni, riferendosi alle qualità del clero: L’aiuto poi di queste Anime per l’istessa causa manca assai, …Ci è tanta ignoranza, che di quelli che confessano, le due terze parti non sono habili, ma se lasciano esercitarlo, perché altrimenti li Popoli non haveriano con chi farlo e moriano senza Sagramenti. Queste le conseguenze, in assenza anche di autorità regie per reprimere i delitti La gioventù si educa indisciplinatmente, e senza niuno aiuto di lettere; molti peccati, che s’impediriano, non puossi fare, per non esserci una casa di refugio… Manca ancor l’aiuto dell’Anime, perché la corte non può tenere li Ministri necessari che siano sufficienti contro li delitti (Congr. Concilio Relat. Dioec. 751-A).

Tragici episodi di violenza accadevano in diversi luoghi come a Vico del Gargano: verso la fine del secondo decennio del ‘600 il sacerdote Giulio della Bella già macchiatosi di diversi delitti, con un gruppo di facinorosi assaltò la Chiesa Madre, fracassando il portone: entrati al grido ammazzatali, ammazzateli [rivolto a sacerdoti], nel tumulto rimase ferito il Vicario.  Gli autori dei fatti delittuosi continuarono a camminare liberi e impuniti con grave scandalo di pubblico, secondo quanto riferisce l’Arcivescovo Annibale Ginnasio (1620).

Cagnano e Carpino vivevano nel terrore imposto dall’arbitrio dei feudatari della famiglia Vargas.  Siamo nel luglio 1669, l’Arcivesovo Cappelletti chiedeva aiuto alla Sede Apostolica per la deprecabile situazione in cui vivevano questi due luoghi della Diocesi, pervasi da ogni sorta di delitto. La supplica dell’arciprete di Cagnano don Andrea Fresa indirizzata al Papa esponeva lo stato in cui versavano le due comunità sottoposte al dominio di don Alfonso Vargas, nipote di don Giovanni Vargas, vessate da angherie, violenze e stupri. Riporta la notizia dell’esecrabile omicidio dell’eremita ucciso nella chiesa di S. Michele davanti al sacro altare: Occiditur in Ecclesia S.ti Michaelis ante sacrum altare eremita, quia cum Sancti Statua  lapidibus oppeteretur, cristiane clamavit (Congr. Concilio Relat. Dioec. 751-A).

A quanto pare ogni azione posta in essere, dall’Arcivescovo e dal povero arciprete, a nulla valsero al cospetto della corruzione imperante fra coloro che, avrebbero dovuto giudicare e condannare gli artecifici del male. 

Le carte della Congregazione per l’Immunità Ecclesiastica offrono abbondanti elementi per cronache locali. Per l’anno 1681, riferito a Vico del Gargano, riportano di un omicidio in cui si supponeva che i testimoni del pocesso fabbricato dalla corte marchionale potessero aver reso falsa testimonianza. Il Sindaco e gli eletti dell’Università erano stati soggetti a censura per aver preteso il pagamento delle gabelle dai chierici sposati.  A Peschici venti sbirri violarono l’immunità dell’Abazia di Calena introducendosi per una perquisizione. Il Sindaco e i credenzieri della città di Manfredonia furono soggetti a scomunica per aver negato le franchigie al vescovo; sempre nella città, tale alias Pagliarotto fu scomunicato per aver fatto fuggire con chiavi false i prigionieri dal carcere vescovile. Infine la Congregazione chiedeva un’esatta informazione riguardo alla controversia con il Governatore di Manfredonia, circa la carcerazione del notaio Domenico Marrera preteso complice principale del furto avvenuto nella Basilica di San Michele Arcangelo (28 luglio 1688) (Congr. Imm. Eccl. Litt. vol. 16 e 20).

Il vescovo mons. Raymondo del Pozzo nello stato di vecchia e d’infermità com’egli stesso scrive al Papa nel 1693: … divenuto dagl’anni settanta due di mia età di venticinque di possesso di questa Chiesa, et reso inabile dalle continue podagre, et immobili paralisie, che m’impediscono altro mio più desiderato, dovette sostenere delle impari vertenze contro la potente Congregazione Celestiniana per il possesso e l’uso dello stabile dell’ex monastero: … Nell’anno 1646 fu in questa Città un terremoto che la rovinò et in specie il palazzo Vescovale e parte del Monasterio dei SS.mi Pietro e Marco dei Padri Celestini, doppo alcuni anni dalla S.M. d’Innocenzo X: fu fatta la soppressione dei Conventini, et prima di farsi, richiede le Religioni che dessero nota dei loro Conventi e Grancie che avessero dei PP. Celestini, i quali havendo  preveduta qualche ombra di futuro decreto, diedero in nota di detto Monastero di SS. Pietro e Marco di Vesti fusse Grancia per esimerlo dal temuto disastro et servirsi delle sue entrate per accrescere il Monasterio di S. Benedetto di Monte S. Angelo ventiquattro miglia di qui lontano (A.A.V. Vescovi e Prelati vol. 83).

Nella città di Vieste la piccola comunità di stentava a risollevarsi dalla miserevole condizione in cui era stata gettata dal terremoto. Il Don di turno spadroneggiava sui beni civici e tentava d’impadronirsi di quelli della mensa episcopale:… de facto mi veggo scommesso da Lorenzo Fazzini di detta CittàPer le minacce del detto … nessuno vuole affittare dette tenute della Mensa Episcopale se non con conditione espressa d’esser difeso, con le scomuniche e defalco della somma dell’affitto.

Il vescovo Andrea Tontoli (era il 1695) scriveva: Chi sia D. Fazzini può conoscerlo la S.V. dall’acclusa relatione del mio Predecessore, che fu travagliato similmente da detto Fazzino, che per esser persona potente fa a suo gusto li Sindici, e vuole sul Pubblico e le cose ecclesiastichee per l’attentato fatto à me, che l’ho usato ogni convenieneza….  Né solamente il Don Fazzino vuol danneggiare la Mensa Episcopale e farsene padrone nel modo sudetto; ma vuol deprimere l’interessi dell’ Università nell’affitto della Defensa (A.A.V. Vescovi e Prelati vol. 87).

Anche in questa circostanza le istanze poste dal prelato restarono inascoltate, le angherie e i sopprusi continuano a perpetrarsi come scriverà pochi anni dopo un successore del Tontoli a causa della corruzione imperante.

Siamo nel 1698, Lorenzo Kreutter de Corvinis, arrivato da un anno alla sede della sua diocesi, scrive al Papa rappresentando una situazione ben più critica di quella che gli era stata prospettata. Con poche ma decise pennellate riassume la storia degli ultimi decenni della Diocesi.

Ecco alcuni frammenti di cronaca: … conobbi che pochi erano que’ sacerdoti, che non vivessero con le loro concubine. Il clero sregolato in guisa che perduta fin la forma dell’abito ecclesiastico, cammina di giorno e notte con stili e pistole à fianchi e con le stesse molti sacedoti vi concelebrano… Il canto della Catedrale e ad uso di villa… Li figliuoli di 7 et 8 anni, né meno sapersi fare il segno della Croce…  la chiesa Catedrale  senz’alcuna forma, decoro… Tutto ciò hebbe l’origine dal non essersi conosciuti Vescovi per lo spazio di anni 27 mentre 23 e pìu anni Monsignor del Pozzo visse inchiodato in un letto dalla podagra, et ogn’uno faceva à suo modo. A’ questi succeduto Monsignor Tontoli come vecchio di 83 anni, et infermo non potè in un anno e mezzo, che più tosto agonizzo, che visse, dar sesto ad un tanto sconvolgimento. Venuto qui il mio antecessore Monsignor Vulturale, e cominciato a mostrare il suo zelo, dopo un mese e mezzo che si trovava in questa residenza (perché qui non vogliono conoscere né rigori, né superiori, ne giustizia) fu con un sottrativo velenato.

Arriviamo al suo presente, siamo al 7 agosto 1698: Rimediato à tutto il sopradetto volgei gli occhi al secolo, e … cominciai à porre il dovuto riparo; et al capo della Città, che è il Sindico Gio: Ant.no Fioravanti (huomo senza alcuna fede, e che per cinque anni continui à forza dell’entrate della Città comprati li voti si è fatto confermare nel Sindicato), feci più volte paterne ammonizioni, diedi avvisi, e finalmente vedendo che tutto disprezzavano, gli sospesi ancora li Sagramenti. Questo giusto atto, che richiedeva l’obbligo della mia cosicenza, servì a fomentarmi ad ogni ora risse, e darmi disturbi…sollevatomi il Governatore Regio della Città [D. Laurentii de Mendibilo Regii Gubernatoris  huius Civitatis] tentò togliermi, e m’impedì la Giurisdizione Ecclesiastica è …con temerità inaudita il Governatore assieme con il Sindico sopradetto vennero hoggi sotto le finestre del mio Palazzo à dirmi ingiurie e disonestissime parole: anzi il Governatore non contento di ciò immediatamente e andato in persona à porre in prigione con ingiuriose parole il fratello del mio Vicario Generale, e dopo di questo si portò alla finestra sua (che sta incontro ad una loggetta dietro il mio palazzo, dove di quando in quando soglio portarni il giorno) con un Archibugio carico di palle aspettando me vi affacciassi per tirarmi un’archibugiata.

Sull’epilogo finale della vicenda lo stesso vescovo scrive nella nota del 12 agosto 1698: Non restano però che il Sindico, et il detto si vantino farmi chiamare, et a Napoli, et à Roma per il monitorio fatto all’uno, e li Sagramenti sospesi all’altro: che se questo adesso per loro bontà (come dicono) ho scampato, che non mi habbiano tolta la vita, non fuggirò per l’avvenire che non mi costino lagrime e sangue (A.A.V. Vescovi e Prelati vol. 90).

Fine prima parte

Nicola Parisi