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FORESTA UMBRA ASSEDIATA DALLA SICCITA’

 La Foresta Umbra è asse­diata dalla siccità e dal caldo ec­cezionale e, in questa estate in­fernale, stanno soffrendo anche i più preziosi giganti della regio­ne, le Faggete Vetuste, dichiarate dall’Unesco Patrimonio Natura­le dell’Umanità. Sono alberi mi­tici questi faggi pugliesi, altis­simi e vecchi anche di 400 anni. Le chiome si percepiscono appe­na, tale è l’intrico di rami a de­cine e decine di metri dal suolo, mentre i tronchi, grigi e screpo­lati, sembrano le zampe infinite degli elefanti di Salvador Dalì. Mitici al punto che il loro Dna, i loro semi, potranno salvare le fo­reste di tutta Europa.

STRESS CLIMATICO

 «Sono in una fase di stress climatico. La pianta ne risente perché non può usare l’acqua e, quindi, non può più fare la fotosintesi». Alfre­do Di Filippo,viterbese, pro­fessore di Bota­nica ambienta­le dell’Univer­sità della Tu­scia, è lo scien­ziato che, da anni, studia questi giganti. Fu lui a curare il dossier di candidatura Unesco delle Faggete sia nel 2017, sia in seguito, per l’ampliamento della tutela delle Nazioni Unite (avvenuta l’anno scorso) al ver­sante del laghetto della Foresta, fino alla valle di Sfilzi.

«La Faggeta Vetusta – dice l’esperto – finora si è dimostrata in grado di rispondere allo stress, bisognerà però aspettare che fi­nisca l’estate». Per il professore questi faggi sono «una unicità» perché, «pur trattandosi di una specie tipica del clima centro-eu­ropeo, qui riescono a sopravvi­vere». Anzi, per la precisione, «proprio sul Gargano raggiungo­no il limite caldo della propria distribuzione, anche grazie al contesto microclimatico legato alle correnti umide». «Abbiamo faggi anche di 400 anni e di 50 metri d’altezza – continua lo scienziato – regolano il clima a livello locale e sequestrano car­bonio». Assieme ai faggi, questo territorio vanta altre meraviglie come «edere centenarie di 35 cen­timetri di diametro. Ho trovato – spiega Di Filippo – un acero cam­pestre, nella Riserva Falascone, che è alto 40 metri, mentre in genere sono alti meno della me­tà».

«Avere esemplari di faggi così longevi – continua lo scienziato – è un sinonimo di integrità dell’eco­sistema. E ora abbiamo comple­tato i rilievi perché stiamo ul­timando il Piano di gestione delle faggete Unesco italiane che sono una dozzina, mentre in tutta Europa sono cento. Verifichiamo anche come reagiscono al cam­biamento climatico e il faggio ha mostrato un’ottima capacità di risposta. Già nel 2017, quando ho iniziato i monitoraggi intensivi, ci fu una annata molto estrema per assenza di precipitazioni ma, dopo, la foresta si è dimostrata in grado di riprendersi. Hanno una capacità straordinaria di rispon­dere, ma il Piano di monitoraggio serve proprio per continuare a verificare questa capacità di ri­sposta».

Non potendo allontanarsi per sfuggire alla siccità «le piante adottano una propria strategia: in un periodo di stress crescono meno. Dagli anni Ottanta – dice Di Filippo – in Italia siamo in una fase tendenzialmente arida e ciò ha provocato perdite di produt­tività diffusa, anche sul Gargano. Cioè le piante crescono meno, producono meno anelli, meno le­gno ma, per ora, non mostrano segni di malattia».

«Con l’ampliamento 2021 della tutela Unesco – dice – ora andiamo dagli 800 metri sul livello del ma­re sino ai 300, coperti dal faggio. E non è la tipica faggeta appenni­nica che sta lì, in montagna, qui ci stanno le faggete più a bassa quota di tutta la Rete del Faggio d’Europa, una cosa unica. Qui troviamo il faggio in contatto col corbezzolo, col fico, che vivono in ambienti mediterranei. Qui vive in condizioni di temperatura in cui il faggio non dovrebbe proprio esser­ci. Invece c’è e sta bene, no­nostante il caldo».

IL DNA DELLA SPE­RANZA

Per lo scienziato, pro­prio il faggio pugliese potrà sal­vare le foreste europee piegate dal caldo: «Qui i faggi di bassa quota già vivono in quelle con­dizioni climaticamente estreme che potrebbero rappresentare il prossimo futuro. Cioè qui abbia­mo già il Dna che può consentire la conservazione delle foreste d’Europa. Il seme di questi faggi potrà essere usato, se serve, per avere piantine utili a realizzare operazione di restauro ecologico altrove».gazzettamezzogiorno