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IL «PADRE PIO» DI FERRARA IN MEZZO A UN ECCIDIO. L’OPERA DEL SANTO È NARRATA AGLI «ESORDI», DOPO LA FINE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE DA VENEZIA

È il film che non t’aspetti. Perché s’intitola Padre Pio e invece racconta per filo e per segno il poco noto eccidio di San Giovanni Rotondo del 14 ottobre del 1920, e perché a girarlo è Abel Ferrara, un tempo il regista “maledetto” de II cattivo tenente, oggi invece un autore settantunenne che, viven­do anche a Roma, ha un interes­sante sguardo sul nostro Paese (ri­cordiamo il suo Pasolini).

Accompagnato da un’aura di quasi scan­dalo, perché a interpretare il san­to di Pietrelcina è stato chiamato l’irrequieto ma credibile attore statunitense Shia LaBeouf che ha scoperto la fede cattolica quando ha vissuto per un po’ di tempo con i frati cappuccini per prepararsi al ruolo («Ora so che Dio stava usando il mio ego per attirarmi a Lui», e a Venezia c’era una fila di frati cappuccini all’entrata della proiezione ufficia­le), Padre Pio è ambientato alla fine della Prima guerra mondiale con i soldati che tornano a San Giovanni Rotondo. Arriva anche Padre Pio, in uno sperduto convento di cappuccini, per iniziare il suo ministero quando è ancora inquieto, in preda a dubbi e a tentazioni.

Ma sono anche i giorni della vittoria dei socialisti nelle elezioni amministrative del piccolo comune del Gargano che, fa intendere il film, non piacque ai proprietari terrieri e alla chiesa. Ci furono manifestazioni e scontri con i carabinieri con 13 morti tra i socialisti intenzionati a esporre la bandiera rossa sul palazzo comu­nale. Abel Ferrara sottolinea molto questo racconto che, nel film interpretato anche da Marco Leonardi, Asia Argento, Luca Lionel­lo, Brando Pacitto, ha uno spazio maggiore di quello di Padre Pio perché, spiega, «per me rappresenta la Nascita della nazione, non puoi parlare dell’uno senza l’altro, questo film è una sorta di docu­mentario e si vede chiaramente l’inizio di quella che sarà la Secon­da guerra mondiale.

Le stigmate vengono fuori infatti nel momento stesso in cui sta succedendo tutto questo. Sono una sorta di avverti­mento, di monito». Mentre la fascinazione per Padre Pio nasce a Napoli – il regista è di origini campane – dove Abel Ferrara ha visto decine di volte l’icona del santo insieme a quella di Maradona: «Mi ha sempre affascinato la sua umanità, la sua semplicità. In fondo era un monaco, anzi se gli si chiedeva chi fosse ci teneva a dire che era solo un semplice monaco e anche scarsamente istruito, cosa in realtà non vera. Ho amato poi il suo travaglio interiore, questa sua battaglia che non gli ha impedito di portare avanti la sua missione come ad esempio costruire gli ospedali».

Nel film, presentato alle Giornate degli Autori, sezione collaterale e autonoma della Mostra di Venezia, non ci sono ancora i miracoli del santo perché, continua il regista, «questo è un film su un uomo, Francesco Forgione nato a Pietrelcina, un paesino agricolo alle porte di Napoli. Un giovane inquieto e dubbioso che lotta per trova­re la sua vocazione e il suo posto agli occhi del suo Signore. Nell’as­sistenza ai poveri, dopo la devastazione della Prima guerra mondia­le, trova la sua vocazione. Nel servire, nell’amore, nell’empatia, nei santi sacramenti, nell’ascolto della confessione, nella celebrazione della messa, cioè in tutto quello che si oppone alle forze demonia­che di quell’autunno del 1920».