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ALLA SCOPERTA DELLA CITTÀ DI TROIA E DI OMERO, INCONTESTABILE CITTADINO DI VIESTE

Nel bando del concorso < E se .. > indetto dal Ministero P.I. con la collaborazione dell’Università Cattolica di Milano verso la fine dell’a.s. 2002-03, il tema, svolto dallo scrivente e poi smistato ad alcune alunne dell’allora esistente Liceo Classico di Vieste, ha ottenuto una particolare <menzione>, un riconoscimento che significa almeno il terzo posto in classifica e da non sottovalutare se si considera l’orientamento della cultura dominante. Il concorso richiedeva l’elaborazione di nuovi scenari con alcuni esempi tra cui: “ E se Napoleone avesse vinto a Waterloo? ”.

Sollecitate e coordinate dallo scrivente, due brave alunne del 3° Liceo Classico, ora  laureate in Medicina, coadiuvate da quelle di 1° Liceo Classico e di IV Ginnasio guidate dalle due professoresse di Greco del predetto anno e con lavoro effettuato in orari extrascolastici è stata presentata all’Università Cattolica di Milano in rappresentanza del predetto Ministero l’ipotesi seguente: “E se Omero fosse un Italiano … Viestano?”.

         L’elaborato dello scrivente partiva da una leggenda, che i Viestani si tramandano dalla notte dei tempi e che tuttora amano raccontare ai numerosi turisti che frequentano la loro città in estate, che narra di un giovane pescatore molto bello, Pizzomunno, che nella leggenda dauna, presentata da T. Maiorino, si identifica con un compagno di Diomede che si era perdutamente innamorato della bella sirena Uria. Per la gelosia suscitata da questo amore pienamente corrisposto, un giorno le altre sirene legarono Uria sul fondo del mare con le catene, consentendole di rivivere il suo amore in una notte di luna piena di ogni cento anni. Pietrificato dal dolore, Pizzomunno attende l’appuntamento sulla spiaggia nelle sembianze di un grande monolite, che è da identificare con il Montarone sul quale poggia il centro storico di Vieste e non col Puzmume, che è un bastione dl biasimo, o di rimprovero.

Nell’ultimo appuntamento la bella fanciulla Uria è finalmente riuscita a lasciare il suo diario ai piedi del suo amato Pizzomunno e a farci conoscere l’origine della sua malasorte.

Nel diario, che noi alunne del 3° Liceo Classico 2002-2003 abbiamo fortunatamente trovato, Uria racconta che fu l’astuto Ermes, dio dei commerci e delle truffe, a ordinare il secolare sequestro e la pietrificazione di Pizzomunno perché a sua volta innamorato di Uria. Non corrisposto, Ermes progettò di vendicarsi alleandosi con un contadino che quotidianamente gli offriva sacrifici per favorire il suo commercio di vini scadenti, che altrimenti non riusciva a vendere.

Per questi fatti Ermes pensò di isolare la memoria di Pizzomunno inducendo l’anonimo contadino a rendere pubblico che era lui che viveva presso la città di Troia e a spacciarsi per diretto discendente di Omero.

Appena il fatto gli fu noto, Pizzomunno pensò di dare una lezione al contadino, sfidandolo a duello, ma con l’intervento fraudolento di Ermes ebbe la peggio. Ermes pensò di rendere noto, falsamente, che durante la sua assenza aveva sedotto la sirena Uria, inducendo Pizzomunno a ubriacarsi sulla spiaggia dove fu infine abbandonato dopo che fu fatto accecare dalla luce del sole Iperione. 

Il predetto diario contiene più di una semplice ipotesi e rimuove le acque stagnanti della questione omerica, come viene convenzionalmente diffusa, con questi fatti. Una fonte (Propilei III, p. 631) scrive: “Da due millenni e mezzo si affronta e ci si chiede chi fosse Omero, se sia proprio vissuto, e quando e dove; questa disputa non sarebbe neppure stata possibile se i poemi stessi ci avessero offerto un chiaro sistema di coordinate“. In effetti, ma solo se si continua a dare per fermo l’identità dell’Ellesponto, un sentiero del mare forte e alto, con il Bosforo, uno percorso di mare stretto da due terre, ciò che scrive Omero pare incomprensibile, tant’è vero che per gli Accademici, e fino al 1860, Troia era un luogo di mera fantasia (A. Morelli. Dei e Miti, v. Troia), che l’interessato commerciante d’oro di seconda mano Schliemann ha creduto di trovare a Hissarlik, sconfessando la più antica locazione a Bunarbashi, ma a sua volta sconfessato dai poemi di Omero e dai relatori..

Se, senza preconcetti, si tiene conto dei versi dell’Iliade, ma non solo di quelli, per individuare la giusta posizione di Troia, si scopre che Omero disegna coordinate geografiche inequivocabili che portano a localizzare Troia in una realtà <unica> in tutto il mondo greco, cui bisogna necessariamente riferirsi. Dai suoi versi, infatti, Omero tramanda di Troia sia un’identità assoluta, territoriale, con una memoria tuttora conservata nella realtà dei luoghi e nei toponimi viestani; sia un’identità relativa, di una città dalla cui spiaggia si vede il sole nascere e calare nello stesso mare, con l’altra sponda di questo mare a sua volta delimitato, da nord-ovest a sud-est, passando per il nord e l’est, dall’omerica Tracia i cui Traci chiudevano l?Ellesponto (iliade II, 844). Per logica conseguenza degli stessi versi, Troia si identifica come l’estremo lembo di una penisola aperta sui fianchi al mare e al sole che nasce e tramonta, perché rivolti l’uno a sud-est e l’altro a nord-ovest, rispettivamente, addentrandosi

profondamente verso il nord e l’est di quel mare che in queste stesse direzioni la separa dalla Tracia, la remota penisola balcanica.

E’ geograficamente “unico” che verso l’occidente e il sud della Tracia c’è solo l’Italia peninsulare, dopo l’attraversamento di quel mare, l’Adriatico, che difatti è chiuso tra la Tracia e l’Italia. 

Premesso che esiste già una tradizione orale che narra di Troia quale città dell’Adriatico e storie scritte della presenza di una Troia adriatica costruita da Enea e Antenore (Livio Storia di Roma. I,1) o da Enea (Virgilio. Eneide III, 349;495) e di un’Argos Ippion costruita da Diomede nei “campi iapigi del Gargano” (Virgilio, ivi) con le pietre portate da Troia (S. Ferri. Atti del IV convegno dei comuni Messapici Peuceti e Dauni. Trinitapoli 1972 pag. 26) sul luogo del loro primo sbarco, la predetta posizione “unica” in tutto il mondo greco, ivi compresa la Magna Grecia, fa di Troia una città dell’estremità della penisola del Gargano, che, non a caso, poi diventa il luogo di sbarco di “Antenore (..) Diomede e gli altri che la guerra di Troia disseminò, i vinti insieme ai vincitori per le terre altrui (Seneca. Ad Elviam matrem 7,6)”. Premesso che dall’analisi della Ia-pyga mes-apia viene fuori una monade troia centro dell’antichità e che gli Iapigi e Messapi erano un’antica maniera di identificare i Pugliesi, questa posizione è bene descritta dal Giuliani (Memorie storiche di Vieste p. 13), che nel 1750 scrive: “Nel gettarsi che fa nel seno dell’Adriatico mare il Monte Gargano, prolungandosi in mezzo alle acque circa venti miglia nella sua estremità, lascia la città di Vieste sopra uno scoglio a guisa di una penisola (..) Rimira ad oriente, a settentrione e all’occaso il libero suo orizzonte in lunga distanza tutto bagnato dalle acque marittime (..) in niuna parte del giorno è priva de’ raggi solari. In un tempo stesso, situata a guisa di una punta all’estrema falda de’ monti, vien dominata da contrari venti; e si osserva in tempo di bonaccia che le acque del mare portate sono in parte contraria (..) per dividersi quivi i venti, e due venti spirano nel tempo stesso”.

I versi omerici annotati sul diario dimenticato da Uria, e da dove si ricava la posizione di Troia sono i seguenti:

  1. Achille minaccia il ritorno in patria, facendo tre giorni di navigazione sull’Ellesponto verso l’Aurora, cioè verso oriente, Omero (Iliade IX,360. Ed. BUR) scrive: “tu vedrai, se vorrai, se te ne importa qualcosa, sull’Ellesponto pescoso navigare all’aurora le mie navi, e dentro uomini ardenti a remare; e se il buon viaggio ci dona l’Ennosìgeo glorioso, al terzo giorno saremo a Ftia fertile zolla” …
  2. … per raggiungere la Tracia, i cui Traci chiudono l’Ellesponto. Infatti Omero (Iliade II,845) scrive: “Acàmante e Pìroo guidavano i Traci (alleati dei Troiani), quelli che l’Ellesponto flutto gagliardo chiude”. L’Ellesponto, quindi, è il “braccio del vasto mare”, pontos, che partendo da Troia e andando verso oriente trova la costa occidentale della Tracia, poi nota come Illyria, perché di fronte a Yria per Vieste, ora Croazia;
  3. Teti giunge sulla spiaggia troiana con le nuove armi di Achille. Omero (Iliade XIX,1) scrive: “L’aurora peplo di croco dalle correnti d’Oceano balzò a portare la luce agli immortali e ai mortali e Teti giunse alle navi“. A oriente delle spiagge troiane c’è, quindi, il mare sul quale sorge il sole;
  4. Gli Achei bruciano i resti di Patroclo sulla spiaggia di Troia. Omero (Iliade XXIII,226) scrive: “Quando Lucifero esce ad annunziare la luce alla terra e dietro si stende sul mare l’Aurora peplo di croco allora si esaurì il rogo e cadde la fiamma”. Lucifero (Venere) e Aurora (Eòs) sorgono, quindi, sul mare a oriente, che porta a un luogo situato sul mare ad Oriente di cui Vieste è figlia;
  5. nel raccontare la tregua stabilita da Greci e Troiani per recuperare i rispettivi caduti, Omero scrive che sempre da questa spiaggia i Greci e i Troiani vedono il sole sorgere dal mare all’inizio delle operazioni (Iliade VII, 42): “E mentre il sole nuovo colpiva le campagne, su dal profondo Oceano che scorre quietamente salendo verso il cielo, s’incontrarono essi”. E calare nello stesso mare alla fine delle stesse operazioni. Omero (Iliade XVIII, 483) scrive: “E il lucido raggio di sole calò nell’Oceano la notte nera traendo sopra la terra”. In questi versi c’è la principale peculiarità che rende la posizione di Troia astronomicamente “unica” ma reale in tutto il mondo greco, infatti, soltanto dall’estremità e dalle sommità del Gargano è possibile vedere il sole sorgere e calare nell’Adriatico durante i mesi in tarda primavera e inizio estate, quando si combattono gli ultimi 51 giorni di Troia narrati da Omero nell’Iliade;

la posizione di Troia che guarda il mare sia a Nord, sia all’Oriente e sia all’Occidente è ribadita sul nuovo scudo di Achille. Omero (Iliade XVIII, 483) scrive: “Vi fece la terra, il cielo e il mare, l’infaticabile sole e la luna piena, e tutti quanti i segni che incoronano il cielo, le Pleiadi, l’Iadi e la forza d’Orione e l’Orsa, che chiamano col nome di Carro: ella gira sopra se stessa e guarda Orione, e sola non ha parte nei lavacri d’Oceano”. In realtà in questi versi Omero rivela il suo punto terreno di osservazione del cielo, cioè la sua posizione in terra rispetto alla “corona” del suo cielo, che da questi stessi versi spazia dal nord celeste, identificato con la costellazione boreale

  • dell’Orsa, delle Pleiadi e delle Iadi che tutte insieme formano il Toro, costellazione che indica il Nord, fino all’equatore celeste, identificato con Orione, la costellazione equatoriale che si estende a sud del Toro. In particolare, l’indicazione sull’Orsa che “sola non ha parte nei lavacri d’Oceano” significa che il Carro dell’Orsa non si abbassa mai sotto l’orizzonte di un mare che si trova necessariamente a Nord del luogo di osservazione di Omero e di Troia, trattandosi del mare <boreale> di allora, l’Adriatico: Il Gargano viene identificato come il Monte Orione, che alla ricerca di Eos genera il porto viestano del Pantanella con l’ultima sua pedata messa sul territorio viestano;
  • la posizione geografica di Troia, relativa al mare e alla Tracia, oltre che dai precedenti punti 1 e 2, emerge anche dalla provenienza dei venti citati da Omero: lo Zefiro, vento di nord-ovest, che a Vieste assume il nome di Maestrale, proveniente dal mare, e la Bora, vento esclusivo dell’Adriatico che a Vieste arriva da 0° latitudine nord, i quali per Omero (Iliade IX,5): “soffiano questi di Tracia, improvvisi e subito l’onda nera si gonfia e sputa lungo la riva molte alghe“. Poi c’è l’Euro, il vento dell’est, che a Vieste proviene dal mare da oriente, precisamente dal punto dove il sole sorge il 21 giugno, giorno del solstizio d’Estate, e che viene detto pure vento di Greco, o Grecale, di cui Vieste è figlia, perché in origine con questo nome si identificava tutto ciò che si trovava sul percorso del sole nel giorno del solstizio d’estate, tutto il resto era barbaro. Questo percorso del Sole si trova nel nome dei Viestani come Vestysane, cioè figli delle’aestus più alto: il latino aestus indica pure il percorso del Sole in questo fatidico giorno. Infine c’è il Noto, il vento del sud, lo Scirocco che a Vieste proviene dal mare dalla stessa direzione. La concomitanza dello Zefiro (nord-ovest; il Maestrale) e del Noto (sud-sudest, lo Scirocco), oltre a richiamare il Giuliani quando scrive che la penisoletta viestana <vien dominata da contrari venti (..) e due venti spirano nel tempo stesso>”, la dice lunga sulla cecità di Omero, che scrive (Iliade. XI,305): “come talvolta Zefiro s’urta contro le nubi del biancheggiante Noto, con raffica fonda colpendole, e continuo il flutto gonfio, alto la schiuma spruzza, sotto la sferza del vento errabondo, fitte così sotto Ettore cadevano le teste del popolo”. Il quadro dei flutti che arrivano gonfi col Noto e che spruzzano schiuma dalle creste che si rovesciano nell’urto con Zefiro, a Vieste è un fatto reale che richiede buona vista accompagnata da vena poetica.

Dov’è il “braccio del vasto mare” che Omero chiama Ellesponto, di cui Troia ne era uno dei capi, mentre l’altro è evidentemente rappresentato dalla Tracia?

Premesso che l’Ellesponto è l’antico, quindi greco, orientale (elles) sentiero del mare alto e aperto (pontos), e che Vieste si trova “in mare forte alto” (Giovanni da Uzzano; cfr. V. Ruggieri. Vieste nell’Alto Medioevo) ed è una città “aperta” col nome di Uria (Catullo. Canti. 36), e che per Tolomeo (Geografia III,11) Vieste, o Apeneste, nome che dal greco apeneuthe-este ribadisce il protendersi verso oriente dell’estremità del Gargano, quindi Vieste, detta pure Hyria, nome dovuto al suo aprirsi alle continue correnti eoliche e marine, costituisce il punto di divisione tra il mare Ionio e l’Adriatico; Polibio (Storie II.14,4-5) infine scrive: “L’Italia, nel suo insieme, ha la forma di un triangolo, in cui il lato che si piega verso oriente è delimitato dallo Stretto Ionico e, subito di seguito, dal Golfo Adriatico“. Oltre l’Ellesponto, lo Stretto Ionico di Polibio, che separa lo Ionio dall’Adriatico e che fa capo a Vieste, è pure il “corridoio” che dal greco laure diventa il Laurento percorso da Enea (Virgilio ivi, III) e l’ideale via luminosa seguita da Antenore (..) Diomede e tutti gli altri vinti e vincitori che la guerra di Troia disseminò” (Seneca, ivi), per approdare a Vieste.

Vieste, che anche per questo rivela il motivo della sua elezione a sacrario di Diomede, che avrebbe voluto tagliare l’isola abitata, detta Teuthria, per renderla una vera isola (il Montarone viestano)  ma che non riuscì per la sua sopravvenuta morte venendo seppellito sull’isoletta disabitata da identificare con lo Scoglio viestano, da cui le Isole Diomedee inequivocabilmente per Vieste, che anche per la sua identità con il Timavo di Strabone (Italia V.1,8) e di Plinio (Storia Naturale III.30,151), pure secondo altri antichi documenti un tempo costituiva il capo del sentiero marittimo dove approdavano nel porto del viestano Pantanella, viandanti indeuropei da ultimo imbarcati in Illyria. I quali, per riconoscersi come popolo prima di “disseminarsi per le terre altrui” in tutta l’Europa (Seneca, ivi, 6-7), ricorsero a capostipiti ed ecisti il cui nome derivò da una caratteristica fisica, o geografica, o da una funzione particolare del sito viestano, o ancora, con la diffusione della favola epico-mitica di Omero, pure da eroi eponimi tratti dai suoi poemi. Vieste nell’identità di Pizzomunno ebbe, quindi, una funzione del tutto analoga a quella di Troia, capo dell’Ellesponto e crocevia di popoli indeuropei.

Oltre la piena rispondenza dei luoghi viestani alle descrizioni di Omero, anche i suoi toponimi rivelano l’identità assoluta di Troia con la loro chiara origine dai poemi omerici. Così l’Ida (= selvoso, luminoso) diventa Gar-ganos (= per davvero luminoso); il Gargaron, estrema propaggine dell’Ida, diventa la punta estrema del Gargano (Rocci, v. Gargaron); Batìea, o sacrario di Myrina, la piana con al centro il poggio, in viestano “U Munduncidde”, sul quale i Troiani e i loro alleati aspettano i Greci per

la battaglia (Iliade. II,813), è il piano della “Battaglia” con al centro il poggio tuttora dedicato al più remoto altare di Merino, che è l’omerica Myrina; ragione per la quale fu per la fama di questo nome se al tempo romano Vieste si identificò con Marinum (Strabone, ivi V,2), Merinum e Mirinum (M. Della Malva. Vieste e le città della Daunia, p.184); la Bellacollina omerica, che non è affatto scomparsa per le piene del fiume, come scrive Schliemann nel suo diario (Alla scoperta di Troia), diventando il viestano “U Muntincidde, cioè un Montincello (= monte piccolo e bello; che è lo stesso dell’omerica Bellacollina); lo Scamandro, la cui foce non ha affatto cambiato direzione, come scrive Schliemann (ivi) nel considerare un fiume che scorre da est e sfocia a ovest, quindi in una realtà opposta a quella omerica, poiché dopo la confluenza con altro canale (il Simoenta) non ha mai smesso di scorrere da ovest e sfociare nel mare a est, in perfetta sintonia con le indicazioni omeriche, diventando l’attuale Canale della Macchia, che nasce dal greco make è battaglia, campo di battaglia; Caprarezza, una collina sulla quale nel 1200 c’era un Castellum Marini e nel 1760 erano ancora visibili i segni di un’antica fortezza (Giuliani, ivi p. 66), ma che dal greco capra(ina)-rezo è la <troia data in sacrificio>, concetto presente in Omero, che si identifica, anche per la reale congruità con altri particolari presentati da Omero (Iliade III) sul Pergamo di Priamo e il dato testimoniato da Seneca (Le Troiane v. 1068), quando fa dire a un certo Nunzio (che sta per l’annunciarsi nel mare del Montarone viestano): “Solo una torre è rimasta in piedi della grande Troia, dove Priamo usava recarsi. Da quella vetta e dalla sommità di quei merli, come arbitro della guerra stando in sedute, lui guidava le schiere

Il diario lasciato da Uria per il riscatto del suo amato Pizzomunno contiene poi una miriade di fatti e prove che danno risposte al resto della questione omerica, con alla fine una domanda: <e se … questo diario fosse finalmente conosciuto da tutti?> e anche una risposta: “Allora Pizzomunno, personificazione di Vieste come Pizzo (Atlante) del Mondo (occidentale), ridiventerebbe il signore in sembianze più umane di un luogo di prestigio internazionale, capace di dare una migliore radice storica e culturale all’Italia con il recupero della memoria “perduta” nel tempo e l’accavallarsi di popoli indeuropei, che con il loro passaggio in questo luogo, o porto, hanno poi trasposto e confuso la sua sacralità (evemerismo spontaneo). Tutto ciò, oltre a incoraggiare una maggiore cura e una più attenta lettura del territorio e dei suoi fin qui abbondanti reperti archeologici, creerebbe sia un maggiore e migliore sviluppo delle capacità ricettive di tutto il territorio garganico, sia il tanto agognato prolungamento della stagione turistica nell’arco dell’intero anno solare e, conseguentemente, maggiori risorse economiche locali e, di riflesso, nazionali”.

Giuseppe Calderisi