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PUGLIESI SEMPRE PIU’ POVERI: RISCHIO USURA

Piccoli negozianti nei guai ma, anche, i titolari delle botteghe artigiane e molti lavoratori autonomi. In Puglia, nel mirino degli «strozzini» che prestano soldi a tassi usurai ormai ci sono un gran numero di categorie, schiacciate dalla crisi.

L’allarme, nei giorni scosi, fu lanciato a Bari durante un convegno dal commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative anti racket e anti usura, Maria Grazia Nicolò.

Nella nostra regione, infatti, per quanto riguarda l’usura le istanze presentate sono state 40 nel 2019, 28 nel 2020, 27 nel 2021 e 16 nel 2022.

«Percepiamo un aumento del fenomeno dell’usura, tuttavia le denunce sono ancora limitate», aggiunse il prefetto di Bari, Antonella Bellomo, a margine dello stess convegno. «Abbiamo avuto alcune inchieste giudiziarie che dimostrano questa crescita, che spesso si accompagna al fenomeno dell’estorsione».

La Puglia, insomma, sempre più povera e, pertanto, aumenta il rischio dell’usura. L’aumentata disoccupazione ha esteso l’area della povertà coinvolgendo anche famiglie che ne erano esenti: la povertà si conferma una piovra avvolgente, genera debiti e rischio di usura.

«Lo diciamo da tempo, le famiglie pugliesi sono sovraindebitate, fenomeno peraltro osservato dalla consulta nazionale antiusura, che ha evidenziato un ricorso sempre più frequente all’usura per far fronte all’aumento del costo della vita. È un dato di fatto: manca il lavoro, ma anche quando c’è, si tratta di lavoro povero», commenta il segretario organizzativo generale della Uil e commissario straordinario Uil Puglia, Emanuele Ronzoni.

In Puglia, stando ai dati Istat, il 27,5% delle famiglie è a rischio povertà relativa, il dato più alto di tutto il Paese. La media nazionale è dell’11,1%, quella del meridione è il 20,8%. «Non si parla solo di persone disoccupate, per le quali continuiamo a ritenere indispensabile una seria politica attiva del lavoro e quindi investimenti in questa direzione da parte della Regione, ma anche di persone che lavorano da anni in condizioni precarie che non consentono alcuna progettualità ma una mera sopravvivenza», aggiunge Ronzoni.

Secondo l’Osservatorio statistico dell’Inps, il reddito medio pugliese è di 17.128 euro lordi annui. Si parla di 3mila euro in meno della media nazionale e addirittura seimila se il confronto è con i lavoratori dell’Emilia Romagna o del Trentino Alto Adige.

«Il livello delle retribuzioni è sostanzialmente invariato da circa trent’anni, e questo accade in tutto il Paese. Nel Mezzogiorno, in particolare, questo rende la situazione drammatica. L’attuale crisi economica ha ulteriormente aggravato la situazione contraendo il potere d’acquisto delle famiglie, non solo i lavoratori ma anche i pensionati che scontano da decenni un immobilismo che continua a erodere le loro capacità di spesa. Non parliamo quindi di una crisi momentanea dovuta a cause esterne, ma ad una situazione strutturale di lavoro povero», dice anche il segretario organizzativo generale della Uil e commissario straordinario Uil Puglia.

E ancora: «Esiste una catena di creazione di povertà e disuguaglianza, le paghe sono troppo basse e la precarietà è troppo diffusa e all’interno di questa catena esistono forti disparità tra lavoratori e lavoratrici, con queste ultime lontane da una parità salariale reale e alle prese con una difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Situazioni che si risolvono solo attraverso la contrattazione, attraverso la vigilanza del rispetto dei contratti nazionali, attraverso la riduzione di tutte quelle forme contrattuali precarie come il lavoro a tempo determinato, seguendo il modello spagnolo, la riduzione delle ore lavorative a parità di salario, la riduzione del cuneo fiscale e la decontribuzione della tredicesima e degli aumenti contrattuali».

«Le misure straordinarie messe in campo sinora – conclude il rappresentante sinfdacale – hanno tamponato la situazione, ma l’inversione sarà possibile solo se ci sediamo al tavolo e discutiamo seriamente del futuro delle lavoratrici e dei lavoratori. Sono queste le priorità del Paese non l’autonomia differenziata che se attuata non potrà che aggravare queste disparità».

gazzettamezzogiorno