In principio fu Vitino “l’Enèl”, l’ex cassiere del clan Capriati, a capire che per diventare ricchi non c’era bisogno di fare «barn barn» con la pistola, ma bastava un «click click». «È tutta una questione di indice», diceva già ima decina di anni fa per spiegare ai suoi adepti che la nuova frontiera del riciclaggio dei proventi illeciti passava dall’utilizzo delle piattaforme digitali, tramite la gestione scientifica delle nuove tecnologie.
Vito Martiradonna aveva avuto anche un’altra felice intuizione: utilizzare il gioco online per ripulire denaro sporco, investendo nell’apertura di ristoranti a Bari e nell’acquisto di immobili all’estero. Dopo di lui, in tanti hanno seguito questa strada: boss, piccoli criminali di provincia, imprenditori e persino qualche insospettabile, come lo studente 22enne Alberto Garrappa (che per un anno aveva frequentato la Lum) arrestato dalla Guardia di finanza per aver messo in piedi un traffico di droga dalla California e riciclato i profitti tramite le sale scommesse.
Il ragazzo utilizzava carte prepagate intestate ad amici per farvi accreditare dai clienti le cifre corrispondenti alle dosi di droga acquistate. Poi, con la complicità di almeno due gestori di sale scommesse, apriva conti-gioco sui quali versava in contanti il denaro prelevato da quelle carte prepagate. Anche i conti-gioco venivano intestati a terze persone, del tutto ignare, e a loro si attribuivano le vincite di giocate che in realtà non erano state effettuate.
I soldi venivano quindi reinvestiti depositando criptovalute su conti aperti in banche bulgare e lituane. E se nel caso da poco scoperto dalla Finanza ad agire era un giovanissimo insospettabile, in altre occasioni è venuto alla luce che il riciclaggio collegato a complesse operazioni finanziarie era appannaggio di gruppi strutturati anche mafiosi. Come erano appunto i Martiradonna, Vitino e i suoi figli, arrestati nel 2019 e poi condannati. Nel gioco ordine avrebbero investito grandi somme anche i Parisi, con Tommy il cantante (figlio del boss Savino) che è stato titolare di diverse agenzie.
La maggior parte dei clan baresi, a dire il vero, preferisce ancora spostare i soldi illeciti, guadagnati soprattutto con la i droga, nel settore immobiliare, cosa che negli ultimi anni li ha trovati pronti a cogliere le enormi potenzialità offerte dallo sviluppo turistico.
Dal locale dedicato allo Street food aperto nella scorsa primavera dai Capriati a Bari vecchia ai bar sul lungomare e i b&b di affiliati ai Palermiti, alcuni dei quali usati a volte per nascondere i latitanti. Questo fiume di contanti che scorre sotto la città non viene soltanto dalla criminalità organizzata, ma anche da imprenditori piccoli e grandi che, con l’aiuto di professionisti, mettono in atto truffe di vario genere.
Quelle sui bonus edilizi, per esempio. Il gruppo capeggiato da Giuseppe De Scala (arrestato il 28 gennaio) avrebbe ottenuto illegalmente l3 milioni, usandone una parte per comprare appartamenti da trasformare in b&b.
Nelle intercettazioni era proprio De Scala a parlare di «almeno una quindicina, da cui poter ricavare 6-7mila euro al mese». Altro maestro nell’arte del riciclaggio, secondo la Dda, sarebbe l’avvocato Giacomo Olivieri – in carcere per voto di scambio – che avendo sentore delle inchieste, alcuni anni fa, avrebbe intestato parte del suo patrimonio a prestanome. Dell’attico in via Melo e di due case a Polignano a Mare è stata chiesta la confisca.
repubblicabari