Agli studiosi italiani e stranieri che si occuparono della leggenda di S. Michele Arcangelo sul monte Gargano, sfuggi, a quanto ci risulta, la lunga narrazione che ne fece nel X secolo Flodoardo di Reims nel De Christi triumphis apud Italiam, e più precisamente nella terza parte di questo poema, ove, dopo i cosi detti «Trionfi di Palestina e d’Antiochia» espose i « Trionfi d’Italia », Cioè le leggende e i miracoli riguardanti luoghi e santi italiani.
Interessante è la figura di Flodoardo, il più dotto, forse, il più prolifico dei poeti del suo tempo. Egli nacque nell’804 ad Epernay, presso Reims. Correva, allora per la Francia un torbido e confuso periodo di anarchia politica e di depressione economica, un periodo non certo favorevole agli ozi letterari e alla diffusione degli studi, quale era stato invece quello precedente, tutto illuminato dall’intenso movimento della Rinascenza carolingia.
Ciononostante nelle scuole religiose, che godevano di una rigogliosa e indipendente vita economico, continuò anche allora ininterrotto lo studio e l’imitazione dei maggiori scrittori latini, con una produzione letteraria di alto livello, nella scia della trascorsa tradizione classicheggiante. In una di tali scuole fu educato Flodoardo, e precisamente nella scuola cattedrale di Reims, che assurse a grande rinomanza dal sec, IX in poi, per l’insegnamento di numerosi eccellenti maestri, e fu uno dei centri scrittorii più importanti per lo sviluppo della scrittura carolina in territorio francese.
Anche Flodoardo divenne maestro a Reims e, dopo aver sofferto numerose traversie per cause politiche ed essere stato anche in prigione, fu fatto vescovo di Noyon e Toumay, ma non smise mai di coltivare, fino al termine della sua lunga vita (morì nel 9661, quegli studi letterari che ne avrebbero tramandato la fama fino a noi. Le opere più importanti e più note di Flodoardo sono quelle storiche, gli Annales, cioè, e gli Historiarum Remensis ecclesiae libri duo, in cui si mostra zelante ed accurato raccoglitore di notizie.
Non meno coscienzioso fu Flodoardo nella stesura del De triumphis; infatti nel 936 egli venne a Roma e qui raccolse dati, fonti, documenti per la parte d’argomento italiano del suo poema. Il viaggio dovette essere fruttuoso, se consideriamo che questa terza sezione del poema risultò non solo la più ampia, ma anche la più vivace e sentita.
E fu forse proprio durante il soggiorno romano che Flodoardo consultò un testo dell ‘Apparitio Sancti Michaelis, la più antica cioè, fra le redazioni della leggenda di S. Michele, dato che essa risale al IX sec. (Mon. Germ. Hist., Scr. rer. long. p. 450). In ogni modo, o a Roma o altrove (ce ne- sono codici anche in altre regioni d’Europa), Flodoardo tenne certamente presente l’Apparitio, come mostreremo appresso, basandoci sulle numerose concordanze anche verbali, che si riscontrano nei due testi.
In un ambiente culturale dove la tradizione ebbe una forza assai maggiore che in ogni altro periodo o momento storico, era difficile che Flodoardo giungesse ad una vera commozione poetica; troppo spesso la sua non è che una cronaca modellata su di uno stampo di forme fastose e sempre, alla lunga, identiche.
Ciononostante qualche volta, sulla scia dell’epica classica a lui non ignota e dei migliori esempi dell’epica latina medioevale, riuscì a sollevarsi a rappresentazioni alquanto efficaci e mosse. Cosi, ad esempio, in quel punto della suggestiva leggenda, dov’egli vede, anche se per interposta immaginazione, la notte riportare “l’ombra alla terra, le stelle al cielo” e il Principe della milizia celeste scendere dalle superne sfere e recare al Vescovo il responso da lungo tempo atteso.
Ma è tempo ormai di dare la traduzione italiana del brano che c’interessa e che ci occorse di ritrovare, con gioia facilmente comprensibile da parte di chi ha sangue garganico come noi, in occasione dei nostri studi di Letteratura latina medioevale alla scuola di Giuseppe Chiri.
Inutile aggiungere che una tale traduzione, per quanto ne sappiamo, non fu mai tentata da altri, e noi, nel farla, ci siamo sforzati di restar fedeli, nei limiti del possibile, al testo alquanto nebuloso ed intricato. Il brano occupa nell’edizione del Migne (voi. 136) le colonne 853 e 854, corrispondenti al XIV libro, cap, 1 della terza» parte del poema di Flodoardo. che è steso naturalmente, in esametri latini. Esso è riportato isolatamente anche dall’Ermini (Poeti epici latini del sec. X, Roma, 1020).
« De Sanerò Michaele Archangelo »