Il legame tra il viaggiatore e la città comincia quando a partire dal ’500 da pellegrino si recava in Terra Santa o a Roma e, poi, mettendo spesso tra parentesi la fede, attraversava l’Europa con il Grand Tour per conoscere, imparare ed immergersi in un mondo nuovo. Seguono gli anni in cui il turismo diventa di massa grazie ai nuovi mezzi di trasporto ed alle maggiori diponibilità economiche. Il turista cambia profondamente e con lui muta la città alla quale chiede esperienze ed emozioni.
Il turista è oggi il protagonista di questa città nuova, sia essa una metropoli o un borgo. C’è anche chi ha parlato del turista come simbolo e protagonista della città della contemporaneità o di una sindrome del turista che segna la nuova realtà urbana che deve appunto soddisfarne le aspettative. La città inventa il turista e ne sarà a sua volta reinventata, trasformata dalla continua azione di renderla più attrattiva e consumabile simbolicamente.
Il turista cerca, ieri come oggi, esperienze ed emozioni. Queste le trova anche nelle nuove grandiose architetture il cui scopo è proprio quello di creare e regalare emozioni. Il turista protagonista ed artefice di una città che è insieme scena e spettacolo può perciò essere considerato la metafora della città contemporanea.
«IL TURISMO DI MASSA ESALTA IL MONDO DELLE APPARENZE»
Nel nuovo libro del sociologo Giandomenico Amendola uno sguardo lucido e spietato sul fenomeno dilagante.
Ma poi, queste orecchiette baresi vendute ai turisti e sulle quali si sono fatte tante storie. Motivo: il sospetto che, spacciate per artigianali, fossero industriali. Il fatto è che al turista interessa meno di quanta polemica si sia fatta in città. Perché è vero che il turista cerca “l’autentico”, ma il suo autentico non dipende dalla tavola. Dipende soprattutto dallo scenario dell’acquisto, dalla tradizione che lo accompagna, dalla immagine che ne è stata trasmessa, dal rito collettivo, dall’affollamento alla bancarella. Anche perché poi il palato del turista per giudicare quelle orecchiette al ragù o con le cime di rapa è, appunto, «turistico». È il «miracolo del consenso» che non viene dagli esperti (in questo caso gli «orecchiettologi») quanto dalla capacità di attrazione che fa vivere una esperienza.
Ora ci perdoni uno studioso del blasone di Giandomenico Amendola nel vedere il suo ultimo
prezioso libro (Il turista e la città tra Grand Tour e architurisrno’ Adda ed., pp. 132. euro 18) rischiare il mangereccio. Il fatto è che il sociologo urbano barese ci accompagna alla comprensione di una delle rivoluzioni moderne, cioè il turismo, partendo da ciò che vediamo un po’ in tutte le nostre città: l’«overtourism», il turismo di massa. Quello che anche in Puglia e Basilicata sempre più viviamo fra il piacere soprattutto di b&b, bar e ristoranti e il minore (e malcelato) piacere dei residenti. «Overtourism» che, precisa opportunamente Amendola, non è nato oggi ma dopo quell’ottocentesco Grand Tour molto celebrato ma molto più «nobile» ed elitario. Oggi ogni anno i turisti nel mondo sono quasi un miliardo (il 10 per cento della popolazione totale), in Italia 450 milioni. Rituale alla caccia soprattutto dell’emozione e dell’esperienza di vita dei posti.
Ma attenti, non tiriamoci fuori: è sufficiente per le attuali «mandrie» del turismo che queste emozioni siano «consumabili» anche (o almeno) simbolicamente. Esempio il famoso (e famigerato) balcone di Giulietta e Romeo a Verona. Si sa che non è mai esistito, ma è il primo richiamo di quella città. Un simbolo, appunto, e tanto basta. Fino al punto che si creano «falsi autentici» (da Las Vegas al castello di Ludwig in Baviera) e sapendolo. Perché lo sguardo di questo turismo cerca conferme a ciò che si aspettava e voleva vedere. Perché «non fa altro che far proprio ed esaltare il mondo delle apparenze in cui ciascuno di noi vive». Da immortalare con implacabili selfìe (da cui il termine un po’ superato di «Kodakization»), E col rischio incombente che «il turismo sia l’arte della delusione».
Ma questa è la massa, sdrammatizza Amendola (con un autentico più autentico cercato nei Sud come il nostro). La massa non più della «forza dei luoghi» ma delle «città da ingoiare» (c’è un americano Roma in two days, Roma in due giorni, pensa tu). Perché c’è poi il turismo dei monumenti e delle architetture (appunto l’«architurismo», monumenti anche contemporanei come spettacolari palazzi). E c’è il turismo mosso dalla letteratura, dal cinema, dalla storia, dall’arte, dalle guide, dal marketing: immaginazione che ha funzionato anche in altri tempi con meno possibilità di movimento e meno richiamo mediatico. E il turismo della fede, che sposta per santuari. E quello del cibo, perché no.
Questo è un libro che ci conduce insomma nell’affascinante itinerario della metamorfosi del viaggio, dal viaggiatore al turista. Con una conclusione: «il turista è uno dei migliori modelli disponibili per comprendere 1’uomo-modemo-in generale». Conclusione positiva o negativa?