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VIESTE – NELLE VIE  DI MAGGIORE FLUSSO, STOP ALLE ATTIVITA’ DI VENDITA DI PRODOTTI DI BASSA PRODUZIONE INDUSTRIALE (2)

Credo che chi abbia proposto questa regolamentazione sia un vero genio! Uno che si commercio ne capisce assai. Innanzitutto le attività che vendono chincaglierie d’importazione hanno regolari contratti registrati. Sono anni che pagano suolo pubblico, locazioni e tari. E hanno regolarmente inoltrato una scia al comune dove credo sia ben evidenziata la categoria merceologica.

A questo punto, anziché puntare il dito contro le attività gestite da extracomunitari classificandole di ” bassa qualità” poiché commercializzano merce dozzinale e d’importazione bisognerebbe entrare più nel dettaglio della questione. I negozi di souvenir del centro storico gestiti da italiani producono i loro beni o anche loro li acquistano da un’importatore?

É acclarato che soprattutto lungo il centro di Vieste e nel centro storico la merce spacciata per ” locale” è proveniente da Bangladesh, Cina , rpc, Polinesia, India e Vietnam. L’unica differenza è che i ragazzi del Bangladesh sono veritieri nella provenienza e nel prezzo, mentre il resto ha il coraggio di scrivere “artigianato locale” .

Il decoro urbano prevede anche che non ci siano sedie , tavoli, fioriere e insegne di ogni tipo installate dalla ristorazione d’assalto per esempio. E neanche panzerotti e paposce volanti. Per non parlare dei negozi di prodotti tipici che espongono montagne di pasta al sole su banchi di legno o caciocavalli spacciati per podolici ma acquistati dalla silac. E poi, come mai queste attività si sostengono pagando cifre da capogiro, elargite per la metà in nero? Sarà perché più che l’offerta , bisognerebbe regolare la domanda.

Ovvero probabilmente la clientela che ci visita ha bisogno di questi accessori. O di colpo vogliamo diventare una piazza turistica chic senza averne le basi? Vi ricordo che a Vieste nessun brand nazionale e internazionale ha mai investito, per esempio in una boutique a marchio, probabilmente perché non abbiamo quote di mercato sufficenti.

A tutti i negozianti riferisco che per nove mesi all’anno non producono profitto per cui già questa statistica è anti commerciale e conviene più andare a lavorare che gestire un’attività. Al genio della lampada che ha partorito quest’idea riferisco che la qualità dei negozi è strettamente proporzionale alle politiche attuate , al consumo medio di ogni ospite e al ristretto periodo stagionale.

E propongo una verifica fiscale ai proprietari dei locali che , pretendendo cifre in nero e mettendo il cappio con affitti stellari, forse sono proprio loro i fuorilegge in questa drammatica situazione. Ad ogni modo, in una città dove l80% dei ristoratori si rifornisce all’euro spin non possiamo pretendere che sul corso ci sia il negozio di Dolce e Gabbana.

giuseppe vieste

dal nostro profilo facebook