Condannato dalla Curia napoletana formalmente per non aver chiesto il permesso ecclesiastico e temendo soprattutto la violenza popolare (oltre a negare il purgatorio, i miracoli, l’intercessione dei Santi e la verginità della Madonna, aveva persino condannato la devozione verso San Gennaro, dovette rifugiarsi a Vienna, sotto l’ala protettiva del principe Eugenio di Savoia.
Esponente di spicco dell’illuminismo italiano, Pietro Giannone veniva dalle Puglie, essendo nato a Ischitella il 7 maggio 1676. Discendente da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), a diciotto anni lasciò il paese natale per intraprendere gli studi di giurisprudenza a Napoli. Lì conseguì la laurea e si formò ideologicamente entrando in contatto con filosofi vicini a Giambattista Vico, Cartesio e Nicolas Malebranche.
Ancora a Napoli cominciò ad attendere alla sua opera principale, ‘Dell’istoria civile del regno di Napoli’ che, edita nel 1723, gli procurò subito gravi problemi per i contenuti fortemente anticlericali. Ma fra i detrattori del Giannone vanno considerati anche quegli intellettuali che al pensatore pugliese rimproveravano d’essere un plagiario, benché all’epoca, non esistendo il diritto d’autore, fosse prassi citare opere altrui senza indicarne l’autore.
Condannato dalla Curia napoletana formalmente per non aver chiesto il permesso ecclesiastico e temendo soprattutto la violenza popolare (oltre a negare il purgatorio, i miracoli, l’intercessione dei Santi e la verginità della Madonna, aveva persino condannato la devozione verso San Gennaro), dovette rifugiarsi a Vienna, sotto l’ala protettiva del principe Eugenio di Savoia. Mentre la sua fama cominciava a diventare europea, per il Giannone iniziava la vita da esule.
Fu a Venezia, poi a Modena, Ferrara, Milano, Torino, infine a Ginevra, senza mai smettere di cercare di fare rientro a Napoli ; pressato dalla Curia, il Sovrano gli negò sempre tale diritto. La permanenza in Svizzera fu breve, interrotta dall’arresto, avvenuto il 1° aprile 1936 a Vesenaz, un villaggio della Savoia, dove era stato maliziosamente attirato. – Non si è mai saputo chi lo tirò in trappola.
Di sicuro erano in molti i potenti che volevano consegnarlo all’Autorità ecclesiastica per ricavarne vantaggi politici. – Anche da prigioniero, Giannone ebbe vita nomade. Fu prima a Chambéry, poi al castello di Miolans, sempre in Savoia, in cui rimase fino al settembre 1737. Spostato nelle carceri di Porta Po, a Torino (dove fu anche costretto a firmare un atto di abiura che, a causa dell’ennesimo tranello, non gli valse la libertà), venne trasferito nel castello di Ceva, nel Cuneese.
Definitivamente trasferito a Torino, vi morì il 17 marzo 1748 attendendo a un convulso lavoro di revisione di opere già avviate e di composizione di nuove: i Discorsi sugli Annali di Tito Livio, l’Apologia de’ teologi scolastici, l’Istoria del pontificato di Gregorio Magno, l’Ape ingegnosa. Dei suoi settantadue anni di vita, ne aveva passati tredici fuggendo i suoi persecutori e dodici in carcere. – Nell’immagine, un ritratto di Pietro Giannone eseguito da Faconti Dionigi (1826-1865) e conservato nelle gallerie della Pinacoteca di Brera.