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IL 7 MAGGIO DI 249 ANNI FA, A ISCHITELLA, NASCEVA UN ESPONENTE DI SPICCO DELL’ILLUMINISMO ITALIANO PERSEGUITATO FINO ALLA MORTE PER LE SUE IDEE. PIETRO GIANNONE, DISSIDENTE SCOMODISSIMO

Condannato dalla Curia napoletana formalmente per non aver chiesto il permesso ecclesiastico e temendo soprattutto la violenza popolare (oltre a negare il purgatorio, i miracoli, l’intercessione dei Santi e la verginità della Madonna, aveva persino condannato la devozione verso San Gennaro, dovette rifugiarsi a Vienna, sotto l’ala protettiva del principe Eugenio di Savoia.

Esponente di spicco dell’il­luminismo italiano, Pietro Giannone veniva dalle Puglie, essendo nato a Ischitella il 7 maggio 1676. Discendente da una famiglia di avvocati (an­che se il padre era uno spezia­le), a diciotto anni lasciò il pa­ese natale per intraprendere gli studi di giurisprudenza a Napoli. Lì conseguì la laurea e si formò ideologicamente en­trando in contatto con filosofi vicini a Giambattista Vico, Car­tesio e Nicolas Malebranche.

Ancora a Napoli cominciò ad attendere alla sua opera prin­cipale, ‘Dell’istoria civile del regno di Napoli’ che, edita nel 1723, gli procurò subito gravi problemi per i contenuti for­temente anticlericali. Ma fra i detrattori del Giannone van­no considerati anche quegli intellettuali che al pensatore pugliese rimproveravano d’es­sere un plagiario, benché all’e­poca, non esistendo il diritto d’autore, fosse prassi citare opere altrui senza indicarne l’autore.

Condannato dalla Cu­ria napoletana formalmente per non aver chiesto il permesso ecclesiastico e temendo so­prattutto la violenza popolare (oltre a negare il purgatorio, i miracoli, l’intercessione dei Santi e la verginità della Ma­donna, aveva persino condan­nato la devozione verso San Gennaro), dovette rifugiarsi a Vienna, sotto l’ala protettiva del principe Eugenio di Savo­ia. Mentre la sua fama comin­ciava a diventare europea, per il Giannone iniziava la vita da esule.

Fu a Venezia, poi a Mo­dena, Ferrara, Milano, Torino, infine a Ginevra, senza mai smettere di cercare di fare ri­entro a Napoli ; pressato dal­la Curia, il Sovrano gli negò sempre tale diritto. La perma­nenza in Svizzera fu breve, in­terrotta dall’arresto, avvenuto il 1° aprile 1936 a Vesenaz, un villaggio della Savoia, dove era stato maliziosamente attirato. – Non si è mai saputo chi lo tirò in trappola.

Di sicuro erano in molti i potenti che volevano consegnarlo all’Autorità ecclesiastica per ricavarne vantaggi politici. – Anche da prigionie­ro, Giannone ebbe vita noma­de. Fu prima a Chambéry, poi al castello di Miolans, sempre in Savoia, in cui rimase fino al settembre 1737. Spostato nel­le carceri di Porta Po, a Torino (dove fu anche costretto a fir­mare un atto di abiura che, a causa dell’ennesimo tranello, non gli valse la libertà), venne trasferito nel castello di Ceva, nel Cuneese.

Definitivamente trasferito a Torino, vi morì il 17 marzo 1748 attendendo a un convulso lavoro di revisione di opere già avviate e di composi­zione di nuove: i Discorsi sugli Annali di Tito Livio, l’Apologia de’ teologi scolastici, l’Istoria del pontificato di Gregorio Ma­gno, l’Ape ingegnosa. Dei suoi settantadue anni di vita, ne aveva passati tredici fuggen­do i suoi persecutori e dodici in carcere. – Nell’immagine, un ritratto di Pietro Giannone eseguito da Faconti Dionigi (1826-1865) e conservato nel­le gallerie della Pinacoteca di Brera.