Sono le 8,30 del 9 maggio. Mille e mille occhi fissano la porta della Cattedrale nell’attesa di veder spuntare la sontuosa cassa che porta il sacro simulacro di S. Maria di Merino, ricoperto d’oro, dono ed ex voto dei viestani. É lo stesso sguardo da sempre, puntato nella medesima direzione, più o meno allo stesso momento, desideroso di vedere apparire quel Volto per esplodere nell’applauso di sempre. Volti sereni, distesi, volti tesi, piangenti, volti imploranti, volti commossi.
La festa vera e propria comincia: canti, musica, vocìo più o meno rumoroso, bambini, anziani, uomini, donne, tutti rigorosamente vestiti a festa per cedere poi agli abiti dimessi del pellegrino. Autorità civili e militari, Comitato per le festività sono lì per onorare la Regina e la Madre. Con incedere maestoso e solenne inizia la processione: i Santi avanti con i relativi stendardi e i fratelli delle varie congreghe, lo scampanìo dei campanelli che affiancano gli stendardi, poi le bande musicali debitamente distanziate l’una dall’altra, poi le Autorità tutte e il Comitato, quindi il Clero con l’Arcivescovo che stringe il reliquiario, la cassa con la Madonna e tanto popolo, mentre la città è festosamente invasa dal suono melodioso, solenne, persistente delle campane di tutte le chiese.
Un clima indimenticabile, che segna la memoria di ciascuno, dai più piccoli ai più grandi con quell’atmosfera di grande festa che rimarrà a perenne ricordo, che, con l’andare del tempo, diventerà profonda nostalgia, legata a momenti indimenticabili vissuti nella gioia e nella spensieratezza della festa.
Si muove il serpentone della processione dapprima in modo nervoso attraverso le stradine della vecchia città. Le persone si riversano agli angoli delle strade e vicino alle porte. Passa la Madonna e tutti vogliono farsi trovare pronti e presenti. Dai balconi pendono drappi preziosi, segno di rispetto, e piovono petali di fiori che formano un singolare tappeto, sul quale passa la Madonna. Poi il Corso principale, le arcate luminarie e due ali di popolo osannante, festante e curioso. Allegri palloncini svolazzano intorno. Gli occhi di tutti cercano e puntano su Maria.
Mamma e papà con in braccio i loro piccoli additano la Madonna, com’è stato fatto a loro a suo tempo e continuerà ad essere fatto.
La fantasia penetra il tempo e lo percorre. Tutto come sempre. Possono essere cambiati i tempi, accresciuti i palazzi, gli strumenti, può essere cambiato lo scenario, ma l’atmosfera, allora più semplice, ora più elaborata, allora pali infrascati di rami nobili, ora le arcate con mille lucette colorate; polvere da sparo per far giungere la notizia della festa ai lontani, ora invece fuochi pirotecnici multicolori e fragorosi ma sempre piacevolmente attesi, arcate e luci sempre più complicate e appariscenti.
I movimenti però sempre uguali, l’incedere sempre solenne, la commozione sempre forte, i volti sempre tesi, l’allegria sempre presente, la festa sempre la stessa, come se fosse in fotocopia. Sosta in piazza. La Madonna si gira verso il mare, come sempre ha fatto, per sentire e vedere, come gli umani, i fuochi pirotecnici. Un momento di confusione.
Molti ne approfittano per un bacio o un saluto alla Madonna. Quelli che non l’hanno potuto fare nei giorni precedenti accorrono ora per il contatto diretto e sensibile con Maria. I bimbi in braccio ai genitori, i ragazzi con un gesto fugace e rapido per carpire un bacio alla Madonna; gli anziani qui si danno convegno per avvicinarsi a Lei. Gli emigrati, rientrati per la circostanza, con il volto sofferto, si avvicinano per una preghiera. Molti di loro, attrezzati con gli ultimi prodotti da ripresa che mostrano con orgoglio, rubano un’immagine da conservare caramente nel tempo. Tanti non riescono a trattenere le lacrime, segno di un cuore gonfio di nostalgia o di malinconia. La Madonna non si sottrae a nessuno. C’è il grande, c’è il piccolo, c’è il sano, c’è il malato. Almeno la certezza che per un momento si è potuto tacitamente dialogare con il soprannaturale. Maria è paziente, ascolta, accoglie, sovviene.
Il fuoco pirotecnico è terminato. Si ripristina l’ordine, riprende la processione. L’atmosfera ora si fa magica. Il tempo non esiste più; esistono Maria e il suo popolo, che camminano insieme sotto il segno della festa. Si cammina fino alla pietra, un piccolo rettangolo cinto nel cuore della villa comunale, al centro del paese, che improvvisamente si popola di Clero e di pochi fortunati. La Madonna smette la cassa di città per prendere quella di campagna. Una marea di gente assedia la pietra, nell’attesa. L’Arcivescovo prega e incensa l’immagine sacra. Improvvisamente la scena cambia, si sposta l’attenzione. Alla gente vestita a festa con l’abito più bello preparato per l’occasione, si sostituisce una popolazione più a dimensione di pellegrini. La Madonna si mostra.
Tutto è diverso. La cassa, che ospita Maria per tutto il pellegrinaggio, ondeggia tra la folla. Fin dai primi passi tutti s’accostano.
Vogliono portare la Madonna, privilegio dei confratelli durante la processione. Una ressa incredibile e festante. La Madonna è in mezzo al popolo, confusa con esso. Sembra ora volare, impaziente di raggiungere la sua dimora di campagna. Il popolo si fa numeroso oltre ogni misura. Sembra disordinato, ma è semplicemente in cammino, un cammino di penitenza ma nello stesso tempo di festa e di giubilo, un cammino liberante. Tutti con Maria verso Merino.
Pellegrini con ogni etichetta. Ora cominciano ad esserci anche turisti e forestieri. No, non esiste al mondo una simile festa a Maria. Lei cammina in mezzo, sorridente e felice, e gioisce con il suo popolo. Una simbiosi mirabile, dove l’umano e il divino s’intrecciano e s’integrano. Le parole per descrivere questo fenomeno non sono sufficienti a rendere l’idea.
Tutto è bello, tutto è festa, tutto è gioia. La ressa di questi sentimenti esplode poi nel canto e nella preghiera dei fedeli. I canti, creati dalla pietà popolare, portano il sigillo di una tenera e profonda devozione a Maria. Per lo più sono in vernacolo ed esprimono nobilissimi sentimenti, teologicamente perfetti, intuizioni mirabili. Si canta senza interruzione. La presenza del sacerdote, rettore del Santuario, che guida il cammino, è garanzia d’ortodossia. La Madonna volge lo sguardo al mare, si ferma per le soste alle pietre tutto secondo un rituale sancito da una tradizione multisecolare; canto delle litanie e preghiera.
Il serpentone umano si allunga sempre di più, tanta gente, tanti giovani invadono la strada. Tra rosari, canti e preghiera il simulacro giunge sulla spiaggia di Scialmarino. Il suo volto è sempre verso il mare in segno di benedizione, il suo sguardo maternamente proteso verso i suoi figli che dal mare traggono il sostentamento. Quel mare, che qui apre all’infinito, che nasconde sempre insidie, bello e tremendo nello stesso tempo, incontra lo sguardo tenero della Stella del mare. Resta Lei il faro nei momenti perigliosi, al quale il popolo di Vieste sa rivolgersi all’occorrenza.
Una dolce brezza raggiunge il volto di Maria e accarezza quelli dei suoi figli dopo le fatiche del lungo cammino. Lo sguardo spazia sul mare e s’intenerisce, guarda sulla spiaggia e scopre l’immensa umanità che l’anima in questa memorabile giornata, come memorabile fu il giorno in cui, secondo la leggenda, la statua della Madonna fu rinvenuta su questa spiaggia e dopo un singolare duello tra le due popolazioni limitrofe che se la contendevano, viestani e peschiciani, caricata su un carro trainato da buoi, la Madonna scelse Vieste come sua dimora definitiva.
Mare e Madonna di Merino si ritrovano l’uno di fronte all’altra. La leggenda narra che proprio dal mare venne Maria. Vera o inventata la leggenda coglie un aspetto sicuramente importante della storia tra Vieste, il mare e la Stella del mare.
Il canto s’intensifica, il cammino si fa più celere. Finalmente si rimette piede sulla terra solida all’imbarcatoio, questa volta stanchi, sfiniti, ma felici, perché s’intravede la meta. La Madonna fa sosta. Incenso e preghiere.
Si forma la processione con lo stendardo colore del cielo e il pallio e i santi Pietro Celestino e Marino. Il canto delle litanie si spande per la campagna e quelli che hanno già raggiunto la meta con mezzi pubblici e privati, anticamente con muli, asini, traini, pregustano l’incontro con Maria, questa volta al Santuario. Ordinata e accaldata la folla s’incammina verso l’altura del Montincello a torto pensata come l’acropoli dell’antica città di Merino.
Qui giunti, la Madonna sosta per l’ultima volta, ma davanti al suo sguardo la scena è cambiata. Non più il mare, ora c’è la campagna aperta, spaziosa, ricca di gemme, pronta ad esplodere per l’abbondante raccolto. S’invoca da Lei pioggia, rugiada e frutto. Una preghiera, una benedizione con l’acqua santa, una nube d’incenso.
Ai pescatori si sostituiscono i contadini, le locali storiche categorie lavorative, sotto il suo materno manto e la sua forte e sicura protezione. Si riprende la strada e ben presto Maria fa il suo solenne ingresso nell’antica città di Merino.
S. Maria e Merino, un binomio storico, che diventa S. Maria di Merino. Di qui c’è venuta la devozione alla Madonna. Il 9 maggio rappresenta per questo popolo il momento del ritorno alle origini, un desiderio che da secoli non si affievolisce, come accade a chi è costretto a crescere in un terreno diverso da dove sono nate le radici. E altrimenti inspiegabile quest’attaccamento antico del popolo viestano a questo luogo storico, che ha avuto un ruolo importante nella storia della nostra città e ora lo conserva nella memoria viva.
Merino vive nella memoria popolare come il luogo legato a Maria, la protettrice. Per tutti è il luogo dove Maria ritorna pellegrina con il suo popolo, come a casa propria, ogni 9 maggio. Forza dell’immaginazione popolare e collettiva, forza della suggestione! Il tempo si annulla in un giorno, quando presente e passato vivono in un’unica atmosfera di gioia e di vita.
L’immaginario si popola, si anima, si vive in casa propria con Maria, Signora e insieme porta che introduce in questa città, abitata non da fantasmi di un lontano passato, ma da persone vive e desiderose di abbeverarsi alle sorgenti.
Il popolo ha partecipato al lungo pellegrinaggio, alla messa; non va via, si ferma e fa festa sui prati con la natura che si desta a nuova vita. La madre terra si rigenera e torna a vivere nel dolce tepore della primavera. É festa della nuova vita. La giornata dei viestani trascorre felice e spensierata tra un panino, una birra, un sorriso, una parola, un sospiro, un incontro. La gente si ristora e si riposa.
Arriva, poi, l’ora di riprendere il cammino per il ritorno.
Ancora una volta il popolo si assiepa intorno a Maria. Una preghiera, l’incenso, un ultimo sguardo attorno e il cammino riprende. Lo sguardo però è proteso in avanti, al cammino da compiere. La festa a Merino finisce e il cuore è rivolto a Vieste. Vi resta il profumo di Maria. Il cammino si fa quasi frettoloso. La Madonna, come all’andata, fa le soste, cammina però con il volto verso la campagna per abbracciare e benedire le necessità di chi coltiva la terra per vivere. Non cessano i canti di fede e di lode. É un coro ininterrotto e possente. Ora si è a San Lorenzo. Prima dell’ultimo tratto, la Madonna sosta a lungo su questo promontorio da dove Vieste appare in tutta la sua bellezza. Il richiamo della città si fa sentire.
Si riprende il cammino, ma nessuno più sembra aver fretta di camminare. La città ormai si possiede. Si vuole solo prolungare la festosa presenza di Maria in mezzo al suo popolo. L’incedere si fa ancora una volta solenne e lento. Il volto di Maria è ora rivolto verso la città. Lo sfarfallio delle candele accese comincia ad illuminare 1’imbrunire. Lo spettacolo diviene magico. La sera scende lentamente come l’incedere della processione. I lumi delle candele si moltiplicano all’inverosimile e sembrano giocare con le prime ombre della notte incipiente. La folla diventa marea.
Le preghiere e il canto dominano la scena, la processione avanza nella notte illuminata dalla fede dei viestani, significata dai lumi accesi nelle loro mani. Il tempo rallenta il suo corso. La Madonna avanza tra la ressa di chi vuole avere l’ultimo onore di portarla. Il tutto sempre in un rigido rituale secolare. Sono le 11 della sera. La Madonna giunge alla Pietra. I Santi sono stati già messi nell’ordine per la processione. Alla Pietra attendono la Madonna l’Arcivescovo e il Clero. Per un giorno intero Maria è rimasta tra il suo popolo. Ora rientra nella grandiosa cassa di città. Riprende per l’ultimo tratto il cammino processionale solenne.
Tutta Vieste si è riversata sul luogo, si è disposta lungo il Corso per l’ultimo sguardo e saluto a Maria. La lunga giornata non ha esaurito il vigore dei numerosi pellegrini, che continuano con il canto a lodare Maria in un lungo inseguirsi di luci sotto le numerose arcate a formare una galleria sfavillante. Svetta dall’alto la sagoma del campanile della Cattedrale che spande gli ultimi tocchi della giornata.
La festa sta per finire. La processione è al centro del Corso, la Madonna è girata per guardare ancora i fuochi pirotecnici. Quasi un ultimo saluto fatto di luci, di colori, di suoni, di rumori. Terminati i fuochi, riprende il cammino per le viuzze di Vieste vecchia. La festa è veramente finita.
Che splendida giornata! Che rissa di sentimenti!
Che festival di suoni, di luci, d’armonie! Che fede poderosa e splendida di un popolo! Il cuore dei viestani riprende il suo ritmo normale, dopo una giornata che ha visto sentimenti inseguire sentimenti, desideri inseguire desideri, voglia di vivere, gioia. S. Maria è per sempre retaggio di fede e di pietà. S. Maria è per tutti richiamo di tempi più belli, nostalgia di semplicità e di autenticità, profumo d’infanzia felice.
Che giornata memorabile… ab immemorabili!
merino, il santuario, la festa
don giorgio trotta