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IL CALCIO FOGGIA 1920 È UFFICIALMENTE SOTTO AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA PER EFFETTO DI UN DECRETO EMESSO DAL TRIBUNALE DI BARI, SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE, PRESIDENTE GIULIA ROMANAZZI.

 L’amministratore giudiziario è stato individuato nella persona del professore e avvocato, Vincenzo Vito Chionna. Una decisione, a tutela del club, va sottolineato, senza precedenti nel mondo del calcio professionistico italiano, che arriva al termine di una complessa e drammatica indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dalla Questura di Foggia. Al centro delle accuse, un’aggressiva strategia estorsiva orchestrata da Marco Lombardi, esponente contiguo al clan Sinesi-Francavilla, per costringere il presidente Nicola Canonico a cedere la società.

Secondo il provvedimento del tribunale barese, la società sportiva ha subito “una vera e propria strategia di intimidazione e condizionamento mafioso” da parte di Lombardi e dei suoi complici, tra cui Massimiliano Russo, Fabio Delli Carri e Danilo Mustaccioli, oggi tutti in carcere. La campagna estorsiva ha incluso l’incendio e il danneggiamento di auto di calciatori e dirigenti, la collocazione di ordigni esplosivi, pressioni psicologiche, truffe e una violenta campagna mediatica contro il patron Canonico.

Un passaggio chiave dell’indagine ricostruisce anche il tentativo di Marco Lombardi di entrare direttamente nella società sportiva Foggia Calcio. Grazie alla relazione sentimentale con Luana Palmieri, allora dipendente del club, l’uomo frequentava abitualmente gli ambienti dello stadio Zaccheria. In quel contesto, riallacciò i rapporti con un ex collega di un istituto di vigilanza che nella stagione 2021/2022 si occupava, su incarico del presidente Canonico, della sicurezza del club.

Proprio tramite l’amico, Lombardi si recò a Modugno, presso la sede della CN Costruzioni, per chiedere personalmente a Canonico un impiego nella società, dichiarandosi disponibile anche a mansioni come magazziniere. Tuttavia, una volta rivelati i suoi precedenti penali, l’imprenditore rifiutò la proposta, spiegando che le sue aziende collaborano con enti pubblici e non possono permettersi figure con carichi giudiziari.

Un diniego che, secondo gli atti, contribuì ad alimentare un profondo risentimento personale in Lombardi, già esacerbato dal successivo licenziamento della Palmieri. Proprio quell’episodio avrebbe rappresentato la scintilla iniziale della lunga escalation di astio e rivendicazione da parte del compagno. L’uomo avrebbe agito spalleggiato dal consenso criminale della “Società Foggiana”, clan Sinesi-Francavilla di cui sarebbe fedele affiliato.

Tra i fatti più gravi elencati nel decreto del tribunale figurano l’incendio delle auto di calciatori come Davide Di Pasquale e Alessandro Garattoni, l’attentato con ordigno collocato vicino all’auto del figlio di Canonico, Emanuele, e il tentato rogo dell’auto del segretario generale Giuseppe Severo. Tutte azioni aggravate dal metodo mafioso, mirate a destabilizzare la società e forzare il presidente alla resa. “Lo fanno per farti scappare via”, si legge in una delle intercettazioni tra Canonico e il suo staff.

Il provvedimento del tribunale ha ricordato inoltre l’attentato all’ex dirigente Sario Masi, le pressioni sul calciatore Alessio Curcio e addirittura il furto di abbigliamento del Foggia Calcio. L’autore di quest’ultimo reato, stando alle carte, sarebbe entrato indisturbato con le chiavi nel negozio che all’epoca dei fatti erano nella disponibilità della Palmieri.

Poi c’è la vicenda riguardante l’introduzione di ignoti nei locali dell’impianto sportivo con imbrattamento dei muri e scritte del tipo “Masi – Curcio Te Ne Devi Andare”, e con cospargimento del corridoio di liquido presumibilmente infiammabile. Gli autori del reato utilizzarono un’autovettura modello Ford C-Max di colore grigio; gli inquirenti non riuscirono a risalire al numero di targa, tuttavia il modello e il colore corrisposero a quelli dell’autovettura in uso a Lombardi.

La pressione è culminata il 6 maggio scorso, quando Canonico ha annunciato pubblicamente la sua intenzione di abbandonare la guida del Foggia attribuendo tale scelta al “clima tossico” e alle “minacce personali”. A quel punto la procura ha chiesto l’applicazione dell’art. 34 del Codice Antimafia, ottenendo dal tribunale la nomina di un amministratore giudiziario per garantire la continuità dell’attività sportiva, tutelare i tesserati e bonificare la società da ogni forma di infiltrazione.

Mai prima d’ora una squadra professionistica era stata oggetto di amministrazione giudiziaria con motivazioni antimafia. Il tribunale sottolinea la “gravissima compromissione ambientale” in cui versa la società e la necessità di sottrarla con urgenza all’influenza di soggetti mafiosi. In particolare, viene rimarcata la “contiguità soggiacente” tra la società e la criminalità organizzata, capace di condizionare scelte aziendali e determinare dimissioni, silenzi e atti omertosi.

L’obiettivo della misura, si legge, non è repressivo ma di bonifica, e mira a restituire la società sportiva a un contesto di legalità e trasparenza. L’inchiesta proseguirà per accertare il ruolo di ulteriori soggetti coinvolti e valutare l’eventuale aggravamento delle misure adottate.

Intanto, la squadra rossonera, iscritta al prossimo campionato di Lega Pro, riparte da una gestione commissariale e da un segnale forte: a Foggia, il calcio non può più essere terreno di conquista per la mafia.

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