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MAFIA GARGANICA/ IL BUSINESS DELLA DROGA E DELL’ODIO. GLI OMICIDI NELLA GUERRA TRA I CLAN DA MANFREDONIA A VIESTE E MONTE S. ANGELO

Il business sposa l’odio. Gli affari alimentano il fuoco della vendetta. I Li Bergolis volevano proseguire nell’eliminazione degli ex soci Ro­mito, punendoli per averli traditi nel ma­xi-processo alla mafia garganica di inizio nuovo millennio, facendo da confiden­ti-informatori dei carabinieri. In ballo c’erano e ci sono i soldi della droga, con le coste del Gargano dove sbarcare tonnel­late di marijuana provenienti dall’Alba­nia per smistarle a Torino, Roma e altre piazze, con l’ingresso delle mafie foggia­ne nel circuito del narcotraffico inter­nazionale. Ecco nella sua brutale sem­plicità il senso della strage del 9 agosto 2017 nelle campagne di San Marco in Lamis, il più grave fatto di sangue della storia della criminalità pugliese che pa­reggia quella al circolo Bacardi di Foggia del primo maggio ’86 anche lì con 4 morti. Incapace di far di ferocia economia, il clan Li Bergolis pur di ammazzare al terzo tentativo il boss rivale Mario Lu­ciano Romito – cinquantenne manfredoniano scarcerato da 6 giorni, già sfuggito nel settembre 2009 a una autobomba e nel giugno 2010 a un agguato in cui vide morire il nipote – non risparmiò né il cognato e concittadino Matteo De Palma che gli faceva da autista alla guida di un “Maggiolone”; né i fratelli sammarchesi Aurelio e Luigi Luciani, “agricoltori in­censurati completamente estranei ai fat­ti” si legge negli atti processuali, perchè potenziali testimoni per essere transitati in quel momento con il loro “Fiat Fio­rino” sulla Pedegarganica. La guerra tra Li Bergolis/Miucci e i Romito, ora de­nominato gruppo Lombardi/Ricucci/La Torre, dal 2008 a oggi ha contato 36 fatti di sangue con 25 morti, 1 lupara bianca, 21 feriti/miracolati

TRE VERITÀ – C’è una verità storica, la firma dei Li Bergolis, apparsa subito evidente davanti ai 4 corpi crivellati di fucilate e mitragliate. C’è una verità giu­diziaria scritta dall’ergastolo al manfredoniano Giovanni Caterino, la “bacchet­ta” incaricata di pedinare l’auto su cui viaggiava Romito. C’è una “verità” – e quanto sia vera, verosimile, verificabile lo diranno le indagini della Dda – rac­contata da Matteo Pettinicchio, 40 anni, di Monte Sant’Angelo, primo storico pen­tito del clan Li Bergolis in 40 anni e passa di omicidi; entrato nel gruppo nel 2000 a soli 15 anni, dal 2009 è stato il braccio destro del compaesano Enzino Miucci chiamato a prendere le redini del clan dei montanari dopo le pesanti condanne in­flitte nel maxi-processo aifratelli Arman­do, Matteo e Franco Libergolis ancora in cella al 41 bis.

5 NOMI PER 4 MORTI –  “Quand’eravamo in carcere a Lanciano nel 2018, Miucci mi raccontò tutto” ha verbaliz­zato il 18 febbraio Pettinicchio davanti al pm Ettore Cardinali della Dda. “Saverio Tucci guidava la Ford C-Max e aveva una pistola; Miucci e Girolamo Perna i fucili, Roberto Prencipe un Kalashnikov; Ca­terino faceva da bacchetta. Dopo aver colpito il Maggiolone, Miucci scese, aprì lo sportello, sparò in faccia a Mario Lu­ciano ansimante dicendogli: ‘scappa mo’ Mario Romì”. Frase che se vera dà il senso dell’odio derisorio verso il nemico che non merita non certo pietà ma al­meno rispetto. “Gli altri componenti del gruppo raggiunsero il Fiorino e ammaz­zarono i Luciani. Miucci mi disse che i due fratelli avevano fatto segno a Romito di seguirli per andare in campagna da loro dove sarebbe dovuto avvenire un incontro con i foggiani, in particolare con Rocco Moretti”. Moretti, alias “il porco”, 75 anni, è lo storico boss della “Società foggiana”; da luglio ’89 a oggi è stato libero solo 4 mesi tra luglio e novembre 2014; e 18 mesi tra aprile 2016 e ottobre 2017, stringendo nelle carceri (e nei brevi periodi a piede libero) una rete di al­leanze con esponenti di primissimo pia­no del panorama criminale nazionale.

CHE FINE HANNO FATTO? – – Enzo Miucci – arrestato 2 settimane dopo la strage per possesso di una pistola con successiva assoluzione – è detenuto dal 20 novembre 2019 in attesa di giudizio nel processo Friends per traffico di droga con rapporti anche con calabresi; spaccio di un etto di cocaina destinata alla piazza viestana; mafia, traffico e spaccio, 3 ten­tate estorsioni e rapina nell’inchiesta Mari e monti contro il clan Li Bergo­lis/Miucci sfociata in 41 arresti lo scorso ottobre. Roberto Prencipe è a sua volta detenuto per Mari e monti; Caterino pure coinvolto in quest’ultimo blitz, sconta l’ergastolo per la strage. Tucci e Perna hanno fatto la fine di Romito. Perna, viestano soprannominato “Peppa Pig”, a ca­po dell’omonimo clan alleato dei Liber­golis, ucciso a 28 anni davanti casa il 26 aprile 2019 dal gruppo rivale capeggiato da Marco Raduano, uno dei 12 omicidi da lui confessati dopo il pentimento. Tucci, manfredoniano detto “Faccia d’angelo”, assassinato nell’ottobre 2017 a Amster­dam dov’era in contatto con colombiani per importare cocaina. A sparargli, con­fessare, far trovare il cadavere, pentirsi il manfredoniano Carlo Magno che rivelò per primo il presunto coinvolgimento della vittima nella strage: “Tucci mi disse d’essere associato al gruppo che ha uc­ciso quelle 4 persone. Mi spiegò che per­sone amiche di Romito e che non stavano più d’accordo con lui, si erano girate con­tro di lui”. Odio. Affari. Tradimenti.

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