Ci sarebbe la mano diretta e indiretta, di Enzino Miucci al vertice del clan Li Bergolis/Miucci dietro la strage del 9 agosto 2017 in cui fu ucciso il capo clan rivale Mario Luciano Romito; nell’assassinio di Angelo Notarangelo, alias “Cintaridd” ex boss di Vieste assassinato alle porte del paese il 25 gennaio 2015; nella morte di Gianpiero Vescera, ammazzato sempre a Vieste il 3 settembre 2016. E’ quanto emerge dalle dichiarazioni di 4 pentiti depositate a disposizione della difesa nell’inchiesta “Mari e Monti” contro il clan Li Bergolis/Miucci sfociata in 41 arresti nell’ottobre scorso e che conta 50 indagati accusati a vario titolo di mafia, traffico e spaccio di droga, estorsioni, armi, rapine.
A parlare degli affari della mafia garganica e della guerra tra gli ex alleati Li Bergolis e Romito che dal 2008 – 2024 ha contato 36 fatti di sangue con 25 morti, 1 lupara bianca, 21 feriti/miracolati sono stati Matteo Pettinicchio, 40 anni di Monte, pentitosi lo scorso 18 febbraio confessando anche d’essere stato negli ultimi 15 anni il braccio destro di Miucci che ha preso in mano le redini del clan in seguito ad arresto e condanne dei cugini Armando, Matteo e Franco Li Bergolis nel 2009 nel maxi-processo alla mafia garganica. Marco Raduano, 42 anni, viestano, pentitosi nel marzo 2024, ex boss dell’omonimo clan, reo confesso di una dozzina di omicidi, prima appartenente al clan Li Bergolis/Miucci, poi transitato con i rivali Romito in seguito all’omicidio del cognato Gianpiero Vescera. Gianluigi Troiano, 32 anni, viestano, pentitosi a giugno 2024, che come Raduano fece
prima parte del clan Li Bergo- lis/Miucci per poi passare nel gruppo Raduano. Giuseppe Della Malva, 61 anni, viestano, pentitosi nell’ottobre 2024, spacciatore padre di Danilo, già esponente di spicco del clan Raduano che si ea pentito due anni prima.
«La decisione di uccidere Angelo Notarangelo fu presa già nel 2008 quando il nostro gruppo portava la cocaina a Vieste, e Notarangelo bloccò Claudio Iannoli vicino al nostro gruppo, dicendogli che non avrebbe potuto spacciare droga che non fosse stata la sua, minacciandolo pesantemente.
Miucci gli chiese spiegazioni, e mi confidò che avremmo dovuto eliminarlo», il racconto di Pettinicchio. «Negli anni successivi Miucci e Notarangelo ebbero una discussione in carcere a Foggia. Enzo gli fece intendere che se a Vieste fosse arrivata la guerra, lui Notarangelo non se ne sarebbe nemmeno accorto perché sarebbe morto prima. In quel periodo Raduano era in cella con Miucci, l’accordo per uccidere Notarangelo fu fatto proprio in caecere.
Dopo la morte di Notarangelo, il controllo su Vieste fu preso da Raduano e Girolamo Perna», prima che i due si dividessero scatenando la guerra a Vieste in cui Perna fu ammazzato ad aprile 2016. Del delitto ha parlato anche Raduano: «Miucci rivendicava una sorta di diritto sulla gestione dello spaccio a Vieste, mentre Notarangelo voleva mantenere tutto per sè; i rapporti tra i due si incrinarono, io fui invitato dal clan Miucci a rivedere la mia vicinanza a Notarangelo, facendomi intendere che lo avrebbero eliminato.
Mi fu chiesto se fossi interessato in caso della sua eliminazione a subentrargli come capo a Vieste: avevamo gli stessi interessi, tra l’altro temevo che Notarangelo avrebbe potuto eliminarmi». Ha aggiunto Troiano: «Notarangelo voleva i soldi di tutti: qualsiasi reato noi facessimo a Vieste, voleva la sua parte; a noi non stava bene di lavorare e lui doveva mangiare solo.
Così Raduano cominciò ad avere un rapporto in carcere con Miucci: questi ebbe una discussione in cella con Notarangelo dicendogli che doveva comprare da lui la droga; gli tirò anche uno schiaffo. Raduano era presente, non prese le parti di Notarangelo che si offese per questo. Miucci in carcere invogliò Raduano dicendogli: “perché devi dare i soldi a questa persona, è un profittatore”. I dettagli precisi dell’omicidio di Notarangelo non li conosco, però seppi da Raduano e Perna che vi avevano preso parte. Mi riferirono anche che già qualche giorno prima l’avevano seguito verso Foggia» per assassinarlo «ma era passato troppo veloce e non avevano potuto fermarlo».
A dire di Pettinicchio «la mattina in cui fu ucciso a Vieste Gianpiero Vescera cognato di Marco Raduano», omicidio impunito datato 3 settembre 2016, «mi telefonò Enzino Miucci dicendomi: “pensa tu alla mia famiglia perché mi fanno fare la fine di Francesco”, intendendo che avrebbe preso l’ergastolo come Francesco Li Bergolis», condannato nel 2009 nel maxi-processo alla mafia garganica.
«Fu 15 giorni dopo che Miucci mi parlò dell’accaduto, dicendomi che Vescera lo voleva vendere: avrebbero dovuto fare o avevano già fatto una rapina nella quale sarebbero stati coinvolti oltre a cerignolani anche appartenenti al clan Romito», rivale dei Li Bergolis. «Miucci mi disse di aver fatto calare Vescera per farlo guardare in una busta e di avergli sparato alla spalla; dopo il primo colpo, Vescera iniziò a piangere e gli chiese perché lo stesse uccidendo, Miucci sparò ancora e lo finì.
Mi riferì che il ragazzo che era in compagnia di Vescera era riuscito a scappare-, per questo era preoccupato e mi aveva mandato quel messaggio il giorno dell’omicidio. Non mi disse chi era presente, ma spiegò d’aver sistemato con l’amico di Vescera per cui era sicuro che non lo avrebbe denunciato. Credo che a parlarci» con questo amico della vittima «sia stato Girolamo Perna», capo dell’omonimo clan a Vieste, alleato dei Li Bergolis, assassinato ad aprile 2019, omicidio impunito ma rivendicato da Marco Raduano, ex boss di Vieste, pentitosi nel marzo 2024, ex appartenente al clan Li Bergolis/Miucci, poi passato al gruppo rivale Romito dopo l’omicidio del cognato Vescera.
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