Il 45enne, condannato per mafia nel processo “Decimabis”, si dichiara fuori dal clan Sinesi-Francavilla. Ma non collabora: nessuna rivelazione, né accuse ad altri. Il suo passato resta segnato da armi, arresti e legami con la mafia garganica.
“Voglio essere un cittadino onesto e rispettoso della legge”: parole inedite, scritte da chi – fino a ieri – veniva considerato un affiliato della “Società foggiana”. Mario Clemente, 45 anni, è il primo imputato nella storia del clan mafioso foggiano a dichiararsi “dissociato” nel senso tecnico del termine, prendendo le distanze dal sodalizio criminale ma senza collaborare con la giustizia. Nessun nome, nessun racconto, nessun pentimento giudiziario. Solo una scelta personale, formale e depositata nel processo d’appello “Decimabis”, dove è imputato insieme ad altri 11 condannati in primo grado a complessivi 130 anni per mafia, estorsioni e usura.
“Negli ultimi anni – scrive Clemente – ho intrapreso un percorso spirituale che si è concretizzato con il mio battesimo come testimone di Geova. Il resto della mia vita lo voglio usare servendo Dio, attenendomi alle norme della Bibbia”. La dichiarazione è agli atti dell’appello e arriva a meno di un anno dalla condanna a 11 anni di reclusione inflitta il 25 ottobre 2023 dal tribunale di Foggia, che ha riconosciuto Clemente affiliato al clan Sinesi-Francavilla, con il compito di supportare la rete estorsiva e gestire la raccolta delle tangenti.
La storia criminale di Mario Clemente è scritta nei faldoni delle inchieste antimafia. Il suo primo arresto significativo risale al 21 luglio 2010, quando fu trovato in possesso di due pistole in un podere a borgo Cervaro: lì i carabinieri cercavano il latitante Franco Li Bergolis, esponente di punta della mafia garganica, che avrebbe trovato rifugio proprio grazie a Clemente.
Per quel fatto patteggiò tre anni. Un anno dopo, il 22 giugno 2011, arrivò il secondo arresto: blitz “Blauer”, 12 fermi tra Foggia e il Gargano per favoreggiamento della latitanza di Li Bergolis, con una condanna in appello a tre anni e un mese. Sono note le fotografie del 2 giugno 2009, comparse nelle carte di “Blauer”, scattate in una sala ricevimenti di Foggia che ritraevano la festa di prima comunione della figlia di Clemente. Tra gli invitati proprio Franco Li Bergolis, oggi all’ergastolo in regime di 41 bis, i fratelli Mario e Alessandro Lanza, quest’ultimo morto suicida in carcere pochi anni fa, Emiliano Francavilla e il reggente dei Li Bergolis, Enzo Miucci.
Nel 2019, Clemente fu nuovamente arrestato in un’indagine per estorsioni aggravate dal metodo mafioso, ma in quel caso fu assolto. In un altro procedimento, “Corona”, risultò tra i 78 indagati, ma le accuse nei suoi confronti vennero archiviate.
Nel processo “Decimabis”, Clemente è stato descritto da ben quattro collaboratori di giustizia come figura centrale nella nuova “batteria” criminale nata da una scissione interna al clan Sinesi-Francavilla. Secondo il pentito Carlo Verderosa, “Clemente si è staccato insieme ai fratelli Frascolla e Palumbo per mettersi in proprio”. Per Giuseppe Folliero, invece, Clemente era legato ai fratelli Antonello ed Emiliano Francavilla. Ancora più pesanti le dichiarazioni del viestano Danilo “U’ Meticcio” Della Malva, che ha parlato di una lista di morte del clan Raduano in cui Clemente figurava come obiettivo da eliminare, proprio per i suoi legami con Enzo Miucci.
Ma il racconto più incisivo è quello di Giuseppe Francavilla, che ha inserito Clemente nella batteria di Emiliano Francavilla come “esecutore materiale dell’omicidio di Rodolfo Bruno”, cassiere del clan Moretti ucciso nel 2018. Francavilla ha inoltre raccontato di “battute armate nelle campagne di Foggia, con fucili e kalashnikov, per cercare e uccidere Rocco Moretti o Gianfranco Bruno”, rispettivamente boss indiscusso e capobastone del clan Moretti-Pellegrino-Lanza.
Lo stesso Gianfranco Bruno – classe ’78, soprannominato “il primitivo” – è uno dei volti noti della criminalità foggiana. Cognato di Rodolfo Bruno, è attualmente in carcere per aver ordinato tre tentativi di omicidio in dieci giorni, nel gennaio 2019, proprio contro Clemente e i fratelli Gioacchino e Antonello Frascolla, colpevoli – secondo lui – dell’omicidio del parente. Ma i progetti di morte fallirono.
Oggi, dopo tre condanne e una vita trascorsa tra processi e arresti, Mario Clemente tenta di voltare pagina. La sua dissociazione, certificata dalla dichiarazione agli atti dell’appello, non comporta benefici processuali automatici. Ma potrebbe segnare un precedente: è la prima volta che un appartenente alla “Società foggiana” si dichiara fuori, rinnegando pubblicamente il clan e scegliendo la religione come via di uscita. Nessun pentimento, nessuna collaborazione, nessuna delazione. Solo una scelta personale, di rottura, tutta da valutare.
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