Il culto della “ Madonna della Libera “ risale al tempo dei Longobardi nel Ducato di Benevento ad opera di S. Barbato il quale incoraggiò nel 663 il duca Romualdo e i Beneventani a resistere nell’assedio posto dall’imperatore bizantino Costante II, venuto in Italia per ristabilire l’impero romano d’occidente. La liberazione venne attribuita da S. Barbato alla Vergine che gli apparve in una nube. Dopo la visione, egli pronunciò queste memorabili parole: Io l’ho pregata; essa già viene in vostro aiuto; guardatela.
Lo stesso giorno l’imperatore bizantino tolse pacificamente l’assedio e il duca Romualdo, per riconoscenza, favorì S. Barbato arcivescovo di Benevento a cui unì la chiesa di Siponto nel cui territorio, sul Gargano, è situato il Santuario nazionale dei Longobardi dell’arcangelo S. Michele. (l) La liberazione dall’assedio e l’unificazione della chiesa beneventana con quella di Siponto spiega la diffusione del culto della Liberatrice o della Libera in modo particolare nell’area campano-beneventana e Gargano.
In quest’area geografica, lungo il corso dei secoli, si è diffusa la devozione alla Madonna liberatrice o del latte prima ancora che fosse raffigurata su sculture di legno. Vale per tutte il dipinto della Madonna di S. Guglielmo, conservata nel museo abaziale di Monte Vergine situata al centro della regione campano- beneventana. Nel suo aspetto frontale ripropone la maestà della tutta santa Madre di Dio, patrona delle puerpere, come nell’icona bizantina della Panaghia Galactotrofusa.
Proprio sul Santuario di Monte S. Angelo nel 1879, sull’area cimiteriale, è dedicata, non senza influsso di antica tradizione, una chiesa alla Madonna della Libera, il cui culto si trova diffuso nel suo circondario. In contrada Macchia dal 1831 esiste una chiesetta denominata Madonna della Libera che diventa il 1946 sede di parrocchia retta attualmente dai Chierici regolari Ministri degli Infermi, i Camilliani.
Anche in altre parti, come a Rodi Garganico, troviamo il culto della Madonna della Libera, attestato dal 1453 nella presenza di una antica immagine ritenuta proveniente dall’oriente. La roccia su cui si dice abbia posata per restarvi, dopo essere stata lungamente e devotamente custodita, dal 1826 è inglobata in una pregevole chiesa che ha acquistato maggiore risonanza dopo essere stata elevata a Santuario diocesano nel 1956 dall’arciv. Andrea Cesarano.
Non ha avuto la stessa fortuna la chiesetta della Madonna della Libera fuori dell’abitato di Vieste dove nel passato era situato il convento dei frati minori francescani dedicato a S. Maria delle Grazie. (2)
La chiesetta abbandonata dai frati, dopo l’incursione di Dragut Rais nel 1554, era abitata da un eremita e rimase sempre nel cuore dei Viestani che l’avevano eletta come meta quotidiana per la presenza di una preziosa statuina della Madonna della Libera. Di fatto fungeva come santuario cittadino dove, oltre a preghiere, venivano lasciati ex-voto per grazia ricevuta.
Dal 1962 questa chiesetta divenne sede della Parrocchia S. Maria delle Grazie e da quell’anno cessò l’antica consuetudine di trasferire la Madonnina della Libera nella Chiesa S. Francesco da dove, dopo la celebrazione del novenario, il 2 luglio veniva riportata in processione nella sede originaria ove l’avevano posta i frati minori francescani nel XIV secolo.
La processione con la presenza delle Confraternite di S. Giuseppe e S. Antonio era seguita particolarmente dalle puerpere e dalle mamme ed era detta della madonna poverella in relazione a quella più solenne di S. Maria di Merino. Il pio tragitto era considerato un devoto trasporto senza frastuoni fatto solo di preghiere e canti. La devozione alla Madonna della Libera col suo novenario nella Chiesa S. Francesco era avvalorata dalla pittura di Vincenzo Villani fatta sul tavolato della volta il 1852 per devozione di don Bernardino Medina.
Per parecchi anni quest’opera è rimasta coperta da successivi interventi ed in particolare da quello del pittore Gabriele Diasio che nel 1909 su carta pesta, come nelle scene di teatro, aveva ornata tutta la chiesa. L’opera del Villani, rimasta nascosta, era costituita da tre medaglioni raffiguranti S. Antonio di Padova, la Madonna della Libera e S. Giuseppe. Erano i tre santi venerati nella chiesa S. Francesco anche dopo il forzato abbandono per soppressione nel 1809 dei frati francescani Conventuali.
Dopo la rimozione del plafone, per render visibile l’originale capriata decorata, le tavole ad incastro sono state ricomposte e incorniciate dal mastro falegname Mario Lavacca e dal figlio Libero. Successivamente il restauro nella caduta dei colori è stato operato dell’artista Franco Lorusso.
Bisogna aggiungere che i colori della Madonna della Libera dipinta dal Villani, sono gli stessi che ricoprivano la statuina prima del restauro alla Domus Dei. Il restauro, voluto dal parroco don Stefano Minervino, ha restituito la stupenda bellezza della statuina nella sua originale cromia ed è risultata un’ opera pregiata del XIV secolo.
Il dipinto del Villani del 1852, fa memoria dei colori con cui la statuina della Libera con manto azzurro e veste rosa era rivestita come giunta a noi nel cammino dei secoli. Nella Chiesa S. Francesco, la Vergine della Libera, vista in alto, si presentava come l’aurora che precede il sorgere del sole. Maria appare come l’aurora che nella pallida luce rosea annuncia la venuta della salvezza di Cristo Gesù, sole di giustizia che disperde le nebbie del peccato nella luce mista ancora di tenebre.
Come Regina nel suo aspetto regale ornata di corona sostiene con la mano sinistra, come su un trono, colui che salva il mondo, il figlio di Dio nato nel tempo “ da donna”. Rivestita con manto avvolgente color celestiale copre in parte la pallida veste rosata e raffigura l’atto di dare il latte della Grazia per nutrire tutti i liberati dalla schiavitù del peccato e della morte col dono del suo figlio. Dopo l’aurora della madre, suo figlio illumina il giorno di salvezza che non conosce tramonto.
Si invera così il prologo del vangelo di S. Giovanni: “ La luce risplende fra le tenebre ma le tenebre non l’hanno accolta. A quanti l’hanno accolta ha dato il potere di diventare figli di Dio”.(3). Nonostante il Concilio di Trento avesse proibito immagini di natura sensuale o percepite come tali all’epoca, la Madonna della Libera con realistica relazione della mamma e del bambino, ha fornito ai credenti lungo i secoli l’assicurazione che il Dio attaccato alla mammella di Maria si è fatto uomo e colei che sostiene, nella sua pochezza, il Dio fatto uomo si è garantito un infinito credito in cie- lo.(4)
L’umanizzazione della donna e del bambino ha incontrato lungo i secoli il favore dei fedeli e la sacralizzazione dell’atto di allattare il bambino convinse le donne emotivamente al culto della Madonna del latte. Negli stessi inni mariani(5) l’immagine della Libera fa cogliere visivamente la risposta all’invocazione mon- stra te esse matrem con la speranza di salvezza nel frutto benedetto del tuo seno.
Note:
Bollettino Diocesi di Benevento. Anni 1, n.5 p. 81.
Conventum Sanctae Mariae Gratia- rum historicum
( Cfr. Archivium Franciscanum Historicum an.l, 18, Eubel.)
Gv. 1,5.12.
Concilio di Trento. Decreto: De invocazione, venerazione et reliquiis Sanctorum et sacris imaginibus (Evitare immagini di natura sensuale percepiti come tali all’epoca). Inni mariani. Ave maris stella; Salve regina.
don pasquale vescera