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“IL FUTURO DEL TURISMO NON È SOTTO L’OMBRELLONE”

Abbiamo costruito un’eccellenza. La spiaggia Garganica – e quella di Vieste, Peschici, Rodi Garganico sono più di ogni altre – è un piccolo miracolo organizzativo: pulite, sicure, efficienti, curate in ogni dettaglio. È il frutto di decenni di lavoro, di investimenti familiari e di una cultura dell’ospitalità che ha reso il turismo balneare una vera industria del benessere collettivo. Un sistema che per molti versi è stato – e resta – un modello in Puglia.

Eppure, qualcosa si è incrinato.

Non basta più essere bravi come lo eravamo quarant’anni fa. Questa estate ha portato un segnale difficile da ignorare: le presenze negli stabilimenti balneari sono calate tra il 20 e il 30 per cento, mentre il turismo complessivo è sceso al massimo del 5% (tenendo conto dell’emersione dal “nero” di molte case affittate). È una forbice che dice molto. Non è la gente che manca, è cambiato il modo di vivere il mare.

Il turista di oggi non cerca più solo un ombrellone allineato e un servizio impeccabile: vuole sentirsi libero, vivere esperienze autentiche, muoversi senza schemi. Vuole il mare, non il “pacchetto mare”. E così cresce l’interesse per le spiagge libere, per i luoghi meno regolamentati, per quella dimensione di spontaneità che da noi sembra quasi un’eresia.

Nel resto del mondo è così da sempre. Solo in Italia abbiamo ancora chilometri di sabbia rigidamente organizzata, con le stesse file di ombrelloni che si ripetono da generazioni. Con il divieto di stendere un asciugamano in un’area data in concessione.

Difendere questa tradizione è sacrosanto. Ma se la difesa diventa chiusura, il rischio è di rimanere fermi mentre tutto intorno cambia. Le nuove gare europee sulle concessioni – tanto temute – potrebbero essere invece l’occasione per ripensare al nostro modello.  Per unire ciò che funziona con ciò che oggi il turista chiede davvero. Vieste, che è stata il laboratorio del turismo garganico, può esserlo anche del suo rinnovamento. Ma serve il coraggio di guardare avanti.

Perché l’eccellenza non è un monumento da conservare: è un organismo vivo che va nutrito, curato, fatto evolvere. E se non lo facciamo noi, saranno i turisti a dirci che il nostro “fiore all’occhiello”, un tempo simbolo di modernità, ha smesso di profumare.