"Mio zio prete"
Non è mai stato un dilemma per me, nei momenti difficili della vita, decidere a quale santo votarmi. Nella mia famiglia la scelta è sempre stata chiara: il riferimento nella preghiera è sempre stato don Antonio. Per mia nonna Domenica poi, madre di don Antonio, – per noi Nonna Minichina -, il figlio era già santo fin dal preciso momento della sua morte. Sì, perché quella di don Antonio, per noi nipoti, è stata una presenza costante che non ci ha abbandonato neanche ora che i parenti più anziani, che lo avevano conosciuto e frequentato e che ci parlavano costantemente di lui, sono quasi tutti tornati a Dio Padre. U’Prevt, così si riferivano a lui i miei zii e i miei nonni. E, in fondo, don Antonio come noi nipoti siamo stati abituati a conoscerlo nei racconti, visto che è scomparso oltre dieci anni prima la nascita mia, quella dei miei fratelli e dei miei cugini, deve la sua eccezionalità proprio al fatto di aver indossato le vesti del "prete" nella maniera più pura e alta che si riesca a immaginare: interpretando la santità, condizione unica e speciale, attraverso la via semplice, e del resto aperta a molti, di "essere un prete". Mia non na, dicevo, ha sempre considerato suo figlio già santo. E ciò che più sorprende è come lei conoscesse anche il momento in cui questo processo si sarebbe messo in atto. Non scherzo. Mi riferisco a un sogno fatto da una donna, Pasquina De Maria, sogno che ha accompagnato tutta la nostra fanciullezza e che, come per incanto, ho visto poi farsi reale quando sono diventata donna. Pasquina, che aveva conosciuto e collaborato con don Antonio e che dopo la morte si recava tutti in giorni in lacrime sulla sua tomba, raccontò a mia nonna che in sogno don Antonio l’aveva richiamata dicendole: "De Maria, non piangere, il cimitero è il riposo delle ossa. Tra cinquant’anni vedrete la mia statua in parrocchia". Questa frase io la ricordo ancora perché mia nonna, non scherzo, ce la ripeteva davvero di continuo e con voce tonante: non so ancora se per impressionarci o perché in quelle parole continuava a cercare una consolazione per la dipartita prematura del figlio. Comunque il senso del sogno, a suo dire, era che a cinquanta anni dalla morte, don Antonio sarebbe diventato santo. Certo è che a noi nipoti tutto questo significato sfuggiva, anzi, eravamo soliti rincorrerei urlandoci quelle parole dietro, a mo di ritornello. Però oggi il suono di quell’ammonimento giunge più chiaro alle nostre orecchie; perché proprio cinquant’anni dopo la morte dello zio Prete l’allora Vescovo dell’Arcidiocesi di Manfredonia Monsignor D’Ambrosio ha dato inizio al processo di beatificazione di don Antonio, nominandolo Servo di Dio. Volendo andare oltre queste considerazioni "di famiglia", che potrebbero essere legate anche solo all’affetto di noi cari, resta il fatto che don Antonio ha rappresentato e rappresenta tutt’ora una presenza costante per noi Spalatro, e credo di poter dire, per tutta la popolazione viestana. Una presenza costante a cui ispirarsi per i suoi valori profondi, per la sua fede saldissima, per la sua volontà ferrea di realizzare con coraggio, coerenza estrema e passione la vocazione della sua vita. Per la sua determinazione e la sua apertura mentale, per l’umiltà e l’ingenuità con cui ha rincorso un sogno apparentemente semplice, che era invece davvero ambizioso. Don Antonio é a tutti gli effetti un modello a cui ispirarsi. Specie in questo momento di vita del mondo che sembra permeato di incertezze, e sicuramente lo è di falsi miti. Per questo sento di poter invocare: don Antonio stacci vicino e aiutaci a rendere noto a tutti il tuo insegnamento, frutto "solo" del tuo modello di vita coerente consacrato a Dio.
Myriam Spalatro