«A Foggia continuano a operare le tre batteria della “Società”: i clan Sinesi/Francavilla; Moretti/Pellegrino/Lanza e Trisciuoglio/Prencipe/Tolonese; pur se sono state fortemente ridimensionate dalle attività investigative e giudiziarie restano particolarmente attive nel traffico degli stupefacenti e nelle estorsioni, riuscendo a specializzarsi anche nel riciclaggio». Così la Dia esaminando la situazione del capoluogo dauno, e ponendo grande importanza al blitz «Decima Azione» che il 30 novembre scorso sfociato in 30 arresti per mafia (colpiti i primi due clan), estorsioni e tentato omicidio. «L’inchiesta ha messo in evidenza l’operatività ed alcune peculiarità fondamentali della società foggiana: la suddivisione in batterie, coagulate per gruppi familiari, tali da assicurare un forte collegamento tra i rispettivi membri; la determinazione degli equilibri attraverso la regola del più “forte”, ovvero l’eliminazione fisica degli avversari; la creazione di sistemi centralizzati di gestione degli illeciti proventi, per assicurare la ripartizione dei guadagni tra i sodali in libertà, destinatari dello stipendio, e di quelli arrestati, mediante l’assunzione delle spese di mantenimento e di assistenza legale; il controllo capillare delle attività economiche, mediante una attività estorsiva a tappeto. A sovrintendere al “rapporto federativo” tra le tre batterie (che restano dotate di autonomia decisionale) avrebbe provveduto un nucleo direttivo composto dai boss Roberto Sinesi, Rocco Moretti e Vito Bruno Lanza, attraverso figure di raccordo, selezionate nei rispettivi ranghi, per la conduzione in comune di affari particolarmente rilevanti, tra cui appunto la conduzione della cassa comune ed il controllo della cosiddetta lista delle estorsioni, documento nel quale erano analiticamente registrate le persone sottoposte al racket». Le indagini sfociate nel blitz «Decima azione» hanno anche «ricostruito i magmatici e contraddittori rapporti tra le batterie Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino/Lanza, che nonostante i contrasti mai sopiti, attraverso tali interlocutori, avrebbero gestito frizioni e criticità in nome di interessi comuni. Il provvedimento ha ricostruito anche il modulo organizzativo adottato all’interno delle cosche, basato su vincoli familiari, imposizione di regole interne, ricorso a rituali di affiliazione e ripartizione dei ruoli secondo qualifiche gerarchiche (individuate attraverso un gergo tipicamente mafioso ispirato ai canoni strutturali ed operativi della ‘ndrangheta). L’inchiesta, infine, ha posto l’accento sulla “crescita professionale” del tessuto mafioso foggiano, con riferimento all’evoluzione del fenomeno estorsivo dal modello tradizionale del racket fatto di minacce esplicite, ad una modalità d’azione più subdola, in cui l’intimidazione viene fatta percepire alla vittima attraverso l’appartenenza all’associazione (cosiddetta estorsione ambientale). Ed è stato proprio nell’ambito di tali rinnovate strategie che «potrebbe essere stato deciso l’omicidio, avvenuto il 15 novembre 2018, di un noto pluripregiudicato foggiano» (Rodolfo Bruno ritenuto legato al clan Moretti venne assassinato in un bar sulla circunvallazione da tre killer ancora ignoti ndr) «che, pur essendo uno degli ultimi soggetti deputati al ruolo di cassiere comune, per il suo passato costituiva un elemento potenzialmente destabilizzante rispetto alla più moderna politica di cogestione degli affari illeciti».
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